…
perché il mare da esplorare è ancora profondo,
anche se lungo e infinito è l’oceano da attraversare (Ilario
Verda).
È
l'oceano, splendida immagine di copertina, che penetra subito con
prepotenza di tempeste e con dolcezza d'azzurro i nostri occhi in un
globo d'acque che circoscrive l'immenso e lo dilata nella sua stessa
immensità (e Dio creò le acque...). E ci folgora di solitudine e di
sogno quella vela bianca, che urla e canta e incanta, fragile e
forte, e si esalta di libertà e di coraggio nel solcare tutti i mari
alla scoperta di tutti gli orizzonti e sapere di sé, se vivere o
naufragare.
Mi piace cominciare così la mia circumnavigazione
intorno al confine/oceano di Nico Mori, un amico che non ha mai
smesso di essere poeta e che sempre e da sempre ha cercato, come
uomo, di scoprire/rivelare le sue verità, consegnandosi, agguerrito
di sogni ed inerme di delusioni, a quel perimetro di spazio/tempo
infinito/finito/indefinito, che segna la linea d’orizzonte (sfumata
e appena visibile all'alba, solo ricordo e nostalgia con le ombre
sempre più fitte della sera) e lo circoscrive: non al centro di sé,
ma alla periferia, in uno spazio/tempo che gli appartiene, ma non è
più suo o non più esclusivamente suo: essere/non essere tra un
“io”, sentito dentro come un grumo di esplosione d’amore, e un
“tu” che è soglia e limite e margine di sé e incontro/scontro
con gli altri.
Il nuovo libro di Nico Mori s’intitola, appunto,
Al confine di me (SECOP edizioni, Corato):
corpo e pelle, il margine, in cui quel grumo di sé è, ma si
disperde nel tormento disperato di “sapersi” esistere nella sua
interezza “dentro” e di scoprirsi, “fuori”, estraneo a sé e
incompreso in un mondo che è anche il suo, ma che è “oltre”.
Che
cosa rende evidente il nostro corpo se non il suo confine, l'istante,
cioè, in cui esso si espone al pericolo di toccare e di essere
toccato, di ferire e di essere ferito? Confine non è, allora, ciò
che divide, ma all'opposto ciò che di noi, dei luoghi che siamo, è
sempre necessariamente con l'altro...
Così il filosofo Massimo Cacciari, definendo il termine
"confine", chiarisce alla perfezione ciò che Nico, undici
anni dopo, ha voluto significare con la sua raccolta di poesie, prose
e "altro".
Al
confine di me è, infatti, il dentro/fuori
che il suo corpo occupa e la sua pelle lambisce in un disagio di sé,
dove non si ritrova e si va a cercare. Perché, oltre il suo stesso
confine, l’Autore, esperto navigante in mare aperto, ricorda, in
uno scrosciare di acque che si fa pericolosa zona d’alte maree, di
gorghi e di tempeste, l'antico esploratore e guerriero, quando i
giorni erano una fila di candele accese/
dorate, calde e vivide (Costantino Kavafis).
Oggi, sfiancato pirata all’assalto delle ultime navi fantasma, a
volte si trascina alla deriva di ogni altro da sé, verso un nuovo
confine di sé da riscoprire, se vuole ancora salvarsi da ogni
possibile naufragio ora che i giorni sono penosa
riga di candele spente (ancora
Kavafis), in I tulipani,
splendida poesia che segna l’ingresso al libro di Nico, dopo la
lettera a sua figlia Manuela che ne è la soglia, il primo varco,
come dono e quasi testamento da lasciarle prima di rimettersi in
viaggio e prendere il largo, ancora una volta, in alto mare. Nico,
nella lettera a sua figlia, si definisce:
Un’anima
che non smetterà mai di andare in cerca di meraviglie, dovunque si
nascondano, quale che sia il prezzo da pagare, anche solo per
osservarle..., e
ciò sta ad indicare che il suo non è un nuovo libro, ma il libro. Testimonianza del
mai sopito amore per la poesia e per la vita, che nella poesia
s'incarna e della poesia si alimenta.
Rischierò
il naufragio… o raggiungerò all’orizzonte l’isola dove vivono
i sogni.
Nico,
orizzonte di sé stesso. Isola di sogni dove l’orizzonte sembra
baciare il cielo, ma dal cielo ogni volta si allontana non appena ci
si avvicina a quella linea ideale che ci permette di scoprire e
riscoprire l’oltre, che non sempre è prodigio e conoscenza, ma più
spesso è vertigine, inganno, delusione e tormento.
Il
tempo ha sospinto le mie vele/ al confine di me/ dove ogni strada si
arresta/ al limite dell’Oltre...
È
la poesia d’inizio, in cui il poeta forse naviga già oltre il “suo
confine”, ma il libro non è una silloge di versi né una raccolta
di racconti o di lettere e annotazioni, ma è di tutto un po’: un
insieme di Nico. Uno zibaldone di leopardiana memoria, inserito nei
nostri giorni e in fuga dai nostri giorni, tra prose, poesie,
lettere, annotazioni, citazioni, appunti, che ne definiscono il
“confine”.
Della
mente? Del cuore? Dell’una e dell’altro insieme?
Forse...
o molto altro di più.
Brevi
pennellate di parole ed ecco che in più, rispetto al suo stesso
confine, scopriamo un centro di sé bellissimo e colorato, fatto
dell'azzurro della tenerezza e del rosso della passione e
dell'amaranto di un amore dolce-amaro e del giallo dell'ammirazione
luminosa e dello smeraldo che è armonia e speranza. Brevi ceselli di
versi e l'arte meravigliosa di far fiorire un corpo di donna, un
sorriso di miele, un ricamo di vibranti emozioni. Queste le prose.
Questi i versi di Nico.
Per
riprendere i voli alti dei suoi incanti infiniti con una nuova
consolante certezza a fargli compagnia: gli è accanto Colui che
tutto rimargina, tutto comprende, tutto dona.
E
ha tramutato il Nulla
che avvertiva dentro da molto, troppo, tempo nell'Immenso
della sua
anima, essendo ancora pescatore
di sogni... Per "vivere"
di nuovo e sempre POESIA.
Con POESIA.
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