Solo tre giorni fa abbiamo festeggiato
in tanti in Italia il 25 aprile: giorno della Liberazione dalla dittatura
nazi-fascista e della nascita della nostra Democrazia. Grazie alla lotta
partigiana e al sacrificio di tanti nostri giovani per restituire dignità,
libertà e pace al nostro tormentato Paese. Come non parlare di Memoria?
Eppure, quanti hanno dimenticato la
nostra Storia. Quanti continuano a strumentalizzarla per fini politici e di
propaganda elettorale? Quanti ne parlano con indifferenza anche al cospetto di
rigurgiti razzisti e di giovani che inneggiano al fascismo e si fanno tatuare
svastiche sul corpo, ignorando di imprimere sulla propria pelle un marchio d’infamia?
Ieri sera, in un insolito momento di
relax, facendo zapping tra i canali televisivi, mi sono fermata, su Rai 3, ad
ascoltare le storie, che nascono da alcune parole messe a fuoco da Massimo
Gramellini nel suo “spazio” preserale del sabato. Ebbene, il bravo conduttore
ha intervistato una ex partigiana di 94 anni, la cui memoria e la cui lucidità
mentale mi sono sembrate davvero un prodigio. Elegante, sobria, attenta, ha
ricordato i tempi bui della Resistenza vissuta con passione e fierezza, oltre
che con coraggio inaudito. Una narrazione pacata e fremente insieme. Ricordi indelebili
nella sua mente e nel suo cuore. Con un unico rammarico: aver rischiato la vita
e aver patito la fame e ogni sorta di angherie e tribolazioni per una Italia,
quella attuale, che ha perso la memoria e il senso vero della libertà. Una Italia
“appiattita” nella corsa esclusiva ai piaceri materiali e “dimentica di un solo
atto di coraggio” per essere VIVA. Tutto vero e condivisibile. Ammirevole e
ammirabile, questa Signora con tante rughe sul volto fi luminosa fierezza e dalla
tempra eccezionale, ancora “tumultuosa”, che tutti dovremmo conoscere e
imitare. Per non dimenticare. Per imparare a vibrare di autentiche passioni
valoriali più che di fremiti incontrollati di visibilità e notorietà a buon
mercato.
La memoria. Quanto importante che sia
vera e non inficiata da una soggettività che ci restituisce quello che è
apparso o è stato percepito a discapito di quanto sia realmente accaduto. Non esiste,
a mio parere, la Memoria collettiva; ci sono invece tanti frantumi di memorie
soggettive, che di volta in volta mutano, in riferimento alla condizione
psicologica del momento, alla situazione storica, alla contingenza
esperienziale, alla maturità raggiunta, ai condizionamenti mai del tutto
superati. Occorre allora fare dei distinguo. Altro è la memoria documentata da
foto, immagini, eventi storici conclamati, registrazioni di discorsi, libri e
saggi critici di sociologia e storia, e l’insieme di parole, suoni, canti popolari,
che hanno connotato un periodo storico-culturale ben preciso; altro è quanto è
affidato esclusivamente alla nostra sensibilità emotiva. O abbiamo conservarlo
vivo nel cuore. Come tutto quello che è difficile dimenticare. Solo i documenti
inconfutabili possono aiutarci a ricordare, possibilmente in maniera oggettiva,
quello che inevitabilmente viene filtrato dalla nostra memoria soggettiva. Nessuno
può, quindi, dire: ho, come te, buona memoria. Perché quest’ultima
difficilmente viene conservata, percepita e vissuta allo stesso modo.
“ma…
improvvisamente la luce di un ricordo accende il
buio e si moltiplica all’infinito. Guizzo di fari accesi nell’imprendibile
imperdibile (in)consistenza della memoria.
La memoria
È una camera oscura attraversata da lampi di
ricordi che illuminano i ritratti ovali con tetre o dorate cornici di legno
massiccio nella galleria di musei installati in antichi palazzi, che credevamo
distrutti dall’usura del tempo e che tornano a vivere nel restauro di nuovi
giorni, al tentato recupero di ciò che è stato e mai più sarà. Volti del
passato ritornano con un richiamo di voci, tra quieta sonnolenza di stagioni o
improvvisi tumulti del cuore, a riportarci paesi attraversati, impolverati di
dimenticanza, case un tempo abitate, vie percorse tra odori sensazioni richiami
suoni musiche emozioni. In un mosaico sbrindellato e mai perfettamente
combaciante con la realtà che chiamiamo passato storia vita.
Esistenza nostra e degli altri. Di quelli che passarono e apparentemente non lasciarono traccia
Non esistono al mondo uomini non
interessanti.
I loro destini sono come le storie
dei pianeti.
Ognuno ha la sua particolarità, non
ha un pianeta che gli sia simile. (…)
Ognuno ha il suo segreto mondo personale.
In quel mondo c’è un attimo felice.
C’è in quel mondo l’ora più orribile,
ma tutto ci resta sconosciuto.
ma tutto ci resta sconosciuto.
Quando un uomo muore,
muore con lui la sua prima neve,
muore con lui la sua prima neve,
e il primo bacio e la prima
battaglia…
Tutto questo egli porta con sé. (…)
Tutto questo egli porta con sé. (…)
Certo, molto è destinato a restare,
eppur sempre qualcosa se ne va.
eppur sempre qualcosa se ne va.
È la legge di un gioco spietato.
Non sono uomini che muoiono, ma mondi. (…)
Non sono uomini che muoiono, ma mondi. (…)
Gli uomini se ne vanno….
e non tornano più
e non tornano più
Non risorgono i loro mondi segreti.
E ogni volta vorrei gridare ancora
contro questo irrevocabile destino.
contro questo irrevocabile destino.
(E. A. Evtushenko, stralci da
“Uomini”)
Per risorgere
bisogna rimanere vivi nella memoria di chi ci ha amato, ci ama. Ma è prima
necessario che chi ci ricorda rimanga egli stesso vivo. Nella consapevolezza di
sé e del proprio passato. (…)
Ma, per
riconoscerci, è necessario scoprirsi, accendere i fari sui ritrovati ricordi
perché si facciano memoria di noi e degli altri, individuale e universale, in
un andare a ritroso in quella galleria personale, dove spazio e tempo si
azzerano per sconfinare in un “luogo” che ci spaurisce perché cela il mistero
di noi e lo attualizza con spietata crudeltà. I fari illuminano quanto avevamo
a fatica dimenticato, quanto ci eravamo illusi di azzerare, quanto ci era
sembrato giusto soffocare nelle spire della “camera oscura”, dove si aggirano
le nostre ombre. Quelle del passato e quelle del presente, in una confusa
sarabanda di tempi luoghi azioni situazioni.
E oggi sono
convinta che si può scrivere con autenticità solo delle esperienze vissute in
prima persona. Ed essere credibili. Altrimenti è solo una costruzione logica o
fantastica, ma priva di verità. Ed è quest’ultima che rende universale la
nostra storia privata. Soprattutto quando fa male perché ognuno può ritrovare
sé stesso in quella ferita. In quel pianto. Che è tanto più vero quanto più ci
appartiene e appartiene alla gente che si dibatte in mille contraddizioni e si
riconosce nelle qualità e nei limiti, nelle conquiste e negli errori,
nell’ideale di quello che vorrebbe essere, e nel reale di ciò che è. E i
ricordi servono anche a questo. A darci la nostra giusta dimensione nel tempo e
nello spazio. Innanzi tutto individuale.
Nella nostra anima che non conosce confini
È bene,
allora, farci illuminare e riscaldare dalla tenerezza dei buoni ricordi, se
vogliamo rinascere e non solo sopravvivere a noi stessi:
volti… voci… richiami…
per mettere in
fuga la pioggia che batte con piede cattivo sui nostri pensieri e fare spazio
all’arcobaleno che ogni scrosciare d’acque porta con sé.
E
ogni notte si fa Alba Mattino Tramonto Sera
Poi, si
ricomincia. In una scia di luci-ombre-luci… senza fine…”.
(da Le
piogge e i ciliegi, SECOP Edizioni, Corato-Bari, II volume di prossima
pubblicazione).
Grazie di cuore! Rita Vecchi
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