Ora che la gioia viva dell’incontro ci ha lasciato una
impalpabile malinconia per i cinque giorni trascorsi troppo in fretta per
sentirli veri, ora mi piace riportare alla memoria, ancora breve, le meraviglie
vissute lunedì scorso nella nostra Libreria Secopstore in quel di Corato.
Serata magica, dunque, all’insegna della Poesia e della Letteratura italiana e
internazionale con la straordinaria presenza (per la prima volta in Italia) di
Gjeke Marinaj, il GRANDE poeta di origini albanesi, ma americano di adozione
ormai da tanti anni. Tutto il suo ricchissimo, sorprendente, affascinante
curriculum vitae e professionale è stato abbondantemente citato su varie Pagine
di fb, su testate giornalistiche in formato cartaceo e via web, un po’
dappertutto, in Italia e all’estero, per cui non mi sembra il caso di
riportarlo ancora sulla mia pagina. In pratica, basta cliccare il suo nome su
Google per sapere tanto di lui.
Penso che sia giusto, invece, ripercorrere per sommi capi
l’esperienza prodigiosa vissuta insieme lunedì.
E parto da Raffaella Leone e dalla sua chiara, colta,
dettagliata, effervescente Introduzione alla serata di presentazione di Gjeke
Marinaj tra noi. Con intensa partecipazione emotiva e tanta dovizia di
particolari letterari e storici, ha focalizzato quale possa essere il
significato della poesia ai nostri giorni, in un vastissimo e complesso
panorama culturale, letterario, umano, e in una società che sembra vivere sui
social una fittizia realtà parallela a quella che ci vede protagonisti in casa,
nella comunità locale e planetaria in cui realmente e realisticamente viviamo.
Le ipotesi e le tesi, le argomentazioni e le contraddizioni.
Poi, ecco Gjeke Marinaj, seduto in mezzo al numeroso
pubblico con la semplicità che si conviene ad un uomo di particolare umiltà e
ad un poeta GRANDE di per sé. Con il suo tenero, luminoso, avvolgente sorriso
che fa di lui la perfetta incarnazione della sua teoria, il Protonismo, che
propugna il “pensiero positivo”, non soltanto nell’ambito della critica
letteraria, ma anche in ogni rapporto relazionale e in ogni settore dell’umana
esperienza, con la prospettiva di valorizzare quanto di buono possa esserci
nella scrittura di ciascun autore, ma anche nella personalità di ciascun essere
umano, che è fatto, come ciascun essere umano, di luci e di ombre, di virtù e
difetti, di ardimenti e di limiti. Mettendo in pratica cinque semplici regole
che Gjeke suggerisce per diventare migliori noi stessi e rendere migliori i
nostri simili e l’intero nostro pianeta, oggi così devastato da guerre, palesi
e sotterranee, da violenze di ogni genere, dall’imbarbarimento del linguaggio
verbale e dello stesso animo umano. La paura serpeggia per ogni possibile
(anche se improbabile) nemico, tanto è l’odio sempre più diffuso nel mondo
verso ogni diversità, e persino verso ogni altro da noi. Laddove Gjeke viene
chiamato, invece, quale ambasciatore di pace e fratellanza tra tutti gli esseri
viventi. E il suo sorriso coinvolgente si sposta tra i vari
Continenti per diffondere quella teoria che, nel frattempo, è diventata una
disciplina linguistico-filosofico-umanistica, insegnata anche in alcune
Università.
Non a caso, alle domande di Raffaella c’è stata da parte del
nostro ospite un volo per parlare di quanto gli stava più a cuore: il
potere della Poesia e il Protonismo. E lo ha fatto come se rompesse gli
argini, essendosi trasformato in un fiume in piena, con tutta
la sua passione viscerale per la parola poetica, con la forza
dirompente della sua anima ribelle e libera, e con tutto il suo amore,
accogliente e vitale, per gli altri, per la natura, i luoghi amati, la vita
stessa.
Fremiti di emozione e commozione condivisa: da alcuni
parenti albanesi del poeta, venuti per salutarlo ancora una volta, dopo
trent’anni di attesa dal loro ultimo incontro, e dai tanti nostri amici SECOP,
poeti, scrittori, docenti, giornalisti, fotografi, musicisti, chiamati da
Raffaella, con un gioco divertente di parole “pescate” a caso, ad essere
protagonisti tutti, sia pure per una manciata di minuti, della serata. Perché
Gjeke Marinaj si sentisse avvolto dal calore e dall’ammirazione dei presenti,
sempre più numerosi, attenti, coinvolti.
Giuseppe Fiorello, nostro amico e autore, nonché docente,
fotografo e pittore, ha fatto l’elenco di chi ha potuto rendere omaggio al
nostro meraviglioso ospite. Ve lo propongo, leggermente modificato per evitare
qualche soggettiva interpretazione delle sue schiette parole (ma il testo
originale è visibile su fb) perché ne rimanga traccia anche su questa mia
pagina:
Il poeta albanese naturalizzato americano Gjekë Marinaj
in giro per la nostra Puglia, a Santo Spirito e Lecce con serate organizzate
dalla poetessa Rosalba Fantastico di Kastron e il suo compagno Franco Leccese,
e a Bitonto e Corato con la SECOP edizioni, per presentare il suo primo libro
di poesie in italiano "Schizzi di immaginazione", pubblicato dalla
SECOP, e la sua teoria sul Protonismo.
