lunedì 6 maggio 2019

6 maggio 2019 .Ricordando il 5 maggio: Ei fu.

Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio;
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.(…)
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.(…)
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.(…)
Ahi! Forse a tanto strazio
cadde lo spirto anelo,
e disperò; ma valida
venne una man dal cielo
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avviò, pei floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
scrivi ancor questo, allegrati;
ché più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.

Sono solo alcuni versi della lunghissima ode che Alessandro Manzoni, grande nella scrittura ma pavido nell’azione per via anche di alcune sue patologie che oggi diremmo psico-somatiche, scrisse per ricordare al mondo intero la grandezza e la fine di un uomo che ebbe ingegno, forza, coraggio e innumerevoli strategie per vincere e diventare padrone di mezza Europa, tanto da farsi “arbitro” di due secoli, che subirono a lungo la sua impronta, ma che, come tutti i comuni mortali, dovette chinare l’altera sua fronte davanti al “Massimo Fattor”: Dio che “volle in lui del creator suo spirito/ più vasta orma stampar”, decretandone anche la sconfitta materiale e la rinascita spirituale, nel posare, con la sua pietas consolatoria, “accanto a lui sulla deserta coltrice”.
In pochi versi Manzoni, più volte, si riferisce all’uomo indomito e al condottiero straordinario, usando solo due pronomi personali: ei… lui. Senza nominarlo per l’intera Ode. Eppure, tutto il mondo sa che si tratta di Napoleone Bonaparte. Sarebbe bastato: Ei fu per decretare la grandezza maestosa dello stratega e la fine desolata dell’uomo. Entrambe rimaste eterne nella storia dell’umanità.
Ho omesso intenzionalmente di trascrivere i tanti versi che narrano le sue rapidissime imprese belliche proprio perché ai fini dei destini del mondo contemporaneo e di quello futuro non hanno più alcun senso, alcun peso storico. Il mondo è completamente cambiato, sia storicamente che geograficamente e culturalmente. Rimangono solo dei dati inconfutabili che testimoniano l’inizio della sua vita, il percorso esistenziale, le vittorie, le sconfitte, la sua fine: Aiaccio, Francia, Waterloo, isola d’Elba, i cento giorni, isola di Sant’Elena. “Sic transit gloria mundi”!
Il poeta milanese, invece, le descrisse minuziosamente in quanto, dopo aver dichiarato subito di essere rimasto, come tutti i suoi contemporanei, “stupito e attonito”, si disse anche “commosso” di fronte alla sua improvvisa fine, per averlo visto invincibile con le sue innumerevoli gesta eroiche e invidiabile per quei suoi “rai fulminei”, che ne evidenziavano la eccezionale furente vitalità. E proruppe con tutto il suo afflato poetico e religioso in questa Ode fluviale.
Mi preme, invece, sottolineare quanto sia evidente la linea ascendente, l’apice, e la linea discendente, inevitabile in ogni parabola umana, nei destini di ogni società, cultura, epoca in cammino. “Tutto arriva e tutto passa”, dicevano i nostri nonni con la loro filosofia spicciola, ma quanto vera. E quel “Tutto arriva” sottolineava il percorso iniziato quasi dal nulla, dal nostro primo giorno di vita, da un principio, da cui occorre quasi sempre partire, senza avere ancora nulla con sé se non i propri sogni, i propri progetti di vita, i propri passi per andare lontano, con determinazione, coraggio, desiderio di raggiungere la propria meta. E il viaggio si riempie di incontri, di scoperte, di esperienze e di conoscenze, fino all’arrivo. Fino ad Itaca (chi non ricorda la poesia di Kavafis?). Quello è l’apice dell’impresa. La sommità della scala che ogni esperienza umana costruisce per dilatare al massimo i propri orizzonti. Il dopo è già la considerazione che oltre non si può andare perché quel sogno/ progetto si è realizzato e già più non è. È stato. Ed è inevitabile la discesa. È inesorabile la fine. "Tutto passa". Niente rimane per sempre. Certo, si può ricominciare, ma non è più quel sogno, quel progetto, quel percorso. Quella esistenza. Quell’uomo. Quella comunità. Quella cultura. Altri giungeranno e avranno avuto un nuovo inizio e vorranno creare, personalmente o in gruppo, nuove mappe del viaggio, con la voglia di appropriarsi del passato per andare oltre, incontro a un diverso futuro, attraversando un nuovo presente. Vico ha parlato di “Corsi e Ricorsi storici”, ignorando forse, l’andamento “a montagne russe” di ogni Corso e Ricorso. Di ogni esperienza individuale e collettiva. Anche il giorno nasce dal nulla (il buio della notte) per giungere all’apice del sole a mezzogiorno e subito dopo comincia a morire già nel pomeriggio che si fa tramonto fino alla caduta delle ultime ombre della sera nel vuoto della notte. Poi si ricomincia. Ma anche ogni nuovo giorno è diverso da quello precedente. Mai esultare, dunque, per la insperata conquista della vetta in qualsiasi campo perché inevitabilmente segna il tempo ignorato della discesa.

