È la
lingua che abbiamo ascoltato sin da quando siamo venuti al mondo,
sussurrata con amore da nostra madre quando ci teneva al seno. È
quella della ninnananna con cui nostra nonna cercava di farci
addormentare. È la lingua dei primi giochi. Delle prime tenerezze.
La lingua del cuore. Quella che riscopriamo nell'anima ogni volta
che una emozione ci sorprende, un dolore ci opprime, una gioia ci fa
mettere le ali. È la nostra rabbia. Il nostro rancore. È il nostro
ricordo. La nostra nostalgia. È il mondo sotterraneo che ci portiamo
dentro e che affiora nei momenti difficili della nostra vita quando,
senza maschere o convenevoli sociali, ci consegniamo agli altri nella
nostra autenticità, nel nostro stupore di essere nudi eppure non
riconosciuti nella nostra pelle, nella parte più scoperta e più
vera, che è comunque, a ben vedere, anche la parte più intima e più
oscura di noi. Quella che affonda le radici nell’humus fecondo dei
nostri antenati, del loro modo di vivere, di esprimersi, di
manifestare o contenere sentimenti, emozioni, pensieri. Una sorta di
contenitore rustico, fatto di sarmenti intrecciati come le “sporte”
che un tempo i contadini portavano in campagna per colmarle di tutto
quanto la terra produceva e sapeva di buono: il profumo colorato
delle ciliegie, dell’uva, dei gelsi, delle pesche e delle susine,
dei gloriosi fioroni e delle timide nespole e azzeruole mescolato con
quello delle mandorle fresche e delle olive dolci, delle carrube,
delle noci e nocelle dall’odore aspro e forte. E da quel
contenitore, simile al cilindro di un mago, noi tiriamo fuori,
improvvisamente, la nostra antica storia che sa di terra, di alberi e
di frutti, di fiori e di foglie, di fatica e di sudore, di magri
raccolti e di fiducia nella bontà divina o nella buona sorte.
La nostra
storia di neve col vincotto, mangiata intorno al braciere acceso
nelle lunghe sere d’inverno. E, con i rosoli di diversi colori, u
grattamarianne all’angolo della strada negli assolati pomeriggi
estivi.
Basta un
richiamo. Una parola. Un gesto. Uno sguardo. Una ruga in più su un
volto che ci sembra millenario e il mondo di oggi cede i suoi scenari
vorticosi e spesso disumani a quelli più sofferti, ma forse anche
più rassicuranti di un tempo solo apparentemente perduto, ma
radicato nell’anima, scritto nei nostri comportamenti atavici di
cui, se siamo molto giovani o appena adulti, non conserviamo memoria.
Eppure ci appartengono. Sono la storia dei nonni e dei bisnonni. Sono
le loro voci, i loro proverbi (rә
dәttériә),
con cui si semplificavano la vita da percorrere lungo carreggiate già
segnate e da indicare alle nuove generazioni per impedire loro di
perdere la via maestra o il battuto sentiero e magari di imboccare
scorciatoie a volte pericolose e fuorvianti. Sono la meta certa e il
sicuro ritorno. Sono la casa, il focolare, il paiolo, le fave e le
cicorie, la cena frugale e il ragù della domenica.
Le strade
col pietrisco e i carri con muli o cavalli e il cane che abbaia al
primo chiarore dell’alba. Sono la preghiera del mattino e il
requiem per i morti recitato di sera, quando più acuto era il
ricordo e più intenso il dolore, in un latino biascicato e
incomprensibile che non era latino e neppure volgare o italiano, ma
era una strana lingua, che oggi può farci anche sorridere, divertiti
per tanta ingenua fiducia nelle parole apprese di bocca in bocca e
ritenute intoccabili e sagge, degne di un miracolo o della
benevolenza del Creatore. Eppure è la lingua che racconta la fede e
l’affidarsi a Dio dei nostri vecchi. Ci è stata trasmessa con le
parole dell’anima imparate nella culla e cucite nel cuore per
poterle ritrovare lì, dove l’amore le ha conservate e nascoste per
ricordare a noi, che le abbiamo apparentemente dimenticate, chi
realmente siamo.
Solo il loro
recupero potrà restituire alle nostre parole nuove il senso profondo
delle cose, quella matericità che abbiamo perduto con l'astrazione
dei nostri discorsi fondati sui concetti e non più sull'esperienza,
perché solo esse racchiudono significati antichi da ripercorrere a
ritroso fino a ritrovare, intatta e vera, la storia dell’umanità.
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