Durante l’ultimo incontro, lunedì 9 settembre, è stato
accolto ed omaggiato, nella Libreria Secopstore di Corato, da molti altri
autori della stessa Casa editrice.
Angela De Leo
Giovanni Romano
Gabriella Basile
Gabriella Basile
Rosalba Fantastico di Kastron
Dina Ferorelli
Zaccaria Gallo
Valentino Losito
Federico Lotito con la sua compagna Luciana De Palma
Alberto Tarantini
Mario Sicolo
Marino Pagano
Luisa Varesano
Maria Sforza
Mauro Massari
Gianni Brattoli
Dina Ferorelli
Zaccaria Gallo
Valentino Losito
Federico Lotito con la sua compagna Luciana De Palma
Alberto Tarantini
Mario Sicolo
Marino Pagano
Luisa Varesano
Maria Sforza
Mauro Massari
Gianni Brattoli
Giuseppe Tricarico
Tony Rizzo
Giuseppe Fioriello
Benny Caterina
Angela Strippoli
Besa Mone (docente di origine albanese)
Tony Rizzo
Giuseppe Fioriello
Benny Caterina
Angela Strippoli
Besa Mone (docente di origine albanese)
Giuseppe
Fioriello
E, dopo la felice Prolusione di Raffaella, ecco la Relazione
della sottoscritta:
Schizzi d’immaginazione (SECOP edizione) di
Gjeke Marinaj
La raccolta poetica Schizzi d’immaginazione di
Gjeke Marinai mi ha da subito affascinato per la “singolarità” e la “verità”,
plurale e contraddittoria quest’ultima, l’ironia al limite dell’amaro sarcasmo,
la tenerezza colma d’antica nostalgia, la visionarietà onirica e
vera. Sono queste alcune caratteristiche che ne fanno un’opera
unica, originale, autentica.
E, del resto, Susan Sontag, scrittrice statunitense
pluripremiata, sostiene che tutte le qualità che rendono pregevole o ammirevole
uno scrittore possono essere individuate, appunto, nella “singolarità” della
sua voce… e nella “verità molteplice” delle sue affermazioni contraddittorie.
“La letteratura - scrive Sontag - è la casa della sfumatura
e della contraddizione, che si oppone alle voci della semplificazione”.
È quanto ampiamente connota Schizzi d’immaginazione,
in cui c’è tutto Gjeke, con i suoi sogni e le sue perdizioni, il suo amore
“affamato” per l’amatissima consorte Dusita e la sua anima buia e martoriata di
esule e migrante, metà zingaro e metà eroe, con una visione della realtà tutta
calata nelle sue verità più dure e aspre della condizione umana tra violenze,
guerre, sradicamenti, lutti, ma anche fiorita di verità più lievi e incantate
della bellezza e della speranza, che contempla fuori e dentro di sé.
Marinaj aggruma spesso le prime con il suo pensiero
filosofico, che mai lo abbandona e con la fine penetrazione psicologica nelle
pieghe dell’animo umano, oppure le stempera con l’ironia e la poesia che gli
appartengono come una seconda pelle, la sua stessa carne, il suo stesso sangue.
Vorrei, a questo proposito, ricordare che lo psicanalista
Massimo Recalcati definisce il libro: “mare”, aperto e libero, che porta
lontano e permette il lungo viaggio della scoperta e della conoscenza; “corpo”,
carne della nostra stessa carne: se ci cattura diventa il nostro stesso corpo;
“coltello”, perché dopo il primo colpo (fendente metaforico) per penetrare
nelle sue pagine è lo stesso libro che ci ferisce, prendendosi l’anima e tutta
la parte più nascosta di noi, perché in esso scopriamo la nostra lacaniana
“lalange”: la nostra lingua interiore, il nostro “Io” più vero, quello che
risale alle nostre radici e scende nell’humus più profondo della nostra terra.
Ecco qualche verso a testimonianza di tutto questo:
Un tempo col palmo delle mie mani la tua crescita
misuravo,//ora altri dai versi che scrivi/ ti misurano.// Sei un poeta/ e oltre
i limiti dello spazio giunge il braccio del poeta. (“Una madre parla al
figlio poeta”, p. 83);
… La ragazza rese il mare più mare./ Il mare
fece più poeta il poeta?/ Chi era il mare? - La ragazza, il mare o il poeta? (“Chi
era il mare”, p. 115);
… tutti gli affanni del mondo furono incisi/ sui
globi oscuri dei nostri occhi, e i nostri cuori/ impotenti rimasero a segnalare
il messaggio del decesso (“Sperando di trovare rifugio in America”, p.
