RITRATTO DI
UN SEGRETO
Il mio incanto e
poi la mia ossessione per il ritratto miracoloso della Gioconda dipinto da
Leonardo da Vinci sono nati nella prima metà degli anni Settanta del secolo
scorso, quando ho avuto per la prima volta una riproduzione di alta qualità di
questo affascinante quadro.
È successo nella
mia prima giovinezza, nel periodo in cui l’idealizzazione era la caratteristica
fondamentale della mia visione del mondo, delle persone e dei fenomeni che mi
circondavano. Nel momento in cui la mia sensibilità creativa era altamente
presente, quando l’amore era il sentimento dominante della mia realtà,
abbastanza lontana dalla ragione, che avrebbe potuto impedirmi di tendere ad un
obiettivo privo di pratica utilità.
Già nel guardare
per la prima volta il viso della Gioconda sentii un’attrazione magnetica e
l’inquietante intimità con il modello rappresentato nella foto. Sentivo che il
volto di quella immagine rivitalizzata mi percepiva come una persona che mi
conosceva da sempre. Come qualcuno che mi ascoltasse, m’incoraggiasse, mi
perdonasse. L’espressione del suo viso irradiava sensazioni diverse e talvolta
contraddittorie, in cui era possibile focalizzare anche il sentimento che
divenne dominante in me dal momento in cui cominciai ad osservarla: non avevo
mai sentito un’intimità simile con un’opera d’arte prima, mai l’avrei vissuta più
tardi. La ragione è che il ritratto di Monna Lisa respirava e promanava una
sorta di calore materno, di saggezza paterna, di attaccamento amichevole, di
affetto tenero, ma anche di ironia, sospetto, rimprovero a seconda del tipo di
approccio e di umore con i quali lo si stava guardando: se con un cuore aperto
o con dubbio e timore. In parole povere, il suo volto ricopriva l’ampiezza
della sensibilità necessaria, per ogni essere umano, perché ne fosse pienamente
illuminato e trasportato in un’atmosfera altamente conoscitiva e spirituale. Tutto
questo mi stimolò a cercare di avvicinarmi con il mio lavoro a quella
perfezione. Per tentare di dipingerla - copiandola per comprendere la sua
espressione sovrapposta e multisignificativa - e percepire la delicatezza dei
lineamenti sfumati nella loro forma, e toccarne la sostanza con la mia mano,
per farla passare tra le mie dita. La riproduzione in mio possesso poteva
essere osservata, toccata, analizzata, frammento per frammento, ciascuno
avvolto da una luce interna sfumata, ogni frammento creava una storia
misteriosa a sé.
Mi fermavo spesso
ad ascoltare il suo respiro, mentre dipingevo, in modo da trovare il tono giusto
del dipinto stesso. Non saprei davvero dire come il grande Maestro sia riuscito
a creare quest’opera che incanta gli spettatori; essa, invece di chiarire il
suo mistero, affascina ancora di più con la sua segretezza.
La mia prima
copia di Monna Lisa fu, pertanto, realizzata nel 1976. Con la totale immersione
nel capolavoro di Leonardo, la mia passione per questo quadro insondabile
crebbe, ma anche la curiosità verso il suo creatore, il cui volto dipinsi più
tardi - nel 1979 - usando per modello l’unico autoritratto di Leonardo noto
fino ad allora, un disegno dipinto con un gesso rosso, conservato nella
Biblioteca Reale in Torino.
Sia per
l’entusiasmo che per l’emozione, riproducendo il volto di Leonardo, ebbi la
sensazione di averlo già dipinto, dipingendo la Gioconda. Era come se le proporzioni
del suo viso fossero trattenute nella sensibilità della mia mano
con cui lo realizzavo sulla tela. Poi, tornai per l’ennesima volta al ritratto
della Gioconda. Con rinnovato rigore perché il mio desiderio di penetrare
nell’opera più importante del Maestro potesse superare la mia infatuazione,
dovuta alla mia ammirazione.
Procedetti nel lavoro con una visione più
chiara e il cuore più aperto - penetrando nell’essenza, dal centro al centro.
In quel momento, attraverso gli occhi di Monna Lisa, mi guardarono gli occhi
del Maestro - direttamente - dicendomi: “Sì, SONO IO, Leonardo, arricchito con
l’amore incantato, con l’amore per la vita, con l’amore per voi, per te, per
tutto ciò che è passato e tutto ciò che verrà. Questo amore vi ha lasciati
perplessi per cinque secoli. Sono io nel modo più autentico, più completo e più
diretto. Sono io emerso da me per guardare voi”.
La mia fronte sudava
e il mio sangue pulsava nelle vene per quella scena, per quel pensiero e per
quei sentimenti.
Nonostante tutte
le indicazioni, nonostante l’approvazione, che avevo ricevuto fino a quel momento
dai ritratti dipinti, persi la mia determinazione e il mio coraggio. Mi mancava
l’illuminazione di come raggiungere il mio scopo, per rivelare il messaggio
fornitomi dalle mie riproduzioni.
