Domenica scorsa eravamo a Cernobbio sul lago di
Como per presentare il mio quasi romanzo Le piogge e i ciliegi (della
SECOP Edizioni, 2018-2019) a “ParoLario, prestigioso Festival Letterario che
tante emozioni ha suscitato in me e in tutti i presenti, grazie soprattutto
alla scanzonata, ma altrettanto profonda, affabulazione di un “superbo”
Giovanni Gastel.
E, nell’arco della settimana, emozioni senza fine
nelle due serate che hanno visto i fari della condivisione di tanti amici
presenti illuminarsi sui due volumi che compongono l’intera opera (almeno per
il momento).
A Corato ci sono state le parole del meraviglioso Relatore
Vito Di Chio, mio fraterno amico e studioso infaticabile di Letteratura e di
Poesia internazionali e, perciò stesso, sensibilissimo critico letterario, di
cui mi piace riportare alcuni stralci significativi dell’illuminato Intervento.
Ma molto interessanti sono stati i commenti di Silvana Mangano, altra mia
grandissima amica della mente e del cuore, a cui per anni ho affidato anche la
mia salute (molto apprezzato il suo intervento “a latere” sulla maternità e
genitorialità, nel passato e ai nostri giorni, analizzato con grande competenza
e altrettanta umiltà); di Isabella Antonacci e di suo marito Umberto, di
Zaccaria Gallo.
È stato intessuto così un dibattito molto vivace,
che ha arricchito la serata.
A Bitonto, invece, nel magico giardino/cortile dove
le tantissime storie da me raccontate hanno avuto quasi inizio, sono stata
affiancata da altri due splendidi Relatori: Valentino Losito e Mario Sicolo.
Entrambi affermati giornalisti ed entrambi miei carissimi amici. Ci accomunano
l’amore per la scrittura ed empatiche sintonie.
I loro Interventi, che potrei definire
complementari, senza che assolutamente si fossero accordati, hanno illuminato
di calda, amorevole luce il grande melograno che ci confortava con la sua ombra
in tanto sole. Due Interventi di altissima intensità emotiva e di profondissima
competenza linguistica, storico-sociale e culturale, che hanno filigranato di
autentica commozione la loro tenace umanità. Spero di poter quanto prima pubblicare
anche le loro catturanti, avvolgenti, e stupende riflessioni.
Per ora ho a disposizione quelle di Vito Di Chio
che sono già un dono per me e per chi legge…
“LE PIOGGE E I CILIEGI. FOGLIE E FRUTTI
DI UN ALBERO SEMPRE VERDE
Nel 2012, in concomitanza con la pubblicazione
“Trattenendo il respiro” ho avuto la fortuna e la gioia di incontrare Angela De
Leo.
Incontrare Angela De Leo è regalarsi un
momento lieto nella vita … - dopo il primo contatto hai già la sensazione
limpida di conoscerla da sempre, perché lei ti spalanca subito una finestra
sui suoi sogni e ti cattura con la sua poesia, con la poesia della sua
vita. Così è capitato anche a me, e questa impressione si è rafforzata man mano
che leggevo e gustavo le sue ultime pubblicazioni, che prendono forma per
cogliere l’indicibile inscritto nelle micro o macrostorie della vita di
tutti i giorni. Fatti ed eventi che anche noi incrociamo nella nostra realtà
quotidiana, ma che archiviamo rapidamente, perché non siamo in grado, né
disposti a cogliere in essi questo ineffabile - e cioè ciò che
ferisce e ciò che risana nell’esistenza umana (C. Milosz). Sono grato a lei
per l’invito, racchiuso in ogni racconto, a fare dei passi insieme lungo un
sentiero bello, ma pieno di rovi, dove però il cuore dice alla ragione: “È in
te stesso che si trovano le spine. Resta silenzioso, strappa la spina
dall’esistenza del tuo cuore, per scoprire nella tua stessa anima roseti
fecondi” (Rumi). (…)
TUTTO MI STA A CUORE - I CARE. PERCHÉ NULLA VADA
PERDUTO.
PAROLE - CHIAVE:
1. INIZIO - RI-COMINCIARE
Questo desiderio di “cominciare”, di “dare inizio a
qualcosa di nuovo” è presente in tutti e due i volumi, è come una “trama”
sotterranea del suo scrivere:
Per ogni fine / c’è un nuovo inizio (Antoine
de Saint Exupéry) “Qualunque cosa tu possa fare. Qualunque sogno tu possa
sognare. Comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia
ora.
Esergo del Cap. I: Goethe:
“Ogni inizio è abitato da un momento magico che
ci protegge e ci aiuta a vivere”
Hermann Hesse, Stufen (Gradini):
Ma è stata H: ARENDT, in Vita activa a mettere in luce l’importanza del “poter avere un
inizio”, del COMINCIARE.
