giovedì 23 novembre 2017

LETTERE DA UN FUTURO REMOTO di Bratislav R. Milanovic

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Lettere da un futuro remoto è uno splendido poema d’amore che già dall’ossimoro molto originale e visionario del titolo cattura il lettore perché gli fa scoprire che esiste, nell’epoca della posta e-mail e dei velocissimi sincopati sms, ancora la possibilità magica e un po’ démodé di leggere delle lettere d’amore, scritte doverosamente “a mano”. Queste, poi, hanno un altro pregio in più: sono scritte sotto forma di poesia.
Sono lettere che giungono alla probabile persona amata da “un futuro remoto”.
Dunque, non sono mai state scritte? Non sono state mai inviate? Vivono in un mondo altro, dove passato presente futuro si uniscono in un sol punto?
Si nutrono di speranza in un futuro migliore del mondo attuale? Cantano una nostalgia che viene dal tempo ancora irrealizzato?
Forse tutto questo e altro ancora…
Intanto, occorre precisare che l’eccezionale autore, Bratislav R. Milanovic, non ha lasciato nulla al caso: ha suddiviso il suo poema in tre sezioni dai titoli molto suggestivi: “Del ritorno”, “Dell’inquietudine”, “Del sogno”. E “Sussurro”, che è un intenso e originalissimo compendio alla tre sezioni, in quanto riprende, una per una, le trenta poesie che le compongono e le ripropone in una sintesi molto particolare in cui l’anaforico ripetersi di alcuni versi, che sostanziano ogni poesia, crea nel lettore una visione d’insieme circolare e suggestiva di tutta la storia narrata.
Una storia che si distende lungo l’arco degli ultimi trent’anni, dal 1976 ai nostri giorni, in cui il poeta invia alla sua donna ideale una lettera per ogni anno trascorso, incasellandola nelle dieci che compongono ogni singola sezione. Quasi una simmetria dantesca, in formato ridotto.
Sono lettere d’amore dedicate ad una donna che probabilmente riassume in sé tutte le donne amate dal poeta in una sintesi fantastica e immaginifica di caratteristiche più psicologiche e comportamentali che fisiche, che trovano il loro culmine nella meravigliosa allegria che fa di questa musa ispiratrice una donna dal sorriso acceso, splendente di mille colori, frizzante, tenera, audace, altera, continuamente cangiante nella unicità della sua persona. Indimenticabile. Una donna che vive nel disordine creativo delle sue matite, dei suoi colori, pennelli e acquerelli con cui ha dipinto nel tempo il suo amato, “vivisezionandolo” e ricomponendolo in migliaia di immagini i suoi innumerevoli volti.
Bratislav Milanovic compie il prodigio di vivere, come avvolto e riavvolto, in una storia d’amore indimenticabile, indimenticata, su piani diversi, reali e irreali, tra una vita che sembra vissuta nell’al di là, tra le nuvole e le stelle, nel mistero del silenzio o di una musica celestiale, e la concretezza di dimore reali abitate in una Venezia affascinante di artistica suggestione romantica tra “merletti”, “vitrages”e “boudoirs”, o sulle rive del sonnolento Danubio, dove i gabbiani hanno nido. L’amata è “laggiù”, in un luogo indeterminato che può essere semplicemente la terra in una vita ancora terrena oppure Vraciar, il quartiere tanto amato di Belgrado, o nelle gallerie che si colmano dei suoi capolavori di pittrice o negli innumerevoli luoghi della mente del poeta, in debito col vino, dove lei alberga sovrana e rende la passione più vigorosa e imperitura: “Laggiù, da te, la passione è ancora passione”.
E i versi, sempre liberi e insolitamente dimentichi della rima, come è quasi sempre costume nella poesia serba (ulteriore motivo di originalità dell’opera, molto vicina al gusto occidentale della poesia contemporanea), ora si distendono, allungandosi all’infinito su un sentimento che va oltre la fisicità, lo spazio e il tempo; ora si contraggono in un dolore che non ha voce né respiro; ora si rannicchiano nel timore che il sogno svanisca; ora si flettono in una laica e inascoltata preghiera. Con segni d’interpunzione inusitati o poco frequenti nel normale linguaggio poetico; con metafore ardite e visionarie; con gli enjembement che dilatano il senso delle parole in un “continuum” senza soluzione di continuità; con i versi in corsivo che ripropongono una condizione di vita nostalgica, se ripropone un passato che non esiste o che non può tornare.
E anche gli spazi tra i versi hanno un significato, un senso. Una direzione. Una voce. E l’ottobre si fa metaforico tempo di un autunno che abbraccia anni già vissuti e si veste dei colori caldi delle foglie che rosseggiano, dell’ineluttabilità dello scorrere delle stagioni della vita fino alla dolcezza dei malinconici tramonti.
Il poeta, perciò, nell’autunno della sua vita osa il bilancio di un percorso esistenziale e si accorge che, tutto sommato, nonostante il paventato naufragio di sé in un mondo che segna il rovinoso precipitare di tutti gli ideali, la vita gli ha regalato tanto: il sogno, la poesia, la forza d’amare.
E, del resto, egli crede ancora nel potere salvifico della parola e soprattutto della poesia. Nutre ancora la speranza di poter sognare. Di saper sognare. Di voler sognare. Perché niente nel tempo si perde mai del tutto. Se si ripercorrono le vie del cuore. Capaci sempre di far germogliare fiori. Di donare frutti. Di sostanziarsi di nuova materica realtà, pur “desiderando” l’eternità delle vie che attraversano il cielo.


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