Lettere
da un futuro remoto è uno splendido poema
d’amore che già dall’ossimoro molto originale e visionario del
titolo cattura il lettore perché gli fa scoprire che esiste,
nell’epoca della posta e-mail e dei velocissimi sincopati sms,
ancora la possibilità magica e un po’ démodé di leggere delle
lettere d’amore, scritte doverosamente “a mano”. Queste, poi,
hanno un altro pregio in più: sono scritte sotto forma di poesia.
Sono
lettere che giungono alla probabile persona amata da “un futuro
remoto”.
Dunque,
non sono mai state scritte? Non sono state mai inviate? Vivono in un
mondo altro, dove passato presente futuro si uniscono in un sol
punto?
Si nutrono
di speranza in un futuro migliore del mondo attuale? Cantano una
nostalgia che viene dal tempo ancora irrealizzato?
Forse
tutto questo e altro ancora…
Intanto,
occorre precisare che l’eccezionale autore, Bratislav R.
Milanovic, non ha lasciato nulla al caso: ha suddiviso il suo poema
in tre sezioni dai titoli molto suggestivi: “Del ritorno”,
“Dell’inquietudine”, “Del sogno”. E “Sussurro”, che è
un intenso e originalissimo compendio alla tre sezioni, in quanto
riprende, una per una, le trenta poesie che le compongono e le
ripropone in una sintesi molto particolare in cui l’anaforico
ripetersi di alcuni versi, che sostanziano ogni poesia, crea nel
lettore una visione d’insieme circolare e suggestiva di tutta la
storia narrata.
Una
storia che si distende lungo l’arco degli ultimi trent’anni, dal
1976 ai nostri giorni, in cui il poeta invia alla sua donna ideale
una lettera per ogni anno trascorso, incasellandola nelle dieci che
compongono ogni singola sezione. Quasi una simmetria dantesca, in
formato ridotto.
Sono
lettere d’amore dedicate ad una donna che probabilmente riassume in
sé tutte le donne amate dal poeta in una sintesi fantastica e
immaginifica di caratteristiche più psicologiche e comportamentali
che fisiche, che trovano il loro culmine nella meravigliosa allegria
che fa di questa musa ispiratrice una donna dal sorriso acceso,
splendente di mille colori, frizzante, tenera, audace, altera,
continuamente cangiante nella unicità della sua persona.
Indimenticabile. Una donna che vive nel disordine creativo delle sue
matite, dei suoi colori, pennelli e acquerelli con cui ha dipinto nel
tempo il suo amato, “vivisezionandolo” e ricomponendolo in
migliaia di immagini i suoi innumerevoli
volti.
Bratislav
Milanovic compie il prodigio di vivere, come avvolto e riavvolto, in
una storia d’amore indimenticabile, indimenticata, su piani
diversi, reali e irreali, tra una vita che sembra vissuta nell’al
di là, tra le nuvole e le stelle, nel mistero del silenzio o di una
musica celestiale, e la concretezza di dimore reali abitate in una
Venezia affascinante di artistica suggestione romantica tra
“merletti”,
“vitrages”e
“boudoirs”, o
sulle rive del sonnolento Danubio, dove i gabbiani hanno nido.
L’amata è “laggiù”, in un luogo indeterminato che può essere
semplicemente la terra in una vita ancora terrena oppure Vraciar, il
quartiere tanto amato di Belgrado, o nelle gallerie che si colmano
dei suoi capolavori di pittrice o negli innumerevoli luoghi della
mente del poeta, in debito col vino, dove lei alberga sovrana e rende
la passione più vigorosa e imperitura: “Laggiù,
da te, la passione è ancora passione”.
E i
versi, sempre liberi e insolitamente dimentichi della rima, come è
quasi sempre costume nella poesia serba (ulteriore motivo di
originalità dell’opera, molto vicina al gusto occidentale della
poesia contemporanea), ora si distendono, allungandosi all’infinito
su un sentimento che va oltre la fisicità, lo spazio e il tempo; ora
si contraggono in un dolore che non ha voce né respiro; ora si
rannicchiano nel timore che il sogno svanisca; ora si flettono in una
laica e inascoltata preghiera. Con segni d’interpunzione inusitati
o poco frequenti nel normale linguaggio poetico; con metafore ardite
e visionarie; con gli enjembement che dilatano il senso delle parole
in un “continuum” senza soluzione di continuità; con i versi in
corsivo che ripropongono una condizione di vita nostalgica, se
ripropone un passato che non esiste o che non può tornare.
E
anche gli spazi tra i versi hanno un significato, un senso. Una
direzione. Una voce. E l’ottobre si fa metaforico tempo di un
autunno che abbraccia anni già vissuti e si veste dei colori caldi
delle foglie che rosseggiano, dell’ineluttabilità dello scorrere
delle stagioni della vita fino alla dolcezza dei malinconici
tramonti.
Il poeta,
perciò, nell’autunno della sua vita osa il bilancio di un percorso
esistenziale e si accorge che, tutto sommato, nonostante il paventato
naufragio di sé in un mondo che segna il rovinoso precipitare di
tutti gli ideali, la vita gli ha regalato tanto: il sogno, la poesia,
la forza d’amare.
E, del
resto, egli crede ancora nel potere salvifico della parola e
soprattutto della poesia. Nutre ancora la speranza di poter sognare.
Di saper sognare. Di voler sognare. Perché niente nel tempo si perde
mai del tutto. Se si ripercorrono le vie del cuore. Capaci sempre di
far germogliare fiori. Di donare frutti. Di sostanziarsi di nuova
materica realtà, pur “desiderando” l’eternità delle vie che
attraversano il cielo.
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