mercoledì 24 marzo 2021

Mercoledì 24 marzo 2021: nel Retino la parola GRATITUDINE...

Mi piace riproporre qui la parola “gratitudine” per ampliare quanto detto nel Retino di ieri. Una parola su cui occorre riflettere molto per non provare sensi di inadeguatezza o di colpa. Solo per imparare a conoscersi meglio e a trovare le vie giuste per diventare persone migliori.

La parola: GRATITUDINE

dal latino gratitudo: parola forse mai realmente praticata nella storia dell’umanità e forse men che mai sentita e vissuta nella società contemporanea. Forse del tutto assente oggi. Ma non bisogna mai generalizzare. Peccheremmo di presunzione. Solo forse...

La gratitudine, intanto, presuppone un sentimento di affettuosa riconoscenza per un dono, un beneficio o favore ricevuti e di sincera appagante disponibilità a contraccambiarlo. Già Cicerone definì la gratitudine: “madre di tutte le virtù”… In realtà, essa presuppone una buona dose di consapevolezza di sé, delle proprie reali capacità e potenzialità, dei propri limiti. Di molta umiltà e di vera “sapientia cordis” (saggia tenerezza del cuore). È nella natura umana, in linea di massima (ma naturalmente ci sono le eccezioni), mettersi al centro del mondo e avere di sé l’immagine ideale e non quella reale. Ciò sarebbe, a mio avviso, la causa principale di molteplici errori di valutazione di sé e degli altri. E ciò comporterebbe l’eterna “arroganza” sociale di non sentirsi mai in debito ma sempre in credito con gli altri, anche quando i fatti dimostrano il contrario: non sentiamo mai in cuor nostro di dire grazie a nessuno perché sono sempre gli altri che traggono profitto e vantaggio dal nostro indiscusso valore. Anche in virtù del fatto che riconoscere di aver ricevuto un beneficio e il dover ringraziare con gratitudine comporta il riconoscere superiore a noi chi ci ha beneficato. E questo ci mette nella condizione di dover ammettere in qualche modo il nostro stato di inferiorità, il che difficilmente rientra nel pensiero e nel comportamento umano. Oggi, la meccanica quantistica ci insegna che ogni uomo ha una percezione soggettiva della realtà anche se la osserva nelle identiche condizioni e situazioni degli altri. Banalmente si è soliti dire “nessuno è secondo a nessuno”. Quanto sarebbe più opportuno guardarsi con realistica percezione di sé e riconoscere il valore degli altri e i propri limiti senza sentirsene sminuiti anzi decisamente rafforzati nella propria personalità. Tutto questo ci porta all’“esperienza dell’io” (Fromm): una più ampia e profonda consapevolezza di sé che comporta una maggiore consapevolezza dell’altro da sé, degli altri. Senza confondere con nessun altro l’identità dell’“io sono”, ma comprendendo ogni altro diverso da sé. Perché, come Fromm sostiene, “io sono te senza perdere me stesso, anzi rafforzandomi nel mio io”. E mi rafforzo nella “capacità di accettare il conflitto” e la tensione che inevitabilmente l’incontro dell’“Io” con l’altro “Io” comporta. “I conflitti sono la fonte della meraviglia, dello sviluppo della forza, di quello che una volta si soleva chiamare <carattere>”. L’accettazione del conflitto, dunque, è un atto creativo perché ci pone verso l’altro e la stessa vita, non con il nostro “Io” che deve vincere, ma con un “Io” che, per il solo fatto di scoprire ed accettare l’altro “Io” diverso da noi o la nostra vita, diversa dalle nostre aspettative, ci dà la possibilità di sperimentare e accettare l’esistenza di una realtà sconosciuta fino a che il nostro “Io” non l’abbia guardata con occhi non più suoi. Cosa veramente quasi del tutto impossibile. I latini dicevano a giusta ragione: Tot capita, tot sententiae! E, invece, sono proprio gli altri che riconoscono e valorizzano le nostre peculiarità come Persona in tutte le sfaccettature del vivere quotidiano, offrendoci il nostro giusto peso sociale, affettivo, lavorativo, amicale nella comunità e la nostra giusta dimensione nell’operare in tutti i diversi settori della nostra esperienza umana. E ciò fa la differenza. La gratitudine nasce da questo riconoscimento che sollecita la “riconoscenza” (ri-conoscimento: ritorno su quanto ho conosciuto prima per avere conferma della prima impressione o mutarla, ma il ripetere una conoscenza dà maggiori garanzie della autenticità di chi abbiamo imparato a conoscere; ri-conoscenza: