domenica 30 giugno 2019

23-26-29 giugno: tre presentazioni de Le piogge e i ciliegi, parte seconda.

Domenica scorsa eravamo a Cernobbio sul lago di Como per presentare il mio quasi romanzo Le piogge e i ciliegi (della SECOP Edizioni, 2018-2019) a “ParoLario, prestigioso Festival Letterario che tante emozioni ha suscitato in me e in tutti i presenti, grazie soprattutto alla scanzonata, ma altrettanto profonda, affabulazione di un “superbo” Giovanni Gastel.
E, nell’arco della settimana, emozioni senza fine nelle due serate che hanno visto i fari della condivisione di tanti amici presenti illuminarsi sui due volumi che compongono l’intera opera (almeno per il momento).
A Corato ci sono state le parole del meraviglioso Relatore Vito Di Chio, mio fraterno amico e studioso infaticabile di Letteratura e di Poesia internazionali e, perciò stesso, sensibilissimo critico letterario, di cui mi piace riportare alcuni stralci significativi dell’illuminato Intervento. Ma molto interessanti sono stati i commenti di Silvana Mangano, altra mia grandissima amica della mente e del cuore, a cui per anni ho affidato anche la mia salute (molto apprezzato il suo intervento “a latere” sulla maternità e genitorialità, nel passato e ai nostri giorni, analizzato con grande competenza e altrettanta umiltà); di Isabella Antonacci e di suo marito Umberto, di Zaccaria Gallo.
È stato intessuto così un dibattito molto vivace, che ha arricchito la serata.
A Bitonto, invece, nel magico giardino/cortile dove le tantissime storie da me raccontate hanno avuto quasi inizio, sono stata affiancata da altri due splendidi Relatori: Valentino Losito e Mario Sicolo. Entrambi affermati giornalisti ed entrambi miei carissimi amici. Ci accomunano l’amore per la scrittura ed empatiche sintonie.
I loro Interventi, che potrei definire complementari, senza che assolutamente si fossero accordati, hanno illuminato di calda, amorevole luce il grande melograno che ci confortava con la sua ombra in tanto sole. Due Interventi di altissima intensità emotiva e di profondissima competenza linguistica, storico-sociale e culturale, che hanno filigranato di autentica commozione la loro tenace umanità. Spero di poter quanto prima pubblicare anche le loro catturanti, avvolgenti, e stupende riflessioni.
Per ora ho a disposizione quelle di Vito Di Chio che sono già un dono per me e per chi legge…
LE PIOGGE E I CILIEGI. FOGLIE E FRUTTI DI UN ALBERO SEMPRE VERDE
Nel 2012, in concomitanza con la pubblicazione “Trattenendo il respiro” ho avuto la fortuna e la gioia di incontrare Angela De Leo.
Incontrare Angela De Leo è regalarsi un momento lieto nella vita … - dopo il primo contatto hai già la sensazione limpida di conoscerla da sempre, perché lei ti spalanca subito una finestra sui suoi sogni e ti cattura con la sua poesia, con la poesia della sua vita. Così è capitato anche a me, e questa impressione si è rafforzata man mano che leggevo e gustavo le sue ultime pubblicazioni, che prendono forma per cogliere l’indicibile inscritto nelle micro o macrostorie della vita di tutti i giorni. Fatti ed eventi che anche noi incrociamo nella nostra realtà quotidiana, ma che archiviamo rapidamente, perché non siamo in grado, né disposti a cogliere in essi questo ineffabile - e cioè ciò che ferisce e ciò che risana nell’esistenza umana (C. Milosz). Sono grato a lei per l’invito, racchiuso in ogni racconto, a fare dei passi insieme lungo un sentiero bello, ma pieno di rovi, dove però il cuore dice alla ragione: “È in te stesso che si trovano le spine. Resta silenzioso, strappa la spina dall’esistenza del tuo cuore, per scoprire nella tua stessa anima roseti fecondi” (Rumi). (…)
TUTTO MI STA A CUORE - I CARE. PERCHÉ NULLA VADA PERDUTO.
PAROLE - CHIAVE:
1. INIZIO - RI-COMINCIARE
Questo desiderio di “cominciare”, di “dare inizio a qualcosa di nuovo” è presente in tutti e due i volumi, è come una “trama” sotterranea del suo scrivere:
Per ogni fine / c’è un nuovo inizio (Antoine de Saint Exupéry) “Qualunque cosa tu possa fare. Qualunque sogno tu possa sognare. Comincia. L’audacia reca in sé genialità, magia e forza. Comincia ora.
Esergo del Cap. I: Goethe:
“Ogni inizio è abitato da un momento magico che ci protegge e ci aiuta a vivere”
Hermann Hesse, Stufen (Gradini):
Ma è stata H: ARENDT, in Vita activa a mettere in luce l’importanza del “poter avere un inizio”, del COMINCIARE.
