"Il sillabario dei valori perduti" di Valentino Losito
“Non c’è nave che
possa come un libro/portarci nelle terre più lontane/”: questi verso di Emily
Dickinson mi sono subito risuonati come una irresistibile chiamata per
“imbarcarmi” sul libro di Angela De Leo Le
piogge e i ciliegi, perché sono pagine capaci di portarci nelle terre del
ricordo, così lontane eppure così vicine e presenti nei nostri cuori.
Credo che il più
bell’elogio che si possa fare a questo romanzo è dire che è un libro
provinciale, nella straordinaria accezione letteraria che a questo aggettivo ha
dato Amos Oz, il grande scrittore israeliano recentemente scomparso.
“Ogni romanzo e ogni
racconto - scrive Amos Oz - non è
ambientato nel mondo, né in una nazione, né in una città, ma sempre in un
quartiere, in un sobborgo, in una strada, nel mondo che si estende dalla
farmacia all’angolo della via e il negozio di alimentari all’altro capo della
strada. Questo è un piccolo mondo locale e, più locale e provinciale è questo
mondo, migliori sono le possibilità che la sua portata diventi universale,
perché se noi scaviamo abbastanza in profondità, scopriamo che tutti i nostri
segreti sono gli stessi”.
È così anche per il libro
di Angela, che contiene pagine con salde radici nella vita di un paese del Sud,
dell’eterna e umanissima provincia italiana. Un meraviglioso scrigno dove ognuno
può pescare a piene mani e ogni volta ne viene su un piccolo gioiello. Un libro
generativo che ci prende per mano e ci si spinge a tornare anche noi dalle
parti del cuore, cioè nell’ufficio dei ricordi smarriti.
Ma il libro è
generativo anche in un altro senso, cioè i ricordi diventano una straordinaria
occasione anche per percorrere le vie dell’oggi.
Viviamo tempi
inquieti, in cui sembriamo aver perso alcuni valori fondanti del nostro vivere
come persone e come società. Avvertiamo una profonda solitudine proprio in quel
villaggio globale che doveva connettere mettere insieme tutto. Oggi sono connessi
i nostri pc, ma spesso sono sconnessi i nostri cuori.
Il libro di Angela,
attraverso la figura centrale di nonno Minguccio, è in realtà un sillabario di
parole e virtù perdute che oggi dobbiamo assolutamente recuperare per scrivere
una nuova grammatica dell’umano nel tempo della rivoluzione elettronica. Perché
- come scrive Angela - i giovani conoscano la storia non dai libri ma da chi ha
lasciato orme di sogni e di dolore.
La prima parola-valore
chiave di questo sillabario è “pazienza”, intesa come la virtù di un mondo
contadino che sapeva custodire, seminare, coltivare, aspettare. Non come
sopportazione di un irreversibile destino, ma come custodia creativa del tempo.
Sembra di rileggere un passo della lettera di San Paolo ai Romani “… e noi
ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce
pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza…”.
La seconda parola è “pane”:
Angela ricorda come le lunghe sere d’inverno si accendevano delle parole del
nonno, con i suoi racconti fantastici, gli aneddoti, i ricordi di guerra e le
filastrocche in dialetto. Quella voce ferma, che i ragazzi ascoltavano trasognati,
erano l’altro “pane quotidiano”. Oggi abbiamo il pane, a volte lo buttiamo,
ma ci manca il pane della parola, dei volti, delle relazioni. Quel pane della
parola che nonno Minguccio sapeva spezzare con i suoi nipoti così come spezzava
il poco pane che arrivava sulla tavola di famiglia.
La terza parola è “poesia”:
solo un animo come quello dell’autrice poteva vedere brillare la poesia nei
minuscoli chiodini che il vecchio calzolaio, con sagacia, a colpi di
martelletto e pazienza conficcava nella suola delle scarpe della buona gente.
Anche i poveri, con le scarpe risuolate potevano sognare di camminare sulle
stelle.
Infine la “pioggia”. E
qui ci viene incontro Kahlil Gibran quando ci ricorda che “il vero amore è
l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più
felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro
che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come
sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia”.
Questo libro ci aiuta
a danzare sotto la pioggia.
Grazie, Valentino, amico mio carissimo e grande giornalista (scrittore e poeta) per
queste tue focalizzazioni, molto originali e interessanti, colte tra le righe
del mio fluviale romanzo, incompleto eppure già in sé conchiuso.
Nel tuo “sillabario
dei valori perduti” non sarà facile dimenticare alcune parole che, con pazienza certosina e grande amore per la verità, hai scoperto. Iniziano, guarda caso, proprio con la “P” di:
pazienza, pane, poesia, pioggia. E ciascuna ha un significato profondo ed
esteso, che la tua “sapientia cordis” ha saputo cercare, rovistando tra i miei
sentimenti, tra i tuoi ricordi personali e tra pagine di dotte e “sacre”
letture, che ti hanno accompagnato nel tempo, per ritrovare il senso di una
spiritualità amorosa e amorevole, oggi completamente dimenticata. Da recuperare.
Con urgenza. Se vogliamo riumanizzare questa nostra società alla deriva.
Meglio salpare con
ardito e appassionato andare verso tutti gli orizzonti possibili che ci indica e ci dona POESIA.
Angela De Leo
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