lunedì 28 agosto 2017

LE FAVOLE INIZIANO A CABRAS

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Oltre il blu brulicante di stelle che squarcia il silenzio, il fragore delle favole che iniziano a Cabras è legato ai piedi scalzi come radici radicate alla terra (le vene che affiorano imperiose/impietose sul piede nudo afferrano lo sguardo e vincono il cuore); radici/piedi, che corrono corrono corrono su un sentiero di polvere e sterpi, alberi e azzurro fino a scoprire il mare e una vela bianca contro l’inganno del vento. O il suo prodigio.
E, tra terra aria acqua e fuoco, inizia la prima favola a raccontarci il mondo primordiale ed eterno  nel suo abbracciare il giorno, che attende nuove albe e nuovi tramonti in una terra che è inno alla bellezza senza confini, nonostante le luminose acque (il cielo capovolto di stelle?), con onde alla battigia, a segnare un limite e a spalancarsi all’ardimento della libertà e alla determinazione nel “fatale andare”.
E l’isola è terra aspra di lunghe siccità (rossi i capelli spinosi degli isolani) e di pietre che hanno, però, suoni d’acqua e di fuoco e armonie sonore di lontananze siderali, dove il tempo incontrò l’eternità e si fece poi respiro d’uomini e d’animali.
L’isola, incanto di morbida lana di greggi illuminati dal sole che tutto governa e rischiara e dà vita all’erba e ai fiori del prato, che attendono la pioggia per dissetarsi e cantare l’inno delle piccole cose al Creato che,  immenso, sorride. 
Muro come pentagramma, la seconda fiaba di silenziose note su cui si posano corolle dischiuse di abiti che rendono omaggio alle donne di tutte le età e di tutti i luoghi abitati della terra.
E la femminilità, mortificata nel nero del lutto antico e dell’antico pianto, esplode di colori e di audacia con rosse bocche che rivendicano baci  mai dati e mai ricevuti.
Carezze di nuova giovinezza esibita e mai più sepolta o ignorata.  
La fiaba più lunga è scritta, nelle infinite rughe arate dal tempo, sul volto di ieri che si leviga di giovinezza in una fotografia dei suoi vent’anni appena, e sa di millenaria poesia che mai conoscerà tramonto. Come le ali immense dell’aquila reale che il solitario amante delle vette ardite, in un groviglio di tarlate rocce e di cielo frastagliato d’ali e di rami in gara con il vento, sfida per sapere la verità sulla paura arresa alla forza del mistero che quel volo immenso scrive, e canta alla vita. E i piani temporali si sovrappongono, si sfaldano, si rincorrono, si ricompongono in un tempo che non ha calendari.
E i cunicoli bui che s’inabissano nel ventre misterioso di una razza che ha sangue di mille razze di guerrieri e uccellatori e le geometriche guglie che fendono il cristallo intatto della volta celeste sono lame a ferirlo mentre s’innalzano in bianca preghiera a raggiungere il sogno di Dio che in questa terra incontra la sua orma.
In un piccolo cerchio di acque, prive di orizzonti altri, svetta l’“Idea” che si fa nuvola e si moltiplica nel suo andare senza ostacoli e senza disciplina a produrre meraviglie, come la corsa dei piedi scalzi che ora tornano tornano tornano perché dall’isola ognuno ha mente di andare lontano e cuore di ritornare: è qui che canta la pietra, qui “urla e biancheggia il mare”, qui si eternano la bellezza e la volontà degli uomini a eternarla in un ritrovarsi, alla fine del rito vestito di bianco, in lacrime e abbracci di abbandono a quel volersi bene che è un riconoscersi e un appartenersi.
E tutto vive e palpita (immagini suoni rumori nenie e canti e incanti e natura e sfondo musicale dolcissimo e  parole di favola antica e sempre nuova), nello splendore sapiente del film “Le favole iniziano a Cabras”, di un figlio giovanissimo della mia terra, Raffaello Fusaro, che ringrazio perché mi ha permesso di vivere con lui, e con tutti i coprotagonisti di questo viaggio fantastico, la Poesia selvaggia della campagna sarda, umile e appassionata terra di Arte e di spazi incontaminati pur nell’avanzare della civiltà tecnologica contemporanea, senza dimenticare la poesia forse meno tumultuosa, ma altrettanto magica, del nostro Sud nutrito da sempre con fiabe sole creatività fantasia immaginazione visionarietà amore.
E stelle come soli catturati nelle mani da far esplodere a migliaia. Raffaello ne è la conferma.

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