" MARE
Anche il mare l’ho scoperto
con te e con te l’ho amato.
Quando arrivava il 29 giugno, giorno di San
Pietro e Paolo, in casa si diceva “oggi si apre il mare”. Anche amici e
conoscenti dicevano “ehi, che oggi si apre il mare!” e cominciavamo ad
attrezzarci per “aprire la stagione dei bagni”. Io fantasticavo su quel mare
che si apriva dopo un anno che qualcuno lo aveva chiuso coprendolo con tavole e
chiodi e martello. Non avevo mai visto il mare d’inverno e, quindi, per me
aveva poca importanza andare al mare tanto era coperto con le tavole. Tu, pur
avendo la possibilità di comprare una villa al mare durante la guerra poiché i
prezzi erano crollati, non volesti mai farlo per via dei lutti e della
disperazione di tanta gente, per cui, dopo il 29 giugno, andavamo ad “aprire il
mare” con la nonna e altri parenti e amici, con i traini e con i calessi (e il
viaggio breve di andata e ritorno era una lunga magica scia dei canti delle
donne a cui faceva eco il sommesso e suggestivo controcanto degli uomini… ed io
ascoltavo rapita quel coro di voci che rompeva il silenzio dei campi o il
disturbante frinire delle cicale: Bella
tu sei qual sole/ bianca più della luna…).
Poi, si stava tutto il giorno in riva, tra pietre
levigate e ciottoli bianchissimi, a viverlo in tutta la sua luce, la sua meraviglia.
Il mare finalmente schiodato
C’era sempre qualcuno che lo
aveva aperto prima di noi
Si gridava “il maaare!”
all’ultima curva
che disvelava all’orizzonte
la riga d’azzurro
tesa su verdi alberi
a sottolineare il cielo
quasi fosse un errore.
E rotolava il grido dal calesse
e scivolava sotto le ruote in corsa
perdendosi nel ritmo
degli zoccoli del cavallo
che batteva il vento e l’afa
tra campi d’ulivi assolati
con zampe a falce
a raccogliere-lasciare pezzi di strada
dietro la nostra allegria.
Ne ritrovavo l’odore
tra l’alga e lo scoglio
e l’esaltata spuma
in gara col mio cuore. (…)
E mi sorprese più volte
lo stupore acceso io maga
non dell’impossibile incontrare
l’immenso
quanto di catturarlo
nello spazio del mio fazzoletto
tra le nocche a nodo
quasi rete a pelo d’acqua.
Mai sazi di mare
aspettavamo la sera (…)
Si accendevano lanterne di carri
(rassegnata l’attesa tra ciuffi d’erba)
e lungo scogli si perdevano passi
a cercare granchi in lotta
contro mani imprudenti
(piedi nudi lasciavano orme di sangue
ad arrossare stanche onde alla battigia)
La via del ritorno aveva
un ricamo di stelle
nel rimpianto degli occhi
a frugare nel cielo
il respiro del mare…
(“Il
respiro del mare”, stralci.
Da Sul naufragio del sole)
E il mare era quello del “Bersaglio”, una
costruzione forse un tempo rosa, con porte e finestre sventrate, certamente un
residuo bellico a ricordarci una violazione straniera, che opponeva un confine
tra il paese che si snodava lungo la riva con punti di riferimento certi
(il tram con i binari che finivano in riva al
mare; il bar “Qui si gode” proprio lì a due passi; “u vargàlònə”, non meglio
identificato in italiano, dove era proibito tuffarsi per via di alcuni scogli e
correnti a formare pericolosi vortici; e poi, via via, alcune sciale: da “La
Rotonda” alla “Cala d’oro”, dove le famiglie borghesi si vantavano di avere la
propria spiaggia)
e la nostra voglia di mare in fondo al “Lido
Lucciola” a concludere quel rettilineo di case e di azzurro (immortalato dai
bellissimi acquerelli del nostro grande Francesco Speranza!), che s’incurvava a
formare un’ansa un po’ appartata, dove le suore osavano fare il bagno e dove,
in un pugno di acque scogli bianchi e ciottoli, c’era il “bagno dei cavalli” e
subito dopo lo spiazzo per i carri, quasi guglie di minuscole cattedrali, con
le stanghe, rivolte al cielo e coperte dai “panni delle olive”, sotto cui ci si
riparava dal sole per l’intera giornata. Alcuni ardimentosi osavano trascorrervi
anche le notti per vivere interamente a contatto con il mare quei pochi giorni
di “villeggiatura”. A qualche metro, ecco la protezione di quella casa aperta a
mille voci e a mille venti. E, all’imbrunire, i ragazzi della comitiva, cugini
e figli di amici, c’invitavano ad andare alla “jàcchə” (a pesca?), a scovare
tra gli scogli appuntiti, con fil di ferro arrugginito e coltellini di fortuna
e secchielli colmi a metà d’acqua salata, i granchi e le pelose, che si
difendevano dalla invasione di dita nemiche con le loro chele furibonde, in
agguato nell’ombra dei loro rifugi di pietra bucherellata. Infuriava la
battaglia fino alla nostra ritirata con dita sanguinanti di paura,
nell’avanzare del buio della sera ad inghiottire il mare.
Dopo, i figli del piccolo esercito degli
ardimentosi ci mostravano fieri il loro bottino. Io battevo sempre in ritirata
prima che la battaglia si potesse fare più aspra e cruenta. Mai un atto di
coraggio da parte mia. Mai.
Rimaneva alle nostre spalle uno sciabordio
lento a riportaci una nenia di sonnolente onde ad accarezzare i nostri occhi
vinti di sonno".
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