La conditio humana è segnata da cinque
aspetti fondamentali (natalità, mortalità, corporeità, essere nel mondo,
pluralità),
Di cui il primo è IL POTER AVERE UN INIZIO
- in pratica: l’essere libero. In virtù di
questa condizione siamo capaci di introdurre il nuovo, di agire in modo
differente dall’atteso, di introdurre “una discontinuità che interrompe una
serie o un’identità già consolidata”, e, in primo luogo, “l’inesorabile
scorrere della vita quotidiana”. Che cosa è questo “nuovo” che viene
introdotto da questa condizione dell’agire umano? Il nuovo non si riferisce
alla produzione di una idea o piano geniale dell’attore, ma al tessuto di
interazioni in cui l’azione va ad inserirsi e alla costellazione delle reazioni
dinamiche e alla sua apertura al futuro.
- «Il fatto che
l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso,
che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è
possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al
mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità».
- Solo la piena
esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza,
le due essenziali caratteristiche dell'esperienza umana che l'antichità greca
ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua
più gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo
annunciò la «lieta novella» dell'avvento: «Un bambino è nato fra noi».
1. SAPER
PERDONARE E PERDONARSI
È una
parola-chiave nel pensiero di Angela De Leo: vedi II Volume, pag. 167. Anche
qui ci aiuta H. ARENDT a fare luce:
Saper
perdonare e imparare a perdonarsi a vicenda è il risultato di un lungo
processo (auto-) formativo. La pluralità è felice proprio per questo
“allenamento al perdono” che essa comporta. Perdono che non esige dall’altro,
dal prossimo una confessione, che non richiede dall’altro una ritrattazione di
ciò che si è fatto, del proprio passato. Perdono significa lasciar perdere il
mio diritto alla vendetta (anche alle piccole vendette del quotidiano),
non portare nel “discorso” insistentemente l’ingiustizia subita, ma nello
stesso tempo perdono non vuol dire scusare e giustificare il comportamento
dell’altro. Perdono esige anzitutto una decisione personale.
Perdonare è premessa per un nuovo inizio.
“A verità conduce poesia” (Clemente
Rebora)
A QUALI VERITÁ “CONDUCE” LA POESIA DI ANGELA
DE LEO?
1. “La bellezza della mamma” ma
contemporaneamente non ignorare la relazione ferita tra Madre-Figlia
- Pag. 32: La stella più luminosa era mamma
- Pag. 75 -77 Mamma sotto processo
- Pag. 141: “non l’avevo mai vista così
affaticata”
- Pag. 395 Ma come si fa a sopravvivere alla
propria madre?
2. Contro i pregiudizi. Nonno Domenico prende
posizione
L’amore ci rende immuni da pregiudizi Pag. 36 -
38:
- Contrasto tra la figura del Nonno e la
personalità del padre:
- Un parlarsi a lungo, ma senza incontrarsi /
una scostante severità
3. Nonna Angelina stava
per incontrare dopo 50 anni il suo primo amore (pag. 123 segg.) - storia
delicata e attuale
4. La storia di zio padre Leonardo (pag.
149 seg.)
n Tagore: La lettera (pag. 151)
n L’amore era uno “straniero” (pag. 152)
n Delicatissima immagine del tempo che fu (pag.
155)
5. L’addio del Nonno Domenico (pag. 160 -
169)
6. Il “QUASI” - filosofia e teologia del non
finito (pag. 194 - 199)
7. Ministorie: Rosa (dai dorati capelli):
(pag. 257 - 261
8. PRIMO (pag. 262 segg.)
9. Tutto cambia - pag. 294
10. IL SILENZIO (pag. 330 - 332)
11. “oggi si apre il mare”. (pag. 361 segg.)
12. “Sei tu il mio grande vecchio giovane
(pag. 373
TUTTO MI STA A CUORE
ANGELA
DE LEO, LE PIOGGE E I CILIEGI
FOGLIE E
FRUTTI DI UN ALBERO SEMPRE VIVO
1. “Tutto mi sta a cuore”
Don Milani fece scrivere su un cartello
all’ingresso della scuola di Barbiana il motto “I CARE”, ripreso poi come
mantra da molte organizzazioni politiche e religiose, non ultimo dal presidente
Obama. “Tutto mi sta a cuore”,
una frase che riassumeva bene le finalità di cura educativa di una scuola
orientata a promuovere una forma di sollecitudine per le persone, la natura, le
cose. “I care” trasporta come messaggio la disponibilità a non essere centrati
su sé stessi e riconcentra l’attenzione e l’interesse al mondo degli altri,
sollecitando un comportamento di rispetto della dignità della persona.