“La ruota gira”, dicevano i miei nonni con la loro “sapienzialità antica”. Tutto quello che è in alto è destinato a cadere. E viceversa. Creando una sorta di giustizia umana e forse anche divina.
Tutto questo io leggo nei versi di Manzoni. Non serve insuperbirsi per le conquiste, non bisogna disperarsi nelle sconfitte: sono umane le une e le altre. Solo Dio è al di sopra degli umani destini e tutti li comprende. Ci comprende. Perché è Colui che “atterra e suscita,/ che affanna e che consola”…
Un’altra considerazione mi preme fare: mai giudicare ciò che attraversa i nostri giorni senza almeno una pausa di riflessione per valutare ogni accadimento, ogni persona, ogni opera umana, con piena conoscenza dei fatti e con profonda consapevolezza della possibile loro veridicità. Insomma, con onestà intellettuale e con “sapientia cordis”. Manzoni ci è maestro in questa faticosa ma necessaria conquista, se vogliamo essere credibili in quello che diciamo o scriviamo: “Lui folgorante in solio/ vide il mio genio e tacque;/ quando, con vece assidua,/ cadde, risorse e giacque,/ di mille voci al sonito/ mista la sua non ha:/ vergin di servo encomio/ e di codardo oltraggio,/ sorge or commosso al subito/ sparir di tanto raggio;/ e scioglie all’urna un cantico/ che forse non morrà. (…) Fu vera gloria? Ai posteri/ l’ardua sentenza: nui/ chiniam la fronte al Massimo/ Fattor, che volle in lui/ del creator suo spirito/ più vasta orma stampar”. Occorre molta prudenza nell'esprimere un giudizio e molto amore per non ferire l'altrui sensibilità.
E, infine, ogni persona eccezionale ha il destino segnato da inevitabili invidie, dovute appunto alla sua inconfutabile grandezza, che rischia di mettere in ombra tutti quelli che la circondano e che non sono propensi ad accettare i propri limiti. È questo purtroppo, uno dei “limiti”, più vistosi e paradossalmente nascosti o ignorati, della natura umana. Chi ne soffre non lo ammetterà mai ed è anche possibile che non ne abbia coscienza. Solo chi ha compiutamente una positiva immagine di sé, avendone serena consapevolezza, si rallegra di non covare nella propria anima i semi della “mala pianta” ed è felice del successo altrui. Ma è merce molto rara la sua generosa condivisione. Per questo “i numeri primi” sono destinati a rimanere soli… Non a caso si parla della solitudine del genio.
Non fece eccezione Napoleone Bonaparte: solo quel Dio, ignorato, offeso, umiliato dalla sfrontata consapevolezza dello stratega nei riguardi della propria genialità, “sulla coltrice”, resa deserta da tanta invidia e incomprensione, per consolarlo di tanto inutile affanno, come solo Lui può e sa fare, “accanto a lui posò”.
Un po’ di autostima ma anche di sana umiltà non guasterebbero nella nostra vita di fugaci viandanti (meno di un granello infinitesimale o di pulviscolo nell’universo), sempre pronti a lottare per raggiungere l’impossibile perfezione. Senza pensare mai di procedere rapidamente verso un Altrove che, con la sua falce “pareggia tutte l’erbe del prato” (Manzoni, “I promessi sposi”).








Nessun commento:

Posta un commento