domenica 28 aprile 2019

28 aprile 2019: tempo di Memoria/memorie.


Solo tre giorni fa abbiamo festeggiato in tanti in Italia il 25 aprile: giorno della Liberazione dalla dittatura nazi-fascista e della nascita della nostra Democrazia. Grazie alla lotta partigiana e al sacrificio di tanti nostri giovani per restituire dignità, libertà e pace al nostro tormentato Paese. Come non parlare di Memoria?
Eppure, quanti hanno dimenticato la nostra Storia. Quanti continuano a strumentalizzarla per fini politici e di propaganda elettorale? Quanti ne parlano con indifferenza anche al cospetto di rigurgiti razzisti e di giovani che inneggiano al fascismo e si fanno tatuare svastiche sul corpo, ignorando di imprimere sulla propria pelle un marchio d’infamia?
Ieri sera, in un insolito momento di relax, facendo zapping tra i canali televisivi, mi sono fermata, su Rai 3, ad ascoltare le storie, che nascono da alcune parole messe a fuoco da Massimo Gramellini nel suo “spazio” preserale del sabato. Ebbene, il bravo conduttore ha intervistato una ex partigiana di 94 anni, la cui memoria e la cui lucidità mentale mi sono sembrate davvero un prodigio. Elegante, sobria, attenta, ha ricordato i tempi bui della Resistenza vissuta con passione e fierezza, oltre che con coraggio inaudito. Una narrazione pacata e fremente insieme. Ricordi indelebili nella sua mente e nel suo cuore. Con un unico rammarico: aver rischiato la vita e aver patito la fame e ogni sorta di angherie e tribolazioni per una Italia, quella attuale, che ha perso la memoria e il senso vero della libertà. Una Italia “appiattita” nella corsa esclusiva ai piaceri materiali e “dimentica di un solo atto di coraggio” per essere VIVA. Tutto vero e condivisibile. Ammirevole e ammirabile, questa Signora con tante rughe sul volto fi luminosa fierezza e dalla tempra eccezionale, ancora “tumultuosa”, che tutti dovremmo conoscere e imitare. Per non dimenticare. Per imparare a vibrare di autentiche passioni valoriali più che di fremiti incontrollati di visibilità e notorietà a buon mercato.
La memoria. Quanto importante che sia vera e non inficiata da una soggettività che ci restituisce quello che è apparso o è stato percepito a discapito di quanto sia realmente accaduto. Non esiste, a mio parere, la Memoria collettiva; ci sono invece tanti frantumi di memorie soggettive, che di volta in volta mutano, in riferimento alla condizione psicologica del momento, alla situazione storica, alla contingenza esperienziale, alla maturità raggiunta, ai condizionamenti mai del tutto superati. Occorre allora fare dei distinguo. Altro è la memoria documentata da foto, immagini, eventi storici conclamati, registrazioni di discorsi, libri e saggi critici di sociologia e storia, e l’insieme di parole, suoni, canti popolari, che hanno connotato un periodo storico-culturale ben preciso; altro è quanto è affidato esclusivamente alla nostra sensibilità emotiva. O abbiamo conservarlo vivo nel cuore. Come tutto quello che è difficile dimenticare. Solo i documenti inconfutabili possono aiutarci a ricordare, possibilmente in maniera oggettiva, quello che inevitabilmente viene filtrato dalla nostra memoria soggettiva. Nessuno può, quindi, dire: ho, come te, buona memoria. Perché quest’ultima difficilmente viene conservata, percepita e vissuta allo stesso modo.
“ma…
improvvisamente la luce di un ricordo accende il buio e si moltiplica all’infinito. Guizzo di fari accesi nell’imprendibile imperdibile (in)consistenza della memoria.
                                               La memoria
È una camera oscura attraversata da lampi di ricordi che illuminano i ritratti ovali con tetre o dorate cornici di legno massiccio nella galleria di musei installati in antichi palazzi, che credevamo distrutti dall’usura del tempo e che tornano a vivere nel restauro di nuovi giorni, al tentato recupero di ciò che è stato e mai più sarà. Volti del passato ritornano con un richiamo di voci, tra quieta sonnolenza di stagioni o improvvisi tumulti del cuore, a riportarci paesi attraversati, impolverati di dimenticanza, case un tempo abitate, vie percorse tra odori sensazioni richiami suoni musiche emozioni. In un mosaico sbrindellato e mai perfettamente combaciante con la realtà che chiamiamo passato storia vita.
Esistenza nostra e degli altri. Di quelli che passarono e          apparentemente non lasciarono traccia