“Tutto mi sta a
cuore” è la matrice originaria della Storia di un uomo straordinario,
il nonno Domenico dell’Autrice ed è anche la sorgente nascosta a cui Angela De
Leo attinge per dare forma ai suoi sogni, alle sue speranze e ai suoi ricordi,
ossia a tutte quelle fantasie impalpabili che chiamiamo immaginario e
con il quale la poetessa ha imbastito poeticamente questa (auto)biografia.
È lei stessa a confessare candidamente di
dissetarsi a questa fonte, quando, per esempio, caratterizza con pennellate
multicolori la sua relazione con i figli e, in particolare, con Daniela:
«E proprio Daniela, proprio lei, che ora ha bisogno
di carezze materne, mi ha fatto ancora una volta un dono dolcissimo: mi ha
dedicato “La cura”, una canzone meravigliosa di Franco Battiato.» infiorata di
versi indimenticabili:
“Ed io, avrò cura di te (…)
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza
(…)
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Io sì, che avrò cura di te (…)”
La scrittrice commenta, tramandando quel gesto e
quelle parole:
“Il cuore ha avuto un sussulto. Da tempo non mi
capitava. Che bello il prendersi cura di qualcuno”.
Le cose più piccole, le realtà viste nella loro
creaturalità come esseri che ci interpellano “stanno a cuore” del nonno
Domenico e della sua Angela:
- Raffaella e il suo ragazzo occhi-verdi
- “Siediti. È festa. La tua vita è in tavola”.
- La variegata percezione della pioggia con le sue
infinite variazioni; “Pioveva in quei giorni di ansia e di paura. Una pioggia
né buona, né cattiva, una pioggia d’attesa” … “Neppure la pioggia mi
consolava”.
- D’improvviso un mondo di sofferenza chiude ogni
via di fuga. E tuttavia i ciliegi tornano a fiorire.
- E così scrutando l’amore “che basta a sé stesso,
come sentimento che attraversa il tempo e lo spazio, facendosi assoluto” lo
percepisce come “stupore di ciliegi a primavera”.
- Anche le nuvole sono onnipresenti e
caratterizzano la nostra inquieta interiorità:
- “Siamo nuvole che si aggregano e si disgregano,
si formano e si disfanno, assumono sembianze diverse nello spazio e si
dileguano”.
- Siamo a noi stessi e agli altri sconosciuti.
- Anche il mare, afferma la poetessa, “l’ho
scoperto con te e con te l’ho amato”, con il nonno Domenico, con il quale
Angela il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo, andava ad aprire il mare:
“oggi si apre il mare”. Una relazione vissuta come “inaugurazione augurale”.
- La relazione come dono e ricchezza da gestire. In
tutta la storia di Domenico e del racconto che Angela De Leo ne fa, si tocca
con mano il valore delle persone, anche delle più umili, incontrate lungo la
strada della vita. Normalmente basta a noi poco per lasciar “perdere” una
persona, per toglierle la stima e il rispetto. Nessuna - in questa autobiografia
- viene lasciata cadere. Per esempio, è commovente leggere come siano rimaste
vive nel ricordo e nella tenerezza del cuore le “tante donne dell’infanzia”.
Ricordandole, dedica loro delicati versi attinti al repertorio poetico di Primo
Leone: “Le donne del Sud”.
- Lungo la narrazione c’è un confronto continuo con
nomi che evocano persone concrete, le più variopinte, che nonostante il tempo e
le molteplici vicissitudini della vita abitano nell’oggi della poetessa.
- C’è pure un franco e disarmante confronto con
relazioni amicali e parentali che, nonostante il lato ombra della singola
personalità, continuano a riempire di valori e di senso il fluire del tempo. Il
lettore deve muoversi all’interno di una giungla di incontri vissuti quasi
sempre con grande intensità, come pietre miliari lungo la via della vita. Il
rispetto e la stima per le persone che il nonno Domenico, con il suo esempio,
ha inculcato nella nipotina Angela sboccia come un fiore di primavera in ogni
momento della narrazione.
- Anche i nomi degli animali amati e perduti sono
ricordati con toccante tenerezza, così come i gatti di Ombretta. Neppure loro
sono “lasciati perdere”. La poetessa fissa in una calda poesia il ricordo di Dylan,
il cane di famiglia:
- “Tutto mi sta a cuore”, anche le cose, e
soprattutto la terra, “madre amara e generosa”. (…)
- 2. Perché nulla vada perduto
Mentre leggo con partecipata attenzione e tensione
interiore questa “storia che non ha fine”, mi viene in mente il racconto della
moltiplicazione dei pani tramandatoci dai Vangeli. Dopo che cinquemila persone
furono saziate con i cinque pani e i due pesci, Gesù disse ai discepoli:
"Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Riempirono
dodici canestri" (Gv. 6,12).
