martedì 24 giugno 2025

Lunedì 24 giugno 2025: ROSSELLA PICCARRETA E LA SILLOGE POETICA “CARNE SACRA”…

 

E oggi mi sembra opportuno parlare di Rossella Piccarreta e della sua silloge poetica la CARNE SACRA… che sarà presentata oggi a Trani come vi sarà sicuramente capitato di leggere nelle Pagine dell’Editore Peppino Piacente della SECOP edizioni di Corato-Bari.

Rossella Piccarreta CARNE SACRA (Prefazione di Pierluigi Balducci e Postfazione di Mariella Medea Sivo, SECOP Edizioni, Corato-Bari).

Avverto la necessità di scrivere le mie emozioni nel rileggere le poesie di Rossella Piccarreta. Intanto, un richiamo commosso alla Prefazione del grande musicista Pierluigi Balducci, per la tenerezza che si avverte nel sentire profondamente la musica interiore, promanata dai versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue parole che si velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli Opposti” quasi a spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si spiritualizza nel “divino” che ci appartiene. E rinascono paure e timori, desideri e incanti, sogni e nuove sorgenti di vita e di amore.

Scopriamo tutto questo nella silloge di Rossella, di cui Mariella Medea Sivo ha scritto la Postfazione, con un incipit insolito, colto, stravagante, eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera ammirazione che nutre per la straordinaria poetessa, sua amica.

Non posso che condividere e cercare i punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro in sintonia nei vari testi poetici.

Fondamentale è la sintonia, che ci permette di scoprirci nello stesso suono, di vibrare con la stessa musica. Di assecondare lo stesso movimento che ci rende unici nella nostra identica identità ed eternamente cangianti. Fatti, dunque, di coralità e di individualità insieme.

E prendo subito ispirazione dal “Prologo” che dà un senso a tutta la raccolta perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte la poetessa di “scrivere poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa “voce”, che lei segue “muta e rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle, come “graffio o carezza”, che può condividere, sicura di essere compresa e accolta, solo da “chi sa vedere”. Fondamentale è essere “consonanti”.

Anche negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio di liriche o la prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come tutti gli esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili in ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili, non come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di “tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare, gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure lontano/ un suono: il mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto l’azzurro./ Uguale per me e per te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war in the soul”, pp. 13-14).

E i versi si inazzurrano come la nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla valgono “urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una commovente poesia, in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca a eterna vergogna della sua terra d’origine.

Forse occorrono preghiere per sventare ogni timore, reso realisticamente vero e spaventoso dalle “ali giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la contraddizione ad allarmare la voglia di vivere e di amare. In eterno contrasto.  Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e Fine. Odio e Amore. Tutto e Nulla.

Simone Weil ha studiato a fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifico quotidiano. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il contrario.

Rossella cerca di vincere le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza ai pensieri e ai giorni come in Italo Calvino. Una leggerezza pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore equilibrio, di una serenità mai vissuta prima e che sempre più le sembra una necessità dell’anima, perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze della vita, dovute innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra arroganza nell’affermare senza mezzi termini l’individualismo con il vivere continuamente, tra sincerità e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene, di cui spesso non si riesce a fare a meno.

La seconda sezione “Eros, Anteros, Himeros” è meraviglia di occhi innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati spenti, nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca di occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre. “Malgrado tutto”.

E le contraddizioni, man mano che sono passati gli anni, sono aumentate, spenti i bollenti spiriti della passione, in un crescendo di perdita di sé e dei sogni. Ora tutto sembra inventato, persino l’amore che pure un tempo era stato vero.

Fugge il tempo, purtroppo, portandosi con sé amori, illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni ritorni” nei “valzer degli addii”.

Rossella conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice e testardamente crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è stato, ma potrebbe ancora essere.

Osa continuamente scendere negli abissi della disperazione e risalire con nuova fioritura di poesie e di preghiere, che fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre pronto a rinascere anche “nel buio di un frammento” per continuare a cantare “all’infinito”. E il poeta è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei il respiro della Poesia. Un ritrovarsi sempre e comunque.

Ecco perché la terza sezione tratta di “Ritrovamenti”. E tra questi è sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e le sue nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il “Tempio Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita stessa. Sempre ossimorica.

La quarta sezione è fatta di “Notturni” ed è un inno al pensiero femminile che germoglia nella notte perché carica di mistero che solo il buio genera, sa e conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della chiarezza del giorno, è fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella comunità di appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro, velato, misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo nel buio,/ un’inquietudine lieve/ celata dal lungo frenetico/ frinire del giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce alla realtà del giorno. E alle sue verità.

La quinta sezione si intitola “Memento mori”, in cui tutto si fa ansia di vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha insegnato alla poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e probabilmente per tutti, “la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci aggrappiamo come incoercibile anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha versi d’amore per tutti, segno di grande umiltà e di immensa forza d’animo: per le donne e per ciascuno di noi, facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a mettere il nostro cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo mondo così difficile da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare il bene e la speranza in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per tutti: siamo fratelli sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire.

Ho i denti che battono/ e identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo d’oro le crepe/ facciamo un sogno nuovo./ Restiamo umani.

                                                                   Angela De Leo

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