E oggi mi sembra opportuno parlare di
Rossella Piccarreta e della sua silloge poetica la CARNE SACRA… che sarà presentata oggi a Trani come vi sarà
sicuramente capitato di leggere nelle Pagine dell’Editore Peppino Piacente della
SECOP edizioni di Corato-Bari.
Rossella
Piccarreta CARNE SACRA (Prefazione di
Pierluigi Balducci e Postfazione di Mariella Medea Sivo, SECOP Edizioni,
Corato-Bari).
Avverto la necessità di
scrivere le mie emozioni nel rileggere le poesie di Rossella Piccarreta. Intanto, un richiamo commosso alla Prefazione
del grande musicista Pierluigi Balducci,
per la tenerezza che si avverte nel sentire profondamente la musica interiore,
promanata dai versi della nostra Autrice, e per la sacralità scoperta nelle sue
parole che si velano continuamente di mistero e sembrano danzare “tra gli
Opposti” quasi a spiccare il volo verso l’Infinito che le palpita dentro e si
spiritualizza nel “divino” che ci appartiene. E rinascono paure e timori,
desideri e incanti, sogni e nuove sorgenti di vita e di amore.
Scopriamo tutto questo
nella silloge di Rossella, di cui Mariella
Medea Sivo ha scritto la Postfazione, con un incipit insolito, colto,
stravagante, eccezionale, da cui emergono tutto l’affetto e la sincera
ammirazione che nutre per la straordinaria poetessa, sua amica.
Non posso che condividere
e cercare i punti di congiunzione, scoperti da entrambi, per entrare con loro
in sintonia nei vari testi poetici.
Fondamentale è la
sintonia, che ci permette di scoprirci nello stesso suono, di vibrare con la
stessa musica. Di assecondare lo stesso movimento che ci rende unici nella
nostra identica identità ed eternamente cangianti. Fatti, dunque, di coralità e
di individualità insieme.
E prendo subito
ispirazione dal “Prologo” che dà un
senso a tutta la raccolta perché indica a chiare lettere l’urgenza che avverte
la poetessa di “scrivere poesia”: dono che giunge da lontano e che si fa
“voce”, che lei segue “muta e rapita” come ferita d’amore incisa sulla pelle,
come “graffio o carezza”, che può condividere, sicura di essere compresa e
accolta, solo da “chi sa vedere”. Fondamentale è essere “consonanti”.
Anche negli “Smarrimenti”, come suggerisce il primo spazio
di liriche o la prima sezione. Rossella Piccarreta è, infatti, una donna che, come
tutti gli esseri umani, vive la contraddizione e di contraddizioni, ineludibili
in ciascuno di noi, e ancora di più nelle persone particolarmente sensibili,
non come sconfitta della propria logica, ma come vittoria sulle fragilità che
accompagnano la nostra esperienza esistenziale, in quanto è il cuore che
risorge da ogni debolezza e da ogni smarrimento, perché è sempre colmo di
“tenerezza”, palpita sempre d’amore dato e ricevuto, anche se, a ben guardare,
gli uomini sono purtroppo impastati anche di violenza, invidie, rancori
micidiali, che decretano carneficine, guerre, lutti, dolore, senza più un’etica
a salvaguardare la nostra uguale umanità. Eppure
lontano/ un suono: il mare./ Uguale per te e per me./ Eppure in alto
l’azzurro./ Uguale per me e per te (“Snake of war”. Ma anche “snake of war
in the soul”, pp. 13-14).
E i versi si inazzurrano
come la nostra anima. Solo per poco, perché “stormi neri” incombono e a nulla
valgono “urla contro il cielo”. Presagio di morte e distruzione, come già in Giosuè Carducci (in San Martino) o in Paul Celan, in una commovente poesia,
in cui descrive la disumanità della Shoah, in lingua tedesca a eterna vergogna
della sua terra d’origine.
Forse occorrono preghiere
per sventare ogni timore, reso realisticamente vero e spaventoso dalle “ali
giganti/ nere e pesanti”. Non a caso, ancora la contraddizione ad allarmare la
voglia di vivere e di amare. In eterno contrasto. Vita e Morte. Eros e Thanatos. Origine e
Fine. Odio e Amore. Tutto e Nulla.
Simone
Weil ha studiato a
fondo l’inevitabilità della contraddizione persino nell’apparente pacifico
quotidiano. Ne ha fatto una teoria filosofica, psicologica ed etica, pur
essendo partita dalla matematica, da una scienza esatta che non ammette il
contrario.
