“Conosco Angela da circa 35 anni. L’ho
sempre ammirata per le sue capacità di scrittrice, di poetessa, di critico
letterario, per la sua grande umanità, bontà e sensibilità.
Nel suo bellissimo romanzo autobiografico ho trovato che Angela, ormai adulta,
non è molto dissimile dalla bambina, descritta nel libro: vivace, intelligente,
sensibile.
Di questo romanzo ho colto alcuni particolari (flashes), essendo il
romanzo voluminoso.
Angela, che in casa veniva chiamata con il diminutivo di Lina, inizia il libro
sostenendo: “Non dormo.” (consolati, cara Lina, gli scrittori, i pittori, gli
artisti in genere sono tutti insonni, spesso “meteoropatici”). “Soffro
d’insonnia da sempre.”
Ma quando piove, il suono cadenzato della pioggia culla i suoi occhi e
dorme.
Nel romanzo, che ho letto con piacere, la figura che predomina è quella del
nonno, il “pater familias”. Un agricoltore, che in un momento di
crisi ed in tempo di guerra, non solo si prende cura della famiglia, ma riesce
a risolvere anche i problemi di quanti si affidavano alla sua generosità.
Accanto alla figura del nonno, che lei chiama “papà” (qui si evidenzia il
complesso di Edipo), l’autrice non trascura la nonna, paziente, laboriosa, che
sapeva controllare i capricci della vivace nipotina.
Il nonno l’aveva sposata giovanissima.
Raccontava, con una tenera immagine, che al ritorno dal lavoro nei campi
osservava la sua giovane sposa che giocava, con la corda, con le compagne nella
piazzetta antistante al portone di casa…
Quindi, nacque il primo figlio, così la nonna non giocò più. Divenne
responsabile.
La nonna ebbe molti figli. Ne morirono dieci. La mortalità infantile era tanta
in quell’epoca. La giovane donna di fronte al dolore, ricorreva alla fede, al
vivere nell’amore (condensato nel mandatum novum, nel nuovo
comandamento, cioè: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati”), così
riusciva a superare ogni male e a vivere un po’ più serena.
La famiglia patriarcale, che si fonda sul capo, sul patriarca, e in cui Lina
viveva, era un ambiente favorevole ed importante per la sua formazione, da
questa riceveva tanti stimoli, in contrapposizione alla vigente e
costituzionale famiglia nucleare, quella, cioè, che si fonda sul nucleo
familiare: il coniuge ed i figli.
Il nonno, onnipresente, rimarcava nella nipotina sentimenti forti e
determinati.
In Angela, come in tutti i singoli individui, non poteva non svilupparsi
l’autogenesi e la filogenesi, ossia lo sviluppo storico e quello individuale.
Così si individuavano in lei sentimenti estetici che esaltavano quelli
intellettuali. Infatti, in lei si trovavano presenti tutti i sentimenti nella
loro ingenua spontaneità che, solitamente, si manifestano nel bambino e ne
fanno un essere aperto e vibrante ai flussi della vita e lo avviano verso le prime
fonti del piacere e del dolore.
Jean-Jacques
Rousseau, psicologo svizzero, in questo aspetto della vita psichica, individuò
le origini limpide e buone della esistenza (sostenendo che il bambino nasce
buono).
È certo che i buoni sentimenti fanno vibrare Angela, la rendono espansiva verso
le persone care. Se avvertiva di essere presa in giro, però, offesa nel suo
amor proprio, diventava, da bambina, furiosa e ribelle. Così quando la nonna,
pur di accontentarla, le dà il permesso di andare dalla vicina, Sabellina, per
chiederle “il patimo rosso” (l’intrattieni, cioè intrattenere, passare
del tempo), è grande il risentimento che prova quando scopre di essere stata,
raggirata, presa in
giro, ridicolizzata.
Lina, sa attingere dal dolore una gran forza. Quando la mamma, per
esempio, la lasciava dai nonni e andava via, lei provava un gran dispiacere per
il distacco ma, orgogliosa com’era, si metteva a cantare, non salutava la
mamma, per cui agli altri appariva indifferente. Cantava per non piangere. Comportamento
che ha conservato per molti anni, fino alle soglie della giovinezza.
Come tutti i bambini, ad Angela piaceva andare in campagna ed era felice quando
era a contatto con la natura.
In campagna si gioca con la terra, con le foglie, si scoprono dei piccoli
graziosi animaletti e Lina chiede sempre al nonno di andare con lui, ma il
nonno la conduce soprattutto alla raccolta delle ciliege.
Quel giorno per lei è un giorno speciale: è bello
toccare con le manine quel frutto affascinante, liscio, rosso, bello, buono,
saporito.
Attraverso
l’amore per la natura passa dal bello al bene, al trascendente, dai sentimenti
corporei a quelli superiori, nobili e buoni, verso la contemplazione.
