martedì 7 novembre 2017

Sintesi della Prefazione a AL CONFINE DI ME di Nico Mori


 … perché il mare da esplorare è ancora profondo, anche se lungo e infinito è l’oceano da attraversare (Ilario Verda).
È l'oceano, splendida immagine di copertina, che penetra subito con prepotenza di tempeste e con dolcezza d'azzurro i nostri occhi in un globo d'acque che circoscrive l'immenso e lo dilata nella sua stessa immensità (e Dio creò le acque...). E ci folgora di solitudine e di sogno quella vela bianca, che urla e canta e incanta, fragile e forte, e si esalta di libertà e di coraggio nel solcare tutti i mari alla scoperta di tutti gli orizzonti e sapere di sé, se vivere o naufragare.
Mi piace cominciare così la mia circumnavigazione intorno al confine/oceano di Nico Mori, un amico che non ha mai smesso di essere poeta e che sempre e da sempre ha cercato, come uomo, di scoprire/rivelare le sue verità, consegnandosi, agguerrito di sogni ed inerme di delusioni, a quel perimetro di spazio/tempo infinito/finito/indefinito, che segna la linea d’orizzonte (sfumata e appena visibile all'alba, solo ricordo e nostalgia con le ombre sempre più fitte della sera) e lo circoscrive: non al centro di sé, ma alla periferia, in uno spazio/tempo che gli appartiene, ma non è più suo o non più esclusivamente suo: essere/non essere tra un “io”, sentito dentro come un grumo di esplosione d’amore, e un “tu” che è soglia e limite e margine di sé e incontro/scontro con gli altri.
     Il nuovo libro di Nico Mori s’intitola, appunto, Al confine di me (SECOP edizioni, Corato): corpo e pelle, il margine, in cui quel grumo di sé è, ma si disperde nel tormento disperato di “sapersi” esistere nella sua interezza “dentro” e di scoprirsi, “fuori”, estraneo a sé e incompreso in un mondo che è anche il suo, ma che è “oltre”.
Che cosa rende evidente il nostro corpo se non il suo confine, l'istante, cioè, in cui esso si espone al pericolo di toccare e di essere toccato, di ferire e di essere ferito? Confine non è, allora, ciò che divide, ma all'opposto ciò che di noi, dei luoghi che siamo, è sempre necessariamente con l'altro...
Così il filosofo Massimo Cacciari, definendo il termine "confine", chiarisce alla perfezione ciò che Nico, undici anni dopo, ha voluto significare con la sua raccolta di poesie, prose e "altro".
Al confine di me è, infatti, il dentro/fuori che il suo corpo occupa e la sua pelle lambisce in un disagio di sé, dove non si ritrova e si va a cercare. Perché, oltre il suo stesso confine, l’Autore, esperto navigante in mare aperto, ricorda, in uno scrosciare di acque che si fa pericolosa zona d’alte maree, di gorghi e di tempeste, l'antico esploratore e guerriero, quando i giorni erano una fila di candele accese/ dorate, calde e vivide (Costantino Kavafis). Oggi, sfiancato pirata all’assalto delle ultime navi fantasma, a volte si trascina alla deriva di ogni altro da sé, verso un nuovo confine di sé da riscoprire, se vuole ancora salvarsi da ogni possibile naufragio ora che i giorni sono penosa riga di candele spente (ancora Kavafis), in I tulipani, splendida poesia che segna l’ingresso al libro di Nico, dopo la lettera a sua figlia Manuela che ne è la soglia, il primo varco, come dono e quasi testamento da lasciarle prima di rimettersi in viaggio e prendere il largo, ancora una volta, in alto mare. Nico, nella lettera a sua figlia, si definisce:
Un’anima che non smetterà mai di andare in cerca di meraviglie, dovunque si nascondano, quale che sia il prezzo da pagare, anche solo per osservarle..., e ciò sta ad indicare che il suo non è un nuovo libro, ma il libro. Testimonianza del mai sopito amore per la poesia e per la vita, che nella poesia s'incarna e della poesia si alimenta.
Rischierò il naufragio… o raggiungerò all’orizzonte l’isola dove vivono i sogni.
Nico, orizzonte di sé stesso. Isola di sogni dove l’orizzonte sembra baciare il cielo, ma dal cielo ogni volta si allontana non appena ci si avvicina a quella linea ideale che ci permette di scoprire e riscoprire l’oltre, che non sempre è prodigio e conoscenza, ma più spesso è vertigine, inganno, delusione e tormento.
Il tempo ha sospinto le mie vele/ al confine di me/ dove ogni strada si arresta/ al limite dell’Oltre...
È la poesia d’inizio, in cui il poeta forse naviga già oltre il “suo confine”, ma il libro non è una silloge di versi né una raccolta di racconti o di lettere e annotazioni, ma è di tutto un po’: un insieme di Nico. Uno zibaldone di leopardiana memoria, inserito nei nostri giorni e in fuga dai nostri giorni, tra prose, poesie, lettere, annotazioni, citazioni, appunti, che ne definiscono il “confine”.
Della mente? Del cuore? Dell’una e dell’altro insieme?
Forse... o molto altro di più.
Brevi pennellate di parole ed ecco che in più, rispetto al suo stesso confine, scopriamo un centro di sé bellissimo e colorato, fatto dell'azzurro della tenerezza e del rosso della passione e dell'amaranto di un amore dolce-amaro e del giallo dell'ammirazione luminosa e dello smeraldo che è armonia e speranza. Brevi ceselli di versi e l'arte meravigliosa di far fiorire un corpo di donna, un sorriso di miele, un ricamo di vibranti emozioni. Queste le prose. Questi i versi di Nico.
Per riprendere i voli alti dei suoi incanti infiniti con una nuova consolante certezza a fargli compagnia: gli è accanto Colui che tutto rimargina, tutto comprende, tutto dona.
E ha tramutato il Nulla che avvertiva dentro da molto, troppo, tempo nell'Immenso della sua anima, essendo ancora pescatore di sogni... Per "vivere" di nuovo e sempre POESIA. Con POESIA.



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