Rossella cerca di vincere
le innumerevoli contraddizioni che la abitano e la agitano, tra “lo strazio del
niente./ Il soffio del tutto”, alla ricerca di un equilibrio che dia leggerezza
ai pensieri e ai giorni come in Italo
Calvino. Una leggerezza pensosa, certo, alla ricerca di un maggiore
equilibrio, di una serenità mai vissuta prima e che sempre più le sembra una
necessità dell’anima, perfettamente consonante con le inevitabili dissonanze
della vita, dovute innanzitutto alla nostra natura umana, e alla nostra
arroganza nell’affermare senza mezzi termini l’individualismo con il vivere
continuamente, tra sincerità e ipocrisia, realtà e finzione, libertà e catene,
di cui spesso non si riesce a fare a meno.
La seconda sezione “Eros, Anteros, Himeros” è meraviglia di
occhi innamorati, ritorni concentrici di desideri, accesi spenti ritrovati
spenti, nel giardino più o meno segreto, in cui Rossella coltiva rose e cerca
di occultare le spine in una danza, che è recupero di amore carnale e divino
perché sacro è l’amore in tutte le sue espressioni e manifestazioni. È “traccia
chiara/ di una segreta divinità”. E di “innocenza”. Ma continuano anche qui
smarrimenti e paure, dubbi e contraddizioni, assenze e vuoti di presenze
desiderate: attese, rimpiante. Ma rinasce sempre l’amore in ogni luna
attraversata. Ed è pacificazione di cose e di anime, unite per sempre.
“Malgrado tutto”.
E le contraddizioni, man
mano che sono passati gli anni, sono aumentate, spenti i bollenti spiriti della
passione, in un crescendo di perdita di sé e dei sogni. Ora tutto sembra
inventato, persino l’amore che pure un tempo era stato vero.
Fugge il tempo, purtroppo,
portandosi con sé amori, illusioni, “ardore e tenerezza”. Gli stessi “eterni
ritorni” nei “valzer degli addii”.
Rossella
conserva, però, nelle sue mani tutte le meraviglie di Alice e testardamente
crede nei sogni e nell’amore e a tutto ciò che è stato o non è stato, ma
potrebbe ancora essere.
Osa continuamente
scendere negli abissi della disperazione e risalire con nuova fioritura di
poesie e di preghiere, che fanno bene al cuore esacerbato e stanco, ma sempre
pronto a rinascere anche “nel buio di un frammento” per continuare a cantare
“all’infinito”. E il poeta è salvo. E con lui anche Rossella perché c’è in lei
il respiro della Poesia. Un ritrovarsi sempre e comunque.
Ecco perché la terza
sezione tratta di “Ritrovamenti”. E
tra questi è sempre il cuore in primo piano. Poi il cielo con il suo azzurro e
le sue nuvole, e la carezza forte/dolce delle parole poetiche, che abitano il
“Tempio Sacro della Poesia”, mai del tutto perso e in cui è bello e salvifico
rifugiarsi. Non importa se, alla fine, rinascere sia un tornare a ridere ancora
di un “tutto/ fatto di niente”. E ripercorrere le stagioni: metafora della vita
stessa. Sempre ossimorica.
La quarta sezione è fatta
di “Notturni” ed è un inno al
pensiero femminile che germoglia nella notte perché carica di mistero che solo
il buio genera, sa e conosce. Il pensiero maschile, invece, è fatto della
chiarezza del giorno, è fatto di cose pratiche e di problemi da risolvere nella
comunità di appartenenza, nella società, nel mondo politico. Niente è oscuro,
velato, misterioso. Non a caso, Rossella scrive: Epifania del sonno/ è un segreto/ nascosto tra le stelle,/ un rantolo
nel buio,/ un’inquietudine lieve/ celata dal lungo frenetico/ frinire del
giorno,/ un’apnea sospesa/ nel silenzio nero della notte… (p. 77). Ma anche dalla notte si emerge alle
prime luci dell’alba e al bagliore del sole che tutto risana e ci restituisce
alla realtà del giorno. E alle sue verità.
La quinta sezione si
intitola “Memento mori”, in cui
tutto si fa ansia di vivere, sia pure nelle mille contraddizioni che la vita ha
insegnato alla poetessa giorno dopo giorno. Disperante è per lei, e
probabilmente per tutti, “la vanità”, l’inconsistenza delle cose a cui ci
aggrappiamo come incoercibile anelito alla vita. Ma Rossella Piccarreta ha
versi d’amore per tutti, segno di grande umiltà e di immensa forza d’animo: per
le donne e per ciascuno di noi, facendo appello, con tutte le sue forze, all’ac-cor-darci, cioè a mettere il nostro
cuore insieme, per vincere il male che si annida in questo mondo così difficile
da vivere ai nostri giorni e sempre, e per fare trionfare il bene e la speranza
in un mondo migliore, in una prospettiva salvifica per tutti: siamo fratelli
sotto lo stesso cielo che ci vede nascere e morire.
… Ho i denti che battono/ e
identiche ferite/ e identico sole sul capo./ Riempiamo d’oro le crepe/ facciamo
un sogno nuovo./ Restiamo umani.
Angela De Leo
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