Sarebbe dovuto accadere qualcosa di diverso,
più sorprendente per incoraggiarmi ad unire, a fondere due personaggi
fantastici, così diversi e così uguali, per creare il terzo volto come
risultato di un travolgente gioco d’amore. E questo è accaduto uno degli ultimi
giorni del 1979, mentre guardavo attraverso una “beata” nebbiolina i ritratti
eseguiti dalla mia mano, appesi allo stesso muro non lontani l’uno dall’altro.
Appoggiato al muro, sul lato opposto della stanza, c’era un letto sul quale mi
riposavo a guardare le foto. Sia a causa della stanchezza o dell’affetto di Dio
(mi piace credere sia stato così), vidi chiaramente i due ritratti avvicinarsi
l’uno all’altro in modo che a metà distanza si ricoprissero completamente e
perfettamente, creando un’unica faccia. La cosa si ripeté la stessa sera di
nuovo: le immagini erano perfettamente sovrapposte nei miei occhi, mentre le
fattezze del volto, nel ritratto appena nato, mostrava un’espressione sorprendentemente
arricchita. Fu quello l’incontro più profondamente umano e più completo che
potesse accadere al suo creatore con il proprio lavoro e con sé stesso,
attraverso la poliedricità di un modello immaginario e idealizzato, nel quale
si era inserito nella sua interezza. Anche nella forma in lui non avrebbe
voluto conoscere sé stesso. Quel ritratto era la sublimazione dei suoi
molteplici volti, creava una figura soprannaturale più ricca. Era una figura densa
di emozioni e di espressioni poliedriche, impeccabilmente confezionate con
precisione sul modello anatomico del genio toscano, che consentiva così la
nascita del più incredibile autoritratto del mondo.
Era una straordinaria
mescolanza di due volti racchiusi in una stessa persona che si cercavano da
secoli e che improvvisamente si erano ritrovati, riconosciuti, uniti.
Poi, gli occhi di
quel ritratto ridipinti con altri particolari (uno caldo, castano e l’altro
verde penetrante) mi guardarono, come se mi dicessero: “dipingi quello che vedi”.
In quel momento, rabbrividii per l’ultima volta davanti a quell’opera d’arte.
Da allora sono
passati 37 anni, ma io continuo ancora oggi a tremare nel risvegliare in me il
ricordo di quella sera, in cui Leonardo stesso mi rivelò il suo più grande
segreto.
Alla fine, decisi
di mettere insieme le prove materiali di quello che era successo. Cominciai ad
occuparmi del Ritratto di quel segreto. Per unire il volto di Monna Lisa e
l’autoritratto di Leonardo Da Vinci in un unico volto. Per prima cosa, subito
dopo quel meraviglioso evento, già nel 1979, realizzai con una matita da
disegno uno studio in cui i ritratti si adattavano perfettamente. Fu il segnale
verde di via libera per iniziare a dipingere un quadro ad olio su tela, divenuto
ora un quadro cult: “Ritratto di un segreto”. Lavorai a lungo con lunghe pause perché
in quegli anni studiavo presso la Facoltà di Scienze dell’Università di
Belgrado. Quando completai il dipinto “Ritratto di un segreto” avevo solo 24
anni.
Tanto diversi e tanto uguali i due volti
cominciarono a vivere una vita comune nel mio quadro. Per completarsi e
proteggersi a vicenda; per avere una visione comune del mondo e su tutto ciò
che li circondava. Prima di tutto uno sguardo unico su quelli che li osservano con
ammirazione. Uniti in quel modo facevano un solo insieme anatomico e
spirituale. Unendo il lato destro del volto della Gioconda con il lato sinistro
della faccia di Leonardo, emerse un autoritratto unico che il mondo non aveva
visto fino a quel momento. Dico l’autoritratto di Leonardo perché rappresentava
Leonardo attraverso il suo stesso lavoro e non aveva alcuna importanza se a
dipingere il “Ritratto di un segreto” fosse stata la mia mano. Monna Lisa
attraverso quel mio lavoro rivelava
quelle caratteristiche personali che Leonardo aveva voluto nascondere. Era il
suo autoritratto emotivo. Per questo Leonardo non si staccò mai da quel suo
quadro perché era il ritratto della sua sensualità: il suo carattere nascosto
che voleva spostare dal suo volto apparente, nascondendolo nell’immagine di una
donna modellata sulla sua stessa figura, secondo la sua anatomia, con cui nei
momenti di solitudine si univa facendo ritornare sé a sé stesso.
La Gioconda è, dunque, un autoritratto di
Leonardo che cerca e stabilisce sempre la comunicazione con l’osservatore.
Oserei dire che è l'unica opera d’arte in cui pulsa un essere che si rianima
continuamente attraverso l’emozione mentale e fisica di colui che la osserva
con attenzione.
In quanto tale, è
sopravvissuta alle incursioni più brutali, si potrebbe dire a veri e propri
attentati. È stata rapita e restituita. Ci sono stati dei suicidi di chi l’ha “conosciuta”,
delle depressioni o delle esaltanti emozioni, ma è rimasta sempre al di sopra
della situazione in cui sarebbe stata trovata, pacificamente e dignitosamente
esaltata, incomprensibile come una vincitrice che rimarrà un fenomeno affascinante
fino a quando ci sarà il genere umano.