è il riproporre quanto detto prima). Solo dopo la ripetizione di questi due atti, tutto si potrebbe tradurre in reciproca gratuità. Gratitudine e gratis hanno lo stesso etimo. Purtroppo, però, a mio parere, spessissimo la gratuità di un dono, di un beneficio, di una particolare attenzione, di un prendersi cura dell’altro con sollecitudine e affetto o impegno, invece di essere considerato un dono prezioso viene svilito proprio perché gratuito (non ci è costato niente né in perdita di tempo né in perdita di denaro né in perdita di illusione), perché ci è stato facilmente elargito. Per questo non viene ri-conosciuto come tale e, quindi, non meritorio di ri-conoscenza, di un “grazie”, che guarda caso ha lo stesso etimo di gratitudine e gratis. Eppure, riconoscimento e riconoscenza sono alla base della gratitudine. E anche queste due parole hanno la stessa radice, sia pur con significati diversi ma affini. Di qui anche l’attenzione alle affinità? Secondo me, sì. Solo le persone affini si riconoscono negli stessi intenti, valori, comportamenti. C’è un’intesa che altrimenti non si avverte né si può costruire. Si tratta di quei neuroni a specchio che tanta parte hanno nelle nostre scelte e nei rapporti empatici che si vengono a instaurare sorprendentemente e con molta sintonia. Alcune volte, però, la gratitudine rimane avvolta nelle spire della stessa persona, che si sente appagata e grata verso sé stessa per la personale realizzazione di sé e del sé. Non deve niente a nessuno. Superare questo stato di solipsismo comporta affermare realisticamente i propri limiti e la necessità di aprirsi agli altri. Ma possiamo anche non rivolgerci agli altri per pudore, per timidezza, perché non ne avvertiamo il bisogno o non ne sentiamo l’urgenza perché sappiamo che possiamo cavarcela anche da soli, e quindi, la gratitudine non c’entra più. Ma questo comporta, ancora una volta, la consapevolezza che il buon Dio o Madre Natura (per chi non ci crede) non ha fatto discriminazioni, come siamo soliti pensare, in quanto democraticamente ha distribuito i talenti nei vari settori del nostro essere e operare. Karl Popper ha studiato e ci ha prospettato le “intelligenze multiple”, in base alle quali ciascun essere umano può realizzarsi al meglio di sé. Occorre solo scoprirle in tempo, ossia dai primissimi anni di vita, per evitare inutili e dannose perdite di tempo nel processo di apprendimento e di formazione di ciascun bambino. Ciascuno di noi, infatti, ha un particolare tipo di intelligenza: chi è provvisto di capacità di astrazione e afferra subito i concetti e chi invece ha una intelligenza pratico-organizzativa, chi ha una mente filosofica e chi è portato per le attività manuali e pratiche, chi ha il pallino per le scienze e chi per la poesia e via dicendo (sto naturalmente semplificando). Il processo di coscientizzazione precoce aiuta per tempo a scoprire la natura della propria intelligenza e gli eventuali talenti in uno o più campi d’azione. Si definisce, così, la propria motivazione ad apprendere e ad avviare il personale processo di autorealizzazione (Maslow), attraverso la iniziale curiosità per la scoperta del mondo in cui viviamo. La curiosità suscita l’interesse e la conseguente ricerca, fino al raggiungimento della conoscenza e anche della capacità di reagire a ostacoli fisici, e sensoriali, e ai condizionamenti interni ed esterni con lo sviluppo della capacità di “compensazione” (Adler). Naturalmente, in questo meraviglioso processo di autoaffermazione sono coinvolti i genitori, la famiglia, gli insegnanti e quanti sono preposti, a più vasto raggio, nella comunità di appartenenza e oltre, alla formazione delle nuove generazioni. Ci deve essere sempre qualcuno che si prenda cura con amore di chi si dischiude alla vita attraverso una ri-nascita interiore che segue alla nascita biologica in un ambiente accogliente o meno. “Nessuno si salva da solo”, come ben sappiamo. Ma è sempre l’amore che fa miracoli in ogni trasformazione, in ogni evoluzione da uno stato all’altro in tutto l’Universo che continuamente si rigenera. Almeno questo è il mio “pensiero magico”, a cui è improntata tutta la mia vita di perenne sognatrice. Non bisogna mai perdere la strada dei sogni fino all’ultimo respiro se vogliamo continuare a salvarci. e, questa volta, forse anche da soli. Forse...