Non esistono al mondo uomini non interessanti. 
I loro destini sono come le storie dei pianeti.
Ognuno ha la sua particolarità, non ha un pianeta che gli sia simile. (…)
Ognuno ha il suo segreto mondo personale.
In quel mondo c’è un attimo felice.
C’è in quel mondo l’ora più orribile,
ma tutto ci resta sconosciuto.
Quando un uomo muore,
muore con lui la sua prima neve,
e il primo bacio e la prima battaglia…
Tutto questo egli porta con sé.
(…)
Certo, molto è destinato a restare,
eppur sempre qualcosa se ne va.
È la legge di un gioco spietato.
Non sono uomini che muoiono, ma mondi.
(…)
Gli uomini se ne vanno….
e non tornano più
Non risorgono i loro mondi segreti.
E ogni volta vorrei gridare ancora
contro questo irrevocabile destino.
(E. A. Evtushenko, stralci da “Uomini”)
Per risorgere bisogna rimanere vivi nella memoria di chi ci ha amato, ci ama. Ma è prima necessario che chi ci ricorda rimanga egli stesso vivo. Nella consapevolezza di sé e del proprio passato. (…)
Ma, per riconoscerci, è necessario scoprirsi, accendere i fari sui ritrovati ricordi perché si facciano memoria di noi e degli altri, individuale e universale, in un andare a ritroso in quella galleria personale, dove spazio e tempo si azzerano per sconfinare in un “luogo” che ci spaurisce perché cela il mistero di noi e lo attualizza con spietata crudeltà. I fari illuminano quanto avevamo a fatica dimenticato, quanto ci eravamo illusi di azzerare, quanto ci era sembrato giusto soffocare nelle spire della “camera oscura”, dove si aggirano le nostre ombre. Quelle del passato e quelle del presente, in una confusa sarabanda di tempi luoghi azioni situazioni.
E oggi sono convinta che si può scrivere con autenticità solo delle esperienze vissute in prima persona. Ed essere credibili. Altrimenti è solo una costruzione logica o fantastica, ma priva di verità. Ed è quest’ultima che rende universale la nostra storia privata. Soprattutto quando fa male perché ognuno può ritrovare sé stesso in quella ferita. In quel pianto. Che è tanto più vero quanto più ci appartiene e appartiene alla gente che si dibatte in mille contraddizioni e si riconosce nelle qualità e nei limiti, nelle conquiste e negli errori, nell’ideale di quello che vorrebbe essere, e nel reale di ciò che è. E i ricordi servono anche a questo. A darci la nostra giusta dimensione nel tempo e nello spazio. Innanzi tutto individuale.
                    Nella nostra anima che non conosce confini
È bene, allora, farci illuminare e riscaldare dalla tenerezza dei buoni ricordi, se vogliamo rinascere e non solo sopravvivere a noi stessi:
                                             volti… voci… richiami…
per mettere in fuga la pioggia che batte con piede cattivo sui nostri pensieri e fare spazio all’arcobaleno che ogni scrosciare d’acque porta con sé.
                 E ogni notte si fa Alba Mattino Tramonto Sera
Poi, si ricomincia. In una scia di luci-ombre-luci… senza fine…”.
(da Le piogge e i ciliegi, SECOP Edizioni, Corato-Bari, II volume di prossima pubblicazione).

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