61);
… Vado a portare rose nei cimiteri dei silenzi,/ ma
i fiori si mutano in polvere ed io/ non riesco a trovare la via del ritorno…
(“Quello che alla terra non ho detto” I, p.129).
… Tu, respiro che spirò la brezza vitale/ attraverso
penosi rintocchi d’amore. (“Albania”, p. 47).
Erri De Luca, con Nazim Hikmet, afferma: “il libro
dev’essere vento e aprire le tende”. In pratica, va lontano, si ferma e
spalanca le tende alla luce del giorno per guardare, contemplare, indagare,
scoprire, e restituire, nell’immancabile ritorno, la conoscenza del mondo
arricchita di mondi altri, di altre meraviglie (le stesse categorie elaborate
da Gjeke nella sua teoria protonica, linguistico-umanitaria, che lo ha reso
famoso in tutto il mondo). Con in più la visionarietà, alla quale il nostro
Autore si uncina, per sognare luoghi migliori, in cui abitare finalmente
rasserenato e in pace con sé stesso, con la natura, con tutti gli esseri
viventi, in una continua ansia d’amore, che è attenzione e cura. Un fondersi e
confondersi con il Tutto che ci abita e che abitiamo.
Una delle creazioni embrionali di Dio, la baia di Ha
Long:// Modello da contemplare e seguire per la natura tutta.// Tiepido magico
guscio in cui la terra si fa nido/ di cielo simile al mare e di mare simile al
cielo, fluttuante nel nostro universo.// Sono anime esse stesse e hanno anima
queste minuscole isole./ Poesie nella poesia.(“Nella baia di Ha Long così
appare il mondo, p.15).
E Ha Long è il luogo del cuore, il luogo della poesia e del
ritrovarsi del poeta immerso nella bellezza della natura che tanto lo affascina
in un abbraccio di sogni senza fine. Il LUOGO che apre e chiude la raccolta in
una struttura ad anello che sembra, nella continuità del cerchio, racchiudere
l’infinito…
In tutta la raccolta, del resto, si avverte questo respiro
della bellezza e del sogno sempre in luminoso agguato. In tutta la raccolta,
aleggia un continuo scambio osmotico circolare con i propri simili, fatto di
valori perenni e di pensieri e parole sempre nuovi e diversi, che si
riconducono alla giustizia sociale e alla solidarietà umana. Si avverte il
soffio leggero dell’amore e l’uragano furioso della passione, la malinconica
tristezza dei ricordi e la feroce solitudine dell’esule, il dolore per ogni
perdita, per ogni orma persa sulla sabbia desolata del deserto del cuore che
più volte Gjeke ravvisa nel mondo contemporaneo e che, per sé e i suoi
“affini”, scongiura.
È una poesia che racconta il bene e il male, il bello e il
brutto, l’odio e la tenerezza, tutti i sentimenti che l’esperienza esistenziale
sommuove nell’animo umano. Per questo i versi di Marinaj sono lunghissimi:
rivelano i passi numerosi di colui che va perché deve andare e lascia dietro di
sé una scia di ricordi, il dolore dello strappo dalle braccia materne, dalla
casa, dalle strade conosciute e amate, il vuoto di ogni assenza. E penso alle
stupende statue bronzee dedicate ai migranti dallo scultore marocchino, ma
francese di adozione, Bruno Catalano.
E ci sono, al contrario, versi che narrano anche i sorrisi
incantati e pudichi dell’amore ragazzino e quelli più morbidi e pensosi
dell’età matura, quando l’amore è un rifugio, una consolazione protettiva a
rimarginare ferite, ad assicurare continuità e serenità di giorni da
centellinare piano perché nulla più vada perduto. Stupendi quelli dedicati a
Dusita, sua compagna di vita, a sua madre, alla sua terra, patria perduta e
ritrovata perché “matria” (Calvino e altri) con braccia accoglienti d’amore e
di perdono.
I pianeti sono perle sul tuo collo,/ splendenti della tua
perfetta bellezza… Dalla nostalgia di te sono devastato./ Rimpianto vasto come
il mare/ Sono gabbiano dalle ali spezzate… Terra mia./ (…) Quanto sento acuto
il bisogno del tuo perdono./ Lascia la coppa ricolma dei miei peccati./ (…)
solo promettimi che nel mio profondo sonno/ tu sarai la mia eterna/ trapunta di
terra. (“Dusita”, p. 39; “Alla madre”, p. 145; “Quello che alla terra
non ho detto” III, p.133).
E alla sua terra Gjeke Marinaj dedica un breve poemetto di
accorata nostalgia, all’interno della raccolta. Un rimpianto d’anima che lo fa
sentire colpevole per averla abbandonata, pur essendo stato costretto a farlo
per evitare una morte certa. L’eccezionale delicatezza d’animo del poeta è
fatta di “cristalli pieni di lacrime”, di “ali spezzate”, di “coppa ricolma di
peccati” laddove tutto si veste, invece, d’innocenza e di “prematura… suadente