Si passerebbe, così, soprattutto se si nasce in un ambiente ostile e privo di calore, dai sentimenti negativi di sfiducia, di mancanza di autonomia e di iniziativa personale per paura di sbagliare; di ripiegamento su sé stessi o di rabbia e ribellione, come anche spesso accade; di illusione/delusione, diffidenza/chiusura, senso d’inferiorità/frustrazione, gelosia/invidia/ipocrisia… a sentimenti positivi di autostima, forza, determinazione, coraggio ad osare e a mettersi in gioco, a superare, come già detto ma è bene ribadirlo, anche i possibili ostacoli di natura fisica o sensoriale, i vari condizionamenti endogeni ed esogeni che creano notevoli problemi alla nostra maturazione psico-fisica. Sarebbe più facile, conquistando via via sempre più l’autostima, aprirsi agli altri con fiducia e simpatia, serenità, gioia di vivere; provare rispetto e cura per la natura; appagamento per la propria autorealizzazione; desiderio di vivere per gli altri, e di donare agli altri, con gratitudine verso la vita, dono meraviglioso che spesso diamo per scontato, un po’ di sé per amore con AMORE.

Almeno io la penso così. Voi? Mi piacerebbe confrontarmi con i vostri suggerimenti, le integrazioni, le rivisitazioni e quant'altro. Grazie.     

  

2 commenti:

  1. Cara Angela, come non esserti grata? Ecco i versi scaturiti stanotte dalle tue riflessioni!

    Nel debito di un credito

    S'annoia il sé,
    spossato depone la sua corona smilzo di cuore e si prepara all'esodo
    L'alito assassino non più appaga.
    Il lampeggiare di finestre
    nel buio delle sue frequenze
    troppo acute, stride e si fa strada.
    Lo guardiamo
    trapassare lo specchio e lambire
    solitarie rive
    col suo foulard di tedio al collo.

    M. Bari

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  2. Grazie Angela per le tue riflessioni sulla “GRATITUDINE”. Ti sono molto grato. Anche i miei pensieri vanno in questa direzione. Ecco alcuni spunti “germanici” sulla relazione tra “pensare” e “ringraziare”.
    Pensare e ringraziare sono due parole affini; diciamo grazie alla vita, ripensandola. È una citazione attribuita a Thomas Mann (1875 – 1955), scrittore tedesco, premio Nobel per la letteratura, da cui prendono lo spunto i più disparati siti della rete, per le loro riflessioni sul tema della Dankbarkeit (riconoscenza). In realtà è stato Paul Celan, nella sua “Allocuzione in occasione del conferimento del Premio letterario della Libera Città Anseatica di Brema”, a introdurre così la sua concezione poetica: “Denken (pensare) e Danken (ringraziare) hanno nella nostra lingua la stessa identica origine. Chi ricerca il loro significato si porta nel campo semantico di: gedenken (richiamare alla memoria) eingedenk sein (essere memori), Andenken (pio ricordo), Andacht (devozione). Mi permettano di prendere le mosse da qui, per ringraziare”. È una riflessione profonda che caratterizza tutta l’opera di Celan. In realtà nella lingua tedesca pensare (Denken) e ringraziare (Danken) scaturiscono dalla stessa matrice linguistica: il ponderare, il dare peso, il percepire la cosa che conta. D’altronde anche l’italiano pensare deriva da pensum (peso, compito): pensare in latino vuol dire appunto ponderare, ricambiare …È bene approfondire questa correlazione sorprendente che c’è tra il pensare e il ringraziare, ogni tanto fermarsi e dire grazie, imparare a dirlo, farne un esercizio, uno stile di vita. Perché, è proprio vero: la riconoscenza non sgorga automaticamente dal patrimonio e dalle capacità del cuore umano, - bisogna lentamente impararla ed esercitarsi, in qualche modo, nell’atteggiamento di gratitudine, scoprire soprattutto l’armonia interiore che c’è tra il pensare e il ringraziare. (cfr. Bisogno di Maestri…). Un saluto carissimo. Vito dc

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