La conditio humana è segnata da cinque aspetti fondamentali (natalità, mortalità, corporeità, essere nel mondo, pluralità),
Di cui il primo è IL POTER AVERE UN INIZIO
- in pratica: l’essere libero. In virtù di questa condizione siamo capaci di introdurre il nuovo, di agire in modo differente dall’atteso, di introdurre “una discontinuità che interrompe una serie o un’identità già consolidata”, e, in primo luogo, “l’inesorabile scorrere della vita quotidiana”. Che cosa è questo “nuovo” che viene introdotto da questa condizione dell’agire umano? Il nuovo non si riferisce alla produzione di una idea o piano geniale dell’attore, ma al tessuto di interazioni in cui l’azione va ad inserirsi e alla costellazione delle reazioni dinamiche e alla sua apertura al futuro.
- «Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità».
- Solo la piena esperienza di questa facoltà può conferire alle cose umane fede e speranza, le due essenziali caratteristiche dell'esperienza umana che l'antichità greca ignorò completamente. È questa fede e speranza nel mondo che trova forse la sua più gloriosa e efficace espressione nelle poche parole con cui il vangelo annunciò la «lieta novella» dell'avvento: «Un bambino è nato fra noi».
1. SAPER PERDONARE E PERDONARSI
È una parola-chiave nel pensiero di Angela De Leo: vedi II Volume, pag. 167. Anche qui ci aiuta H. ARENDT a fare luce:
Saper perdonare e imparare a perdonarsi a vicenda è il risultato di un lungo processo (auto-) formativo. La pluralità è felice proprio per questo “allenamento al perdono” che essa comporta. Perdono che non esige dall’altro, dal prossimo una confessione, che non richiede dall’altro una ritrattazione di ciò che si è fatto, del proprio passato. Perdono significa lasciar perdere il mio diritto alla vendetta (anche alle piccole vendette del quotidiano), non portare nel “discorso” insistentemente l’ingiustizia subita, ma nello stesso tempo perdono non vuol dire scusare e giustificare il comportamento dell’altro. Perdono esige anzitutto una decisione personale. Perdonare è premessa per un nuovo inizio.
“A verità conduce poesia” (Clemente Rebora)
A QUALI VERITÁ “CONDUCE” LA POESIA DI ANGELA DE LEO?
1. “La bellezza della mamma” ma contemporaneamente non ignorare la relazione ferita tra Madre-Figlia
- Pag. 32: La stella più luminosa era mamma
- Pag. 75 -77 Mamma sotto processo
- Pag. 141: “non l’avevo mai vista così affaticata”
- Pag. 395 Ma come si fa a sopravvivere alla propria madre?
2. Contro i pregiudizi. Nonno Domenico prende posizione
L’amore ci rende immuni da pregiudizi Pag. 36 - 38:
- Contrasto tra la figura del Nonno e la personalità del padre:
- Un parlarsi a lungo, ma senza incontrarsi / una scostante severità
3. Nonna Angelina stava per incontrare dopo 50 anni il suo primo amore (pag. 123 segg.) - storia delicata e attuale
4. La storia di zio padre Leonardo (pag. 149 seg.)
n Tagore: La lettera (pag. 151)
n L’amore era uno “straniero” (pag. 152)
n Delicatissima immagine del tempo che fu (pag. 155)
5. L’addio del Nonno Domenico (pag. 160 - 169)
6. Il “QUASI” - filosofia e teologia del non finito (pag. 194 - 199)
7. Ministorie: Rosa (dai dorati capelli): (pag. 257 - 261
8. PRIMO (pag. 262 segg.)
9. Tutto cambia - pag. 294
10. IL SILENZIO (pag. 330 - 332)
11. “oggi si apre il mare”. (pag. 361 segg.)
12. “Sei tu il mio grande vecchio giovane (pag. 373

         TUTTO MI STA A CUORE
     ANGELA DE LEO, LE PIOGGE E I CILIEGI
   FOGLIE E FRUTTI DI UN ALBERO SEMPRE VIVO
1. “Tutto mi sta a cuore”
Don Milani fece scrivere su un cartello all’ingresso della scuola di Barbiana il motto “I CARE”, ripreso poi come mantra da molte organizzazioni politiche e religiose, non ultimo dal presidente Obama. “Tutto mi sta a cuore”, una frase che riassumeva bene le finalità di cura educativa di una scuola orientata a promuovere una forma di sollecitudine per le persone, la natura, le cose. “I care” trasporta come messaggio la disponibilità a non essere centrati su sé stessi e riconcentra l’attenzione e l’interesse al mondo degli altri, sollecitando un comportamento di rispetto della dignità della persona.
