sabato 15 giugno 2019

14 giugno. Leopardi e la sua siepe...


Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
Avrei voluto pubblicare ieri questa mia piccola “divagazione” su Giacomo Leopardi e la sua immensa Poesia, ma non ne ho avuto il tempo. Troppi altri impegni di scrittura me lo hanno impedito, ma l’impedimento non ha spento il mio desiderio di ricordare il suo pensiero e ripensarlo a modo mio. Postandolo testardamente sul mio blog.
La morte, 14 giugno 1837, del grande Poeta, sempre amato dai giovani di tutte le età, mi porta a fare delle considerazioni, mie e non solo, non sulla sua fine (se ne sta parlando tanto e con tesi tutte controverse), ma sulla “siepe”, che si opponeva al suo sguardo assetato di infinito. Anche della siepe si è parlato e si sta parlando ancora molto, ma un pensiero voglio esprimerlo anch’io. Non fosse altro perché ieri l’ostacolo a scrivere di lui è stato da me vissuto come una siepe a sbarrarmi il passo già malfermo. E, del resto, ogni siepe mi affascina e mi danna.  Come gli intralci, appunto, gli intoppi, le contrarietà, le barriere. Ci sono siepi cariche di fiori che mi mettono allegria, come gli oleandri di più colori, che un tempo ridevano sulle autostrade grigie di grigio asfalto, oppure le siepi di gelsomino dall’inebriante profumo a rendere atmosfere di sensualità e dolce incanto o, ancora, le siepi di alloro selvatico (prunus laurocerasus), che mi fanno pensare ai serti di alloro di cui si cingono oggi le fronti dei
neolaureati, e un tempo le antiche fronti dei grandi Poeti. Tutte e tre queste siepi circondano perimetralmente il giardino della nostra casa e creano un locus amoenus della tradizione classica oppure un hortus conclusus di medievale memoria: per me un luogo di verde, di pace, di lontananza da un mondo troppo rumoroso, convulso, difficile ormai da vivere. Anche la nostra siepe, dunque, ci esclude la vista di orizzonti ben più ampi, ma non mi ha dato mai il senso della reclusione o della solitudine. Anzi! Mi dà sempre un senso di benessere e di tranquillità, non disgiunte dalla possibilità di “fingermi” altri mondi. Altro e altro ancora. E sono proprio quelle siepi a farmi fantasticare e a portarmi sempre “oltre”. Ecco perché ritengo che l’ostacolo alla vista di un luogo nella sua banale quotidianità possa dischiudere innumerevoli opportunità di orizzonti altri da scavalcare, superare, per andare, in orizzontale, verso sconosciute terre senza fine e, in verticale, verso impensabili universi, ricamati di stelle e buchi neri fino a sentire l’alito divino, in un richiamo che ci nasce dall’anima e nell’anima si completa.
Le siepi, inoltre, mi fanno pensare anche alla terra che custodiscono, e alle radici che vi trovano dimora e alimento, nel buio di ogni mistero che avvolge la nostra nascita e la nostra esplosione alla luce. Ogni seme, piantato o portato per caso dal vento oppure da insetti impollinatori, si schiude per mettere radici. E ogni radice si avvinghia alla terra, abbracciandola, per far nascere rami e fiorire foglie… E, tra queste, ecco schiudersi germogli che invitano alla speranza di sempre rinnovate stagioni di fioritura e rinascita. E le foglie anelano al cielo. Sempre. Forse solo quelle del salice sembrano piangere la loro sconfitta. In verità, io paragono la vita degli uomini a siepi e ad alberi, che hanno bisogno di radici e mistero, ma anche di rami e di foglie per innalzarsi verso la luce e protendersi verso il cielo. Chi non avverte dentro questo anelito è come il salice piangente, ripiegato sulla sua sconfitta che esclude ogni azzurro, ogni soffio divino. Lo stesso stormire delle foglie produce un suono che si fa musica, canto, senso di pace. Mormorio di ricordi lontani, ancestrali, eterni. E “per poco/ il cor non si spaura”. Troppo piccoli noi, infinitamente piccoli, nell’infinitamente grande mistero che ci avvolge in questa bolla iridescente che chiamiamo Natura. “E mi sovvien l’eterno…”. E il pensiero si fa preghiera.  
