Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo
esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io
quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra
questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo
mare.
Avrei voluto pubblicare ieri questa
mia piccola “divagazione” su Giacomo Leopardi e la sua immensa Poesia, ma non
ne ho avuto il tempo. Troppi altri impegni di scrittura me lo hanno impedito,
ma l’impedimento non ha spento il mio desiderio di ricordare il suo pensiero e
ripensarlo a modo mio. Postandolo testardamente sul mio blog.
La morte, 14 giugno 1837, del grande
Poeta, sempre amato dai giovani di tutte le età, mi porta a fare delle
considerazioni, mie e non solo, non sulla sua fine (se ne sta parlando tanto e
con tesi tutte controverse), ma sulla “siepe”, che si opponeva al suo sguardo
assetato di infinito. Anche della siepe si è parlato e si sta parlando ancora
molto, ma un pensiero voglio esprimerlo anch’io. Non fosse altro perché ieri l’ostacolo
a scrivere di lui è stato da me vissuto come una siepe a sbarrarmi il passo già
malfermo. E, del resto, ogni siepe mi affascina e mi danna. Come gli intralci, appunto, gli intoppi, le
contrarietà, le barriere. Ci sono siepi cariche di fiori che mi mettono
allegria, come gli oleandri di più colori, che un tempo ridevano sulle
autostrade grigie di grigio asfalto, oppure le siepi di gelsomino
dall’inebriante profumo a rendere atmosfere di sensualità e dolce incanto o,
ancora, le siepi di alloro selvatico (prunus
laurocerasus), che mi fanno pensare ai serti di alloro di cui si cingono
oggi le fronti dei
neolaureati, e un tempo le antiche
fronti dei grandi Poeti. Tutte e tre queste siepi circondano perimetralmente il
giardino della nostra casa e creano un locus
amoenus della tradizione classica oppure un hortus conclusus di medievale memoria: per me un luogo di verde, di
pace, di lontananza da un mondo troppo rumoroso, convulso, difficile ormai da
vivere. Anche la nostra siepe, dunque, ci esclude la vista di orizzonti ben più
ampi, ma non mi ha dato mai il senso della reclusione o della solitudine. Anzi!
Mi dà sempre un senso di benessere e di tranquillità, non disgiunte dalla possibilità
di “fingermi” altri mondi. Altro e altro ancora. E sono proprio quelle siepi a
farmi fantasticare e a portarmi sempre “oltre”. Ecco perché ritengo che l’ostacolo
alla vista di un luogo nella sua banale quotidianità possa dischiudere
innumerevoli opportunità di orizzonti altri da scavalcare, superare, per
andare, in orizzontale, verso sconosciute terre senza fine e, in verticale,
verso impensabili universi, ricamati di stelle e buchi neri fino a sentire
l’alito divino, in un richiamo che ci nasce dall’anima e nell’anima si
completa.
Le siepi, inoltre, mi fanno pensare anche
alla terra che custodiscono, e alle radici che vi trovano dimora e alimento,
nel buio di ogni mistero che avvolge la nostra nascita e la nostra esplosione
alla luce. Ogni seme, piantato o portato per caso dal vento oppure da insetti
impollinatori, si schiude per mettere radici. E ogni radice si avvinghia alla
terra, abbracciandola, per far nascere rami e fiorire foglie… E, tra queste, ecco
schiudersi germogli che invitano alla speranza di sempre rinnovate stagioni di
fioritura e rinascita. E le foglie anelano al cielo. Sempre. Forse solo quelle
del salice sembrano piangere la loro sconfitta. In verità, io paragono la vita
degli uomini a siepi e ad alberi, che hanno bisogno di radici e mistero, ma anche
di rami e di foglie per innalzarsi verso la luce e protendersi verso il cielo.
Chi non avverte dentro questo anelito è come il salice piangente, ripiegato
sulla sua sconfitta che esclude ogni azzurro, ogni soffio divino. Lo stesso
stormire delle foglie produce un suono che si fa musica, canto, senso di pace.
Mormorio di ricordi lontani, ancestrali, eterni. E “per poco/ il cor non si spaura”. Troppo piccoli noi, infinitamente
piccoli, nell’infinitamente grande mistero che ci avvolge in questa bolla
iridescente che chiamiamo Natura. “E mi
sovvien l’eterno…”. E il pensiero si fa preghiera.