Angela, perché nulla andasse perduto della “storia
infinita” di ricordi, di incontri, di attese, di dolore, di amore, di timori,
di morte, di pace, delle fragilità…, in cui è coinvolta e in cui si lascia
ancora coinvolgere, ha riempito dodici ceste di pane di questa storia. È il
secondo volume del racconto “Le piogge e i ciliegi”. Pane fresco, ma anche pane
sbocconcellato, - tutto quello che sembra a prima vista “avanzo” o piccolo
frammento - pane amaro e pane che è promesso alle nuove generazioni… perché
nulla vada perduto - mi sembra uno dei leitmotiv del suo romanzo
autobiografico di un uomo straordinario che attraversa tutto il racconto.
È vero, è un paragone un po’ ardito,
sovradimensionato per caratterizzare un romanzo autobiografico, ma che tuttavia
coglie il senso di questa "storia infinita", dalla quale la poetessa
è catturata e nella quale è coinvolta. È proprio quello che lei, con la sua
profonda sensibilità poetica e umana ha saputo cogliere e
"raccogliere": “Non voglio - afferma lei stessa con intimo
trasporto - che di quell'uomo "straordinario" si perda neppure
un tratto, una parola, una intenzione, un sentimento, perché è grazie a lui se
ho conservato negli anni la purezza del cuore, gli occhi incantati di bambina,
l'amore per gli altri e per la vita, una tenerezza particolare per i miei cari
e per i miei nipoti a cui desidero consegnare il suo messaggio più bello:
l'autenticità dei sentimenti e la riconoscenza sempre verso il Creatore per
tutti i doni che riserva a ciascuna delle sue creature, nella consapevolezza di
essere briciola infinitesimale di una sola Anima...”
Cosa salvare allora? “Il ricordo del passato perché
non muoia con noi” - risponde Angela, e, quasi come un canto, riassume il tutto
con questi versi:
…la culla la casa il filo di luna sospeso
ai camini del tempo
e lo stupore di noi bimbi a cercare
arance e fichisecchi nella calza della befana
e tutti i frutti di sole e di miele raccolti
da una madre amara e generosa
la mia terra
(che d’erba e di mare un tempo profumo aveva)
Il fondamento su cui poggia questa “missione di
raccoglitrice” e di “Vestale delle tradizioni” di una famiglia del Sud, nel cui
centro c’è un “Uomo straordinario”, il nonno Mincuccio, è la sua fede nel
miracolo della vita che continuiamo a sperimentare come ordine e armonia
nonostante l’apparente contraddizione delle cose: “Non è possibile che siamo il
prodotto del caos primordiale che a caso ci ha generati. Se così fosse, non
fiorirebbe la rosa ad ogni maggio né maturerebbero le ciliegie a sorridere di
complicità ai papaveri e ai sogni che rinascono a primavera. Non avremmo un
bambino e poi un ragazzo e un uomo adulto e, infine un vecchio. Saremmo lapilli
impazziti in un pazzo universo. E, invece, tutto è ordine e armonia, anche
nell’apparente contraddizione delle nostre vite e di tutte le cose”.
3. Nella filigrana della memoria rifioriscono
persone, incontri, tradizioni, valori dell’umano
Al contrario di quanto succede a noi oggi
“prigionieri del presente”, senza passato e, di conseguenza, senza futuro,
dominati dalla tecnologia, dalla velocità e dal consumismo, con un Io ripiegato
in maniera narcisistica su se stesso e sui propri interessi, l’Autrice di
questa storia di un uomo straordinario fa rifluire con grande consapevolezza
il passato nel presente, narrandolo sia con ritmo diacronico che con
procedimento sincronico, sollecitando le microstorie delle singole persone, le
loro interazioni, i valori, di cui sono portatrici, a rifiorire
nella stretta dinamica del presente. La poetessa aveva scritto nel I, volume di
quest’opera:
“Penso che la scrittura sia un dono divino: fissa
nel tempo lacrime e sorrisi. / È simile a una foto. Questa, però, eterna volti
e corpi, l’involucro di noi. / La scrittura perpetua l’anima. Doppia
immortalità”.
Angela De Leo non è “prigioniera del passato”, dei
dorati ricordi d’infanzia. Il suo raccontare è “lontano dall’Io”, sono gli
altri, è il mondo al centro della sua attenzione. Ecco perché - quasi per
miracolo - ogni più piccolo evento, ogni incontro sprigiona la sua essenza
interiore.
Le sue esperienze sono incise - come lei stessa si
esprime - sul suo “animo bianco”, bianco come il vestito da sposa, bianco come
la somma di tutti i colori, bianco che, proprio perché non colora, è “in attesa
di pennellate perché abbia un senso. Come la vita. Ed io quel giorno ero ancora
un colore bianco da pennellare con tutti colori dell’amore e dei sogni e delle
speranze. Dei fiori intatti…”.
(fine prima parte)
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