“Tutto mi sta a cuore” è la matrice originaria della Storia di un uomo straordinario, il nonno Domenico dell’Autrice ed è anche la sorgente nascosta a cui Angela De Leo attinge per dare forma ai suoi sogni, alle sue speranze e ai suoi ricordi, ossia a tutte quelle fantasie impalpabili che chiamiamo immaginario e con il quale la poetessa ha imbastito poeticamente questa (auto)biografia.
È lei stessa a confessare candidamente di dissetarsi a questa fonte, quando, per esempio, caratterizza con pennellate multicolori la sua relazione con i figli e, in particolare, con Daniela:
«E proprio Daniela, proprio lei, che ora ha bisogno di carezze materne, mi ha fatto ancora una volta un dono dolcissimo: mi ha dedicato “La cura”, una canzone meravigliosa di Franco Battiato.» infiorata di versi indimenticabili:
“Ed io, avrò cura di te (…)
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza (…)
Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto.
Io sì, che avrò cura di te (…)”
La scrittrice commenta, tramandando quel gesto e quelle parole:
“Il cuore ha avuto un sussulto. Da tempo non mi capitava. Che bello il prendersi cura di qualcuno”.
Le cose più piccole, le realtà viste nella loro creaturalità come esseri che ci interpellano “stanno a cuore” del nonno Domenico e della sua Angela:
- Raffaella e il suo ragazzo occhi-verdi
- “Siediti. È festa. La tua vita è in tavola”.
- La variegata percezione della pioggia con le sue infinite variazioni; “Pioveva in quei giorni di ansia e di paura. Una pioggia né buona, né cattiva, una pioggia d’attesa” … “Neppure la pioggia mi consolava”.
- D’improvviso un mondo di sofferenza chiude ogni via di fuga. E tuttavia i ciliegi tornano a fiorire.
- E così scrutando l’amore “che basta a sé stesso, come sentimento che attraversa il tempo e lo spazio, facendosi assoluto” lo percepisce come “stupore di ciliegi a primavera”.
- Anche le nuvole sono onnipresenti e caratterizzano la nostra inquieta interiorità:
- “Siamo nuvole che si aggregano e si disgregano, si formano e si disfanno, assumono sembianze diverse nello spazio e si dileguano”.
- Siamo a noi stessi e agli altri sconosciuti.
- Anche il mare, afferma la poetessa, “l’ho scoperto con te e con te l’ho amato”, con il nonno Domenico, con il quale Angela il 29 giugno, festa di San Pietro e Paolo, andava ad aprire il mare: “oggi si apre il mare”. Una relazione vissuta come “inaugurazione augurale”.
- La relazione come dono e ricchezza da gestire. In tutta la storia di Domenico e del racconto che Angela De Leo ne fa, si tocca con mano il valore delle persone, anche delle più umili, incontrate lungo la strada della vita. Normalmente basta a noi poco per lasciar “perdere” una persona, per toglierle la stima e il rispetto. Nessuna - in questa autobiografia - viene lasciata cadere. Per esempio, è commovente leggere come siano rimaste vive nel ricordo e nella tenerezza del cuore le “tante donne dell’infanzia”. Ricordandole, dedica loro delicati versi attinti al repertorio poetico di Primo Leone: “Le donne del Sud”.
- Lungo la narrazione c’è un confronto continuo con nomi che evocano persone concrete, le più variopinte, che nonostante il tempo e le molteplici vicissitudini della vita abitano nell’oggi della poetessa.
- C’è pure un franco e disarmante confronto con relazioni amicali e parentali che, nonostante il lato ombra della singola personalità, continuano a riempire di valori e di senso il fluire del tempo. Il lettore deve muoversi all’interno di una giungla di incontri vissuti quasi sempre con grande intensità, come pietre miliari lungo la via della vita. Il rispetto e la stima per le persone che il nonno Domenico, con il suo esempio, ha inculcato nella nipotina Angela sboccia come un fiore di primavera in ogni momento della narrazione.
- Anche i nomi degli animali amati e perduti sono ricordati con toccante tenerezza, così come i gatti di Ombretta. Neppure loro sono “lasciati perdere”. La poetessa fissa in una calda poesia il ricordo di Dylan, il cane di famiglia:
- “Tutto mi sta a cuore”, anche le cose, e soprattutto la terra, “madre amara e generosa”. (…)
- 2. Perché nulla vada perduto
Mentre leggo con partecipata attenzione e tensione interiore questa “storia che non ha fine”, mi viene in mente il racconto della moltiplicazione dei pani tramandatoci dai Vangeli. Dopo che cinquemila persone furono saziate con i cinque pani e i due pesci, Gesù disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Riempirono dodici canestri" (Gv. 6,12).