Ben vengano, dunque, le siepi a impedirci
la vista di quanto sta oltre per stimolare la nostra curiosità e far sorgere,
da questa, l’interesse, che è il motore della motivazione personale a cercare
per scoprire. E questa motivazione, forte, ad andare oltre fa esplodere
la nostra creatività, immaginazione, fantasia. Quel fuoco d’artificio che è
illuminazione, esaltazione, pura gioia, appagamento. Ci fa sprofondare dentro
di noi, nelle nostre eterne radici, e ci fa volare fuori di noi, verso un futuro
che non ci appartiene, ma che possiamo prefigurarci a nostro piacimento. Superando
il presente che ci fa stare male perché ci ha rapinato del senso e del significato
della nostra storia e della storia dell’umanità, che si perde nella notte dei
tempi e si fa mito, leggenda, fiaba, poesia. Paradossalmente, il nostro tempo
ci ha rapinato proprio delle radici, per cui non riusciamo più a mettere rami e
foglie e fiori. Neppure le siepi fanno parte del nostro presente. Solo muri e cemento,
che spengono ogni curiosità, azzerando creatività e fantasia.
Un tempo, gli stessi condizionamenti
fisici, familiari, sociali, culturali erano siepi che, come sostiene Adler,
bisognava superare per “compensazione”. E la creatività compiva veri miracoli
in tal senso. Oggi sono i muri a dividere, a escludere, a recludere. Ogni difetto
fisico viene eliminato con la chirurgia estetica, con le protesi, i trapianti. Non
costituiscono più un ostacolo, una siepe.
Ogni condizionamento familiare è stato
apparentemente annullato da genitori permissivi, ultra protettivi, assenti,
indifferenti, azzerando la siepe. Tutto è a portata di mano, di tasca, di
strada.
La società complessa, iconica,
elettronica, scientifica e tecnologica offre tutti i mezzi per vedere e sentire
una realtà virtuale più che reale; offre mezzi supersonici per muoversi “alla
velocità della luce” in tempo reale. Basta fare un clic e il mondo virtualmente
è nelle nostre mani. Anche qui la siepe è sparita.
E culturalmente si gioca così al
ribasso che basta essere poco avvezzi alla lettura, allo studio, alla scrittura
per assurgere, seduta stante, a posti di potere, di massima responsabilità, ai
vertici di ogni gruppo, comunità, settore, sistema. Con un’apparente assioma:
siamo in democrazia. Tutti hanno gli stessi diritti. Non è stato il nostro Novecento
il secolo dei diritti contro l’Ottocento, secolo dei doveri kantiani o
mazziniani? E gli stessi principi democratici non si sono affermati da noi
proprio nel “secolo breve”, con l’emanazione della Costituzione Italiana? E dal
Sessantotto in poi non si è preteso, per qualche decennio, agli esami di Stato
o a quegli universitari, il “sei politico”, per via di un frainteso senso di “diritto
allo studio” di tutti e di ciascuno, che invece di elevare le masse ha
abbassato paurosamente il livello culturale di tutti? Anche nella scuola niente
più siepi.
E niente siepi in amore. Pare, quest’ultimo,
un sentimento ormai ignorato da tutti in funzione di un sesso che reclama i “suoi
diritti” del “tutto e subito”, senza neppure che i partner si conoscano,
provino un brivido di vera passione, si scambino una promessa di eternità.
Solo Vecchioni riprede l’infinito dell’ultimo
Leopardi e ne fa una canzone ricca di sentimenti e di emozioni, attribuendoli
al grande recanatese e facendone un capolavoro, per quanti amano la sua musica,
la sua poesia.
E forse alcuni insegnanti/educatori
ancora capaci di non dare risposte complete ai loro alunni perché possano
scoprire da soli, oltre la siepe, le possibili risposte “creative”, che diventino
una entusiasmante conquista più che un piatto dato certo, attinto dalla voce di
quelli che per forza di cose ne sanno più di loro.
Ed ecco che, grazie alla buona volontà
e alla pazienza di chi sa “formare”, almeno in alcune scuole, si piantano
ancora siepi e ancora radici e ancora rami, fiori, germogli che daranno frutti.
E lasciano ancora un filo di verde speranza.
Ed io sono qui a cancellare ogni
triste realtà, perché vorrei ancora poter, con Leopardi e non solo, riprendermi
la mie siepi e ritrovare l’immensità dell’anima poetica, in cui dolcemente “naufragar”…
Certamente lo farò domani…
E vi ho avvisato che erano solo delle
divagazioni sul tema… Buttate là un po’ troppo creativamente? Fate voi…
Nessun commento:
Posta un commento