mercoledì 24 aprile 2019

"LE PIOGGE E I CILIEGI" di Angela De Leo (SECOP Edizioni, 2018)







"Il sillabario dei valori perduti" di Valentino Losito 
“Non c’è nave che possa come un libro/portarci nelle terre più lontane/”: questi verso di Emily Dickinson mi sono subito risuonati come una irresistibile chiamata per “imbarcarmi” sul libro di Angela De Leo Le piogge e i ciliegi, perché sono pagine capaci di portarci nelle terre del ricordo, così lontane eppure così vicine e presenti nei nostri cuori.
Credo che il più bell’elogio che si possa fare a questo romanzo è dire che è un libro provinciale, nella straordinaria accezione letteraria che a questo aggettivo ha dato Amos Oz, il grande scrittore israeliano recentemente scomparso.
“Ogni romanzo e ogni racconto - scrive Amos Oz -  non è ambientato nel mondo, né in una nazione, né in una città, ma sempre in un quartiere, in un sobborgo, in una strada, nel mondo che si estende dalla farmacia all’angolo della via e il negozio di alimentari all’altro capo della strada. Questo è un piccolo mondo locale e, più locale e provinciale è questo mondo, migliori sono le possibilità che la sua portata diventi universale, perché se noi scaviamo abbastanza in profondità, scopriamo che tutti i nostri segreti sono gli stessi”.
È così anche per il libro di Angela, che contiene pagine con salde radici nella vita di un paese del Sud, dell’eterna e umanissima provincia italiana. Un meraviglioso scrigno dove ognuno può pescare a piene mani e ogni volta ne viene su un piccolo gioiello. Un libro generativo che ci prende per mano e ci si spinge a tornare anche noi dalle parti del cuore, cioè nell’ufficio dei ricordi smarriti.
Ma il libro è generativo anche in un altro senso, cioè i ricordi diventano una straordinaria occasione anche per percorrere le vie dell’oggi.
Viviamo tempi inquieti, in cui sembriamo aver perso alcuni valori fondanti del nostro vivere come persone e come società. Avvertiamo una profonda solitudine proprio in quel villaggio globale che doveva connettere mettere insieme tutto. Oggi sono connessi i nostri pc, ma spesso sono sconnessi i nostri cuori.
Il libro di Angela, attraverso la figura centrale di nonno Minguccio, è in realtà un sillabario di parole e virtù perdute che oggi dobbiamo assolutamente recuperare per scrivere una nuova grammatica dell’umano nel tempo della rivoluzione elettronica. Perché - come scrive Angela - i giovani conoscano la storia non dai libri ma da chi ha lasciato orme di sogni e di dolore.
La prima parola-valore chiave di questo sillabario è “pazienza”, intesa come la virtù di un mondo contadino che sapeva custodire, seminare, coltivare, aspettare. Non come sopportazione di un irreversibile destino, ma come custodia creativa del tempo. Sembra di rileggere un passo della lettera di San Paolo ai Romani “… e noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza…”.
La seconda parola è “pane”: Angela ricorda come le lunghe sere d’inverno si accendevano delle parole del nonno, con i suoi racconti fantastici, gli aneddoti, i ricordi di guerra e le filastrocche in dialetto. Quella voce ferma, che i ragazzi ascoltavano trasognati, erano l’altro “pane quotidiano”.  Oggi abbiamo il pane, a volte lo buttiamo, ma ci manca il pane della parola, dei volti, delle relazioni. Quel pane della parola che nonno Minguccio sapeva spezzare con i suoi nipoti così come spezzava il poco pane che arrivava sulla tavola di famiglia.
La terza parola è “poesia”: solo un animo come quello dell’autrice poteva vedere brillare la poesia nei minuscoli chiodini che il vecchio calzolaio, con sagacia, a colpi di martelletto e pazienza conficcava nella suola delle scarpe della buona gente. Anche i poveri, con le scarpe risuolate potevano sognare di camminare sulle stelle.
Infine la “pioggia”. E qui ci viene incontro Kahlil Gibran quando ci ricorda che “il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è, è stato, sarà e non sarà. Le persone più felici non sono necessariamente coloro che hanno il meglio di tutto, ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno. La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta, ma di come danzare nella pioggia”.
Questo libro ci aiuta a danzare sotto la pioggia.

Grazie, Valentino, amico mio carissimo e grande giornalista (scrittore e poeta) per queste tue focalizzazioni, molto originali e interessanti, colte tra le righe del mio fluviale romanzo, incompleto eppure già in sé conchiuso.
Nel tuo “sillabario dei valori perduti” non sarà facile dimenticare alcune parole che, con pazienza certosina e grande amore per la verità, hai scoperto. Iniziano, guarda caso, proprio con la “P” di: pazienza, pane, poesia, pioggia. E ciascuna ha un significato profondo ed esteso, che la tua “sapientia cordis” ha saputo cercare, rovistando tra i miei sentimenti, tra i tuoi ricordi personali e tra pagine di dotte e “sacre” letture, che ti hanno accompagnato nel tempo, per ritrovare il senso di una spiritualità amorosa e amorevole, oggi completamente dimenticata. Da recuperare. Con urgenza. Se vogliamo riumanizzare questa nostra società alla deriva.
Meglio salpare con ardito e appassionato andare verso tutti gli orizzonti possibili che ci indica e ci dona POESIA.  
                                                                 Angela De Leo

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