Lacerato anno di guerra quell’anno
e un maggio ignaro truccò guance
di rose
e rise con rosse labbra di rossi
papaveri.
Mia madre appena ragazza,
malinconia
di passi lontani e mio padre al
fronte,
si stancò di contare quattro volte
sette
e mi affidò alle prime stelle di
una quasi sera.
Braccia tremanti di emozione, di
tenero amore
e pianto celato, alla settima alba…
(Tu che sei nata dove c’è sempre il sole
Sopra
uno scoglio che ci si può tuffare
E
quel sole ce l’hai dentro il cuore
Sole
di primavera
Su
quello scoglio in maggio è nato un fiore…)
Quercia mio nonno, candela accesa
la madre
di mia madre, avvolsero di tepore
e promesse
mani in volo e fagottino di sogni
da sognare.
Al fonte battesimale devoti
s’inginocchiarono
e Angelina mi diedero nome,
fuscello io
di un prato sconfinato di papaveri
e rose d’amare.
A sette anni appena mi
prese Gesù per mano,
l’amico sconosciuto, l’amico
inventato, l’amico
obbligato con preghiere a metà,
ripetute
a fior di labbra, suggerite dalla
sorellina fidata
con cui dividere la stanza, il
letto, la bambola.
Bambola grande, testa rapata,
furia di gatto,
e parrucca bruna e cuffia rosa e
stessa casa.
“Come è bella la bambola mia,
quasi quasi è più bella di me…”
- È troppo piccolina. Pazienza
ci vuole. Imparerà -
Dicevano per giaculatorie dette
male e parole
maliose, e puntigliose bugie per
farmi perdonare:
“Sacro Cuore di Gesù,
fa’ che io t’ami sempre più…”.
Imparai
il vuoto incolmato di mia madre,
Principessa e Regina di ogni
attesa.
L’assenza di mio padre e degli
altri quattro
nati dal fluviale e immarcescibile
loro amarsi.
“Amore vuol dir gelosia
Chi mai t’amerà più di me?...”
Così sempre li unì l’ardente sua passione.
A diciassette, oltre il
ragazzo dimenticato,
l’AMORE, ali di mare e vele
d’ingenuità
tra baci rubati all’ombra del
castello
che Manfredi ebbe in dono da
Federico
e sua madre Bianca.
Bianca la mia anima di candore in
dono
al mio ragazzo, ciuffo ribelle
cuore ballerino.
“C’è gente che ha avuto tante
cose
E si perde per le strade del mondo
Io ho avuto solo te e non ti
perderò…”
“Come te non c’è nessuno così
timido e solo
Nei tuoi occhi profondi io vedo
tanta tristezza…”
Con lui le mie difficili ventisette
primavere
ebbero sorriso di bimba di mille e
più parole.
E prepararono un nuovo nido e
altre stelle:
- Stella stellina un’altra
bimba s’avvicina…
Ma quante belle figlie madama
Dorè.
C’è anche un figlio tutto per me?
-
E giunse il figlio mia felicità,
ne persi un altro
in una casa stanca e in una
tristezza di cielo
che non voglio più ricordare.
“Con te dovrò combattere,
non ti si può pigliare come sei…
Ma… in un attimo tu
sei grande Grande GRANDE
come te sei grande solamente
tu…”
E nuovi occhi di bimba a darmi
calore
prima dello scadere dei trentasette
soli.
I quarantasette furono di
fatica e pena e
di voli grandi e ali dispiegate su
oceani
di poesia. Incontri di Scrittura
ritrovata.
Dopo secoli d’abbandono smemorato.
Magia dell’anima incantata e dei
tanti amici.
Cantava Anna Maria i nostri versi
innamorati
che fecero gloriosi i tanti
incontri stupiti.
E Fiaba fu la nostra vita in fiore
A cinquantasette inverni
ero già franata
in abissi improvvisi di rimpianto
e dolore.
In cliniche nemiche passi di danza
dimenticati.
Bui i miei cieli bui senza santi
né perdoni.
Senza più passi e senza più
canzoni.
In tanta amarezza esplosero nuove
vite.
La casa accesero di nuovi colori
tra pensieri
inariditi. Gioia e tenerezza
ingigantite.
Fioriti rami del nostro albero
senza nidi
e figli lontani. Nicola e Anna
Paola, miracolo
di sogni intatti da riconsiderare.
Migrarono ancora anni contro vento
verso un addio temuto e annunciato
prima che i sessantasette soli
spenti
mi presentassero il conto.
“Je ne regrette rien…”
Andò via il mio
ragazzo/marito/padre/nonno,
salutandomi Amore, ti aspetto.
Amore mio.
- Ti ho amata sempre e tanto. Non
dimenticarlo -
(“Quanto ti ho amato e quanto
t’amo non lo sai
e non lo sai perché non te l’ho
detto mai…”)
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È ancora maggio ancora rose in
festa nel giardino.
Ridono papaveri innamorati al sole
come allora.
- Chi mi ama tra i miei tanti
amori? -
Settantasette conta il gioco dimenticato di
corolla
da far scoppiare sotto i capelli e
tra le dita:
- Indovina l’iniziale di rosso
sigillo:
chi sulla fronte ti ha lasciato il
segno? -
Tra mani di rara solitudine i miei
nuovi anni
pieni di tutti quelli che amo
riamata,
privi di tutti quelli che amo
riamata.
E le stelle questa sera non
pareggiano il conto.
Presenza di quanti adornano la mia
festa.
E carezze invisibili mi donano
ancora Amore.
Volano occhi a cercare sulla
soglia dell’infinito
tutti i miei cari che mi cantano dentro
E tu ci sei… e tu… e tu… e tu…
Inutile contare
fino a settanta volte sette
ormai siete
molti di più, molti di più…
(Incorreggibile, credo ancora
nell’influsso positivo del misterico
numero primo
(sette le meraviglie del mondo
sette i giorni
della creazione sette i vecchi
ladroni e sette i sette
nani sette i giorni della Creazione
e sette i giorni
della settimana sette le scarpe a
portarmi lontano
sette i passi stentati che mi
lasciano per strada)
ed è per questo che festeggio con
insolita allegria
questi amati/odiati Settantasette
anni
(e con me danzano “gambe di
signorine” in gioco
con i numeri di Natale e la sua
voce…)
Con i figli romani nella Capitale
di gioiose intese.
Mancano gli altri e i loro germogli
in fiore
presenti sempre nell’albero del
cuore.
Presenti agl’inarginabili fiumi
delle parole mie:
a mille a mille a incatenare
ricordi e nostalgie.
Calore luminoso di mai spente
presenze
a rendere chiari ancora giorni di
speranza.
E luminose le notti di mai ignorate
stelle…
Settantasette volte GRAZIE alla mia buona Stella
(È questa oggi la mia preghiera più
bella)
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