Ben vengano, dunque, le siepi a impedirci la vista di quanto sta oltre per stimolare la nostra curiosità e far sorgere, da questa, l’interesse, che è il motore della motivazione personale a cercare per scoprire. E questa motivazione, forte, ad andare oltre fa   esplodere la nostra creatività, immaginazione, fantasia. Quel fuoco d’artificio che è illuminazione, esaltazione, pura gioia, appagamento. Ci fa sprofondare dentro di noi, nelle nostre eterne radici, e ci fa volare fuori di noi, verso un futuro che non ci appartiene, ma che possiamo prefigurarci a nostro piacimento. Superando il presente che ci fa stare male perché ci ha rapinato del senso e del significato della nostra storia e della storia dell’umanità, che si perde nella notte dei tempi e si fa mito, leggenda, fiaba, poesia. Paradossalmente, il nostro tempo ci ha rapinato proprio delle radici, per cui non riusciamo più a mettere rami e foglie e fiori. Neppure le siepi fanno parte del nostro presente. Solo muri e cemento, che spengono ogni curiosità, azzerando creatività e fantasia.
Un tempo, gli stessi condizionamenti fisici, familiari, sociali, culturali erano siepi che, come sostiene Adler, bisognava superare per “compensazione”. E la creatività compiva veri miracoli in tal senso. Oggi sono i muri a dividere, a escludere, a recludere. Ogni difetto fisico viene eliminato con la chirurgia estetica, con le protesi, i trapianti. Non costituiscono più un ostacolo, una siepe.
Ogni condizionamento familiare è stato apparentemente annullato da genitori permissivi, ultra protettivi, assenti, indifferenti, azzerando la siepe. Tutto è a portata di mano, di tasca, di strada.
La società complessa, iconica, elettronica, scientifica e tecnologica offre tutti i mezzi per vedere e sentire una realtà virtuale più che reale; offre mezzi supersonici per muoversi “alla velocità della luce” in tempo reale. Basta fare un clic e il mondo virtualmente è nelle nostre mani. Anche qui la siepe è sparita.
E culturalmente si gioca così al ribasso che basta essere poco avvezzi alla lettura, allo studio, alla scrittura per assurgere, seduta stante, a posti di potere, di massima responsabilità, ai vertici di ogni gruppo, comunità, settore, sistema. Con un’apparente assioma: siamo in democrazia. Tutti hanno gli stessi diritti. Non è stato il nostro Novecento il secolo dei diritti contro l’Ottocento, secolo dei doveri kantiani o mazziniani? E gli stessi principi democratici non si sono affermati da noi proprio nel “secolo breve”, con l’emanazione della Costituzione Italiana? E dal Sessantotto in poi non si è preteso, per qualche decennio, agli esami di Stato o a quegli universitari, il “sei politico”, per via di un frainteso senso di “diritto allo studio” di tutti e di ciascuno, che invece di elevare le masse ha abbassato paurosamente il livello culturale di tutti? Anche nella scuola niente più siepi.
E niente siepi in amore. Pare, quest’ultimo, un sentimento ormai ignorato da tutti in funzione di un sesso che reclama i “suoi diritti” del “tutto e subito”, senza neppure che i partner si conoscano, provino un brivido di vera passione, si scambino una promessa di eternità.
Solo Vecchioni riprede l’infinito dell’ultimo Leopardi e ne fa una canzone ricca di sentimenti e di emozioni, attribuendoli al grande recanatese e facendone un capolavoro, per quanti amano la sua musica, la sua poesia.
E forse alcuni insegnanti/educatori ancora capaci di non dare risposte complete ai loro alunni perché possano scoprire da soli, oltre la siepe, le possibili risposte “creative”, che diventino una entusiasmante conquista più che un piatto dato certo, attinto dalla voce di quelli che per forza di cose ne sanno più di loro.
Ed ecco che, grazie alla buona volontà e alla pazienza di chi sa “formare”, almeno in alcune scuole, si piantano ancora siepi e ancora radici e ancora rami, fiori, germogli che daranno frutti. E lasciano ancora un filo di verde speranza.
Ed io sono qui a cancellare ogni triste realtà, perché vorrei ancora poter, con Leopardi e non solo, riprendermi la mie siepi e ritrovare l’immensità dell’anima poetica, in cui dolcemente “naufragar”… Certamente lo farò domani…
E vi ho avvisato che erano solo delle divagazioni sul tema… Buttate là un po’ troppo creativamente? Fate voi…

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