Per tutto questo, il mio dipinto “Ritratto di
un segreto” è diventato un lavoro di raddoppiata energia. Vive la sua vita
speciale in una sorta di nesso tra un genio e un lavoro geniale. Quasi fosse la
carta d’identità della Gioconda, ma anche di Leonardo da Vinci. Rappresenta la sublime
realizzazione di qualcosa che non ha ancora superato la mano umana. È
un’immagine emersa da un puro inno alla perfezione. Come tale, essa è anche una
mia carta d’identità perché sono stato io a darle vita e della quale mi prendo
cura da oltre 37 anni.
Ho completato,
del resto, il dipinto, dopo tanti studi grafici e ad olio, nel 1982. Ed è stato
esposto per la prima volta nel 1983 al Salone di ottobre a Zemun, e ne sono
testimonianza il catalogo e le foto della sua esposizione.
Più tardi, il
quadro fu esposto presso il Centro Culturale jugoslavo a Parigi (1988), al
Museo nazionale di Belgrado (1993), e nell’Istituto italiano per la cultura a
Belgrado, circa cinque secoli dopo la nascita di Monna Lisa.
Il “Ritratto di
un segreto” ha provocato grande attenzione; ha sorpreso e agitato il pubblico
come la prova “inconfutabile” che Monna Lisa sia lo stesso autoritratto di
Leonardo. Questo dipinto, pertanto, ha preso il suo posto nella storia dell’Arte,
introducendo un’altra, nuova, dimensione nell’analisi della vita del grande
Maestro e del suo lavoro. Non c’è ormai quasi più alcuna monografia seria in
cui la Gioconda non sia nominata come un possibile autoritratto di Leonardo da
Vinci.
Sono convinto che
col passare del tempo se ne parlerà con assoluta certezza, perché la stessa
anatomia rilevata su questi due ritratti è la prova esatta che si tratta di una
singola persona. E questo non è un caso perché la cosa è stata confermata anche
dal Trattato sulla pittura di Leonardo in cui si afferma che il pittore non
deve fare altri ritratti secondo il proprio volto: il che vuol dire che
l’autore di Monna Lisa ha intenzionalmente lavorato sul proprio volto, cioè,
invece della Gioconda ha dipinto sé stesso. Leonardo, del resto, portava sempre
questo quadro con sé. Quale committente non sarebbe stato soddisfatto del miglior
ritratto di tutti i tempi eseguito dalle mani di un artista geniale? Certamente
nessuno. Per questo io credo non fosse stato realizzato per un committente, ma
che Leonardo l’avesse dipinto per un bisogno personale: per sé stesso.
Un’analisi
computerizzata della Gioconda e dell’autoritratto di Leonardo è di grande
importanza per questo mio lavoro. Ed è stata eseguita alla fine del 1986, con
la stessa intersezione usata nel mio quadro, e ha dato per il risultato un
volto, con l’anatomia assolutamente congruente, in cui una parte risponde
completamente e con precisione all’altra. Questa analisi è stata fatta a New
York dal più famoso esperto di computer, la signora Lillian Schwartz.
I risultati sono
stati pubblicati nel numero di gennaio della rinomata rivista <Art e
Antichità> nel 1987 (<Art & Antigues>). Ma la notizia è stata
diffusa prima dal quotidiano nazionale serbo <Politika> il 30 dicembre
1986. Solo il giorno dopo l’articolo apparso sul <Times> di Londra (<Times>,
29 dicembre 1986).
Quest’analisi al
computer, poiché è stata eseguita dopo il mio quadro, è solo una conferma del
mio lavoro, che era già stato esposto al pubblico prima dell’analisi della
stimata Lillian Schwartz. Esprimo, comunque, la mia grande gratitudine per ciò
che lei ha fatto senza saperlo per me, poiché viviamo in un’epoca in cui si
crede più ai computer che alle persone.
Questa mia opera,
che io ritengo una vera e propria missione, è semplicemente un rendere onore a
qualcuno che si è annidato profondamente nel mio cuore, qualcuno che è misura
indispensabile dell’estetica e di molte altre conquiste umane, il geniale e
grandissimo Leonardo da Vinci, che ha abbandonato questo mondo cinque secoli
fa.
Tenendo presente
quanto sopra, a volte mi sento quasi il CUSTODE DEL VOLTO DI LEONARDO.
Questa l'introduzione dell'Autore al libro "Ritratto di un segreto" di Pedrag Bajo Lukovic.
Si tratta della rivelazione di un segreto che, però, rimane tale, perché il volto di Monna Lisa resterà enigmatico in eterno.
L'affascinante tesi di Bajo Lukovic ha catturato la curiosità e l'interesse di molti studiosi e visitatori del celebre Ritratto.
L'intero testo (tradotto da Dragan Mraovic e adattato alla lingua italiana dalla sottoscritta) sarà pubblicato a breve dalla Casa Editrice SECOP di Corato-Bari.
Nessun commento:
Posta un commento