Angela, perché nulla andasse perduto della “storia infinita” di ricordi, di incontri, di attese, di dolore, di amore, di timori, di morte, di pace, delle fragilità…, in cui è coinvolta e in cui si lascia ancora coinvolgere, ha riempito dodici ceste di pane di questa storia. È il secondo volume del racconto “Le piogge e i ciliegi”. Pane fresco, ma anche pane sbocconcellato, - tutto quello che sembra a prima vista “avanzo” o piccolo frammento - pane amaro e pane che è promesso alle nuove generazioni… perché nulla vada perduto - mi sembra uno dei leitmotiv del suo romanzo autobiografico di un uomo straordinario che attraversa tutto il racconto.
È vero, è un paragone un po’ ardito, sovradimensionato per caratterizzare un romanzo autobiografico, ma che tuttavia coglie il senso di questa "storia infinita", dalla quale la poetessa è catturata e nella quale è coinvolta. È proprio quello che lei, con la sua profonda sensibilità poetica e umana ha saputo cogliere e "raccogliere": “Non voglio - afferma lei stessa con intimo trasporto - che di quell'uomo "straordinario" si perda neppure un tratto, una parola, una intenzione, un sentimento, perché è grazie a lui se ho conservato negli anni la purezza del cuore, gli occhi incantati di bambina, l'amore per gli altri e per la vita, una tenerezza particolare per i miei cari e per i miei nipoti a cui desidero consegnare il suo  messaggio più bello: l'autenticità dei sentimenti e la riconoscenza sempre verso il Creatore per tutti i doni che riserva a ciascuna delle sue creature, nella consapevolezza di essere briciola infinitesimale di una sola Anima...”
Cosa salvare allora? “Il ricordo del passato perché non muoia con noi” - risponde Angela, e, quasi come un canto, riassume il tutto con questi versi:
…la culla la casa il filo di luna sospeso
ai camini del tempo
e lo stupore di noi bimbi a cercare
arance e fichisecchi nella calza della befana
e tutti i frutti di sole e di miele raccolti
da una madre amara e generosa
la mia terra
(che d’erba e di mare un tempo profumo aveva)
Il fondamento su cui poggia questa “missione di raccoglitrice” e di “Vestale delle tradizioni” di una famiglia del Sud, nel cui centro c’è un “Uomo straordinario”, il nonno Mincuccio, è la sua fede nel miracolo della vita che continuiamo a sperimentare come ordine e armonia nonostante l’apparente contraddizione delle cose: “Non è possibile che siamo il prodotto del caos primordiale che a caso ci ha generati. Se così fosse, non fiorirebbe la rosa ad ogni maggio né maturerebbero le ciliegie a sorridere di complicità ai papaveri e ai sogni che rinascono a primavera. Non avremmo un bambino e poi un ragazzo e un uomo adulto e, infine un vecchio. Saremmo lapilli impazziti in un pazzo universo. E, invece, tutto è ordine e armonia, anche nell’apparente contraddizione delle nostre vite e di tutte le cose”.
3. Nella filigrana della memoria rifioriscono persone, incontri, tradizioni, valori dell’umano
Al contrario di quanto succede a noi oggi “prigionieri del presente”, senza passato e, di conseguenza, senza futuro, dominati dalla tecnologia, dalla velocità e dal consumismo, con un Io ripiegato in maniera narcisistica su se stesso e sui propri interessi, l’Autrice di questa storia di un uomo straordinario fa rifluire con grande consapevolezza il passato nel presente, narrandolo sia con ritmo diacronico che con procedimento sincronico, sollecitando le microstorie delle singole persone, le loro interazioni, i valori, di cui sono portatrici,  a rifiorire nella stretta dinamica del presente. La poetessa aveva scritto nel I, volume di quest’opera:
“Penso che la scrittura sia un dono divino: fissa nel tempo lacrime e sorrisi. / È simile a una foto. Questa, però, eterna volti e corpi, l’involucro di noi. / La scrittura perpetua l’anima. Doppia immortalità”.
Angela De Leo non è “prigioniera del passato”, dei dorati ricordi d’infanzia. Il suo raccontare è “lontano dall’Io”, sono gli altri, è il mondo al centro della sua attenzione. Ecco perché - quasi per miracolo - ogni più piccolo evento, ogni incontro sprigiona la sua essenza interiore.
Le sue esperienze sono incise - come lei stessa si esprime - sul suo “animo bianco”, bianco come il vestito da sposa, bianco come la somma di tutti i colori, bianco che, proprio perché non colora, è “in attesa di pennellate perché abbia un senso. Come la vita. Ed io quel giorno ero ancora un colore bianco da pennellare con tutti colori dell’amore e dei sogni e delle speranze. Dei fiori intatti…”.
(fine prima parte)



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