L’autrice, in famiglia si forma nell’educazione estetica. Nella sfera del
sentimento, entrano forme attraenti, elevate di umanità e di spiritualità: la
morale, la religione, collegate tra loro da vincoli indissolubili, come gradini
di una scala in ascesa, fino ad entrare direttamente nelle sfere ideali
dell’arte in genere. Lina ama la musica anche la musica operistica e canta
alcune arie, soprattutto quelle della Traviata.
Lina era mancina, ma in casa e a scuola la obbligavano ad usare la destra. Ciò le
procurava grande disagio, rallentando la sua maturazione e il suo
apprendimento. Era, infatti, una forma di violenza, ormai superata per fortuna.
Tutti i genitori sono psicologi improvvisati: rapido è il passaggio da
indulgenze estreme a inasprimenti improvvisi ed eccessivi.
Con suo padre non c’era mai stato un buon rapporto. Era tornato dalla guerra
dopo quattro anni ed era per l’autrice uno sconosciuto, che poco la
comprendeva. Spesso la rimproverava, la chiamava incapace, stupida, diversa. L’autrice
finì quasi per odiarlo.
Suo padre non aveva capito che Angela era ricca di immaginazione, di
fantasia, era già una piccola artista, una poetessa. Lei non era come loro: esprimeva
l’universale. Era artefice di favole. Nella sua mente si riproducevano
immagini. Rappresentava le cose come dovevano essere (Sofocle), non come
sono (Euripide).
“Le
piogge e i ciliegi” è uno scrigno pieno di tesori, ricco di filastrocche, di
ricordi, di canti, di proverbi, di poesie, di preghiere, di detti, di nomi
di cantanti, di avvenimenti, di giochi. È impossibile poter in pochi fogli
riassumere tutte le vicende raccontate dall’autrice.
Angela descrive con minuzia di parole e con entusiasmo anche il Natale.
Il nonno preparava il presepe, le cui montagne venivano realizzate
con la carta, spessa e giallognola, un tempo utilizzata pe ravvolgere la
pasta (i maccheroni, “i ziti”); ai piedi di queste veniva adagiato il
muschio, le statue di cartapesta, il tutto abbellito ai lati con i rami di
mandarino, con i suoi frutti profumati. In tutta la casa si spandevano i buoni
profumi dei dolcetti natalizi: le cartellate, i calzoncelli, i mostaccioli, i
taralli col gileppo, ecc. Tutto preparato dalle mani preziose delle donne di
casa.
L’autrice descrive la Pasqua con meno entusiasmo, ma con minuzia di
particolari (compresa la spassosa recita delle litanie). La Pasqua è triste, ma
ci sono in casa gli stessi profumi del Natale, “la festosa atmosfera dei dolci
fatti in casa”
E proprio ad una Pasqua, in chiesa, il nonno si sentì male. Per fortuna si
trattava solo del dolore del nervo sciatico. Ma viene evidenziata da Angela la
solidarietà generosa di tutti quelli che erano in chiesa e che lo aiutarono,
portandolo su una sedia fino a casa.
Angela, aveva paura del buio: vi è una paura ereditaria, senza una
motivazione precisa, senza conoscenza esatta del pericolo
minacciante, la paura può essere anche forma di difesa per il timore di
perdere gli affetti. Sul perché della paura del bambino dovremmo discutere e
interpellare Freud, Jung, Adler o altri psicanalisti, ma anche la psicanalisi,
quale teoria dell’inconscio, della psiche umana, non è in grado di offrire una
sufficiente dimostrazione scientifica.
Spesso
le paure si perdono nell’età evolutiva ed adulta, ma l’autrice dichiara che
alcune paure rimangono.
Arrivano, intanto, gli anni ‘50. Lina, descrive con entusiasmo il giorno
della sua prima comunione, le feste da ballo, il boom economico, il primo
frigorifero, la tv, ecc. Scopre di amare la letteratura, l’amore per
classici. Col tempo diventerà una brava scolara.
Lina
cresce. E nasce il primo amore: l’amore per Primo, il giovane che sarà suo
marito. Durante i periodi di lontananza, arrivano le sue lettere. Nella
lettera, secondo l’autrice, “c’è sempre un gioco di confidenze, confessioni,
proteste sussurrate, mai urlate”.
Nasce il sentimento
che è di importanza fondamentale per tutte le molteplici reazioni dell’esistenza.
La morte del nonno
diventa anche la sua fine. Avverte, con dolore profondo, di aver perso il
suo “alter ego”.
Ho apprezzato (e mi ha divertito)
la presentazione del libro fatto dalla stessa autrice. Per la prima volta una
presentazione scanzonata e intelligente.
Consiglio di leggere questo bel
libro in cui possiamo ritrovare il nostro vissuto, la nostra storia di
uomini e donne del Sud, di questa magnifica terra che è la Puglia, conosciuta
anche come le Puglie, una terra al plurale, un luogo che cela anime diverse,
sospese tra natura, storia, tradizione, gusto, spiritualità.
A questo
fantastico libro auguro tanta fortuna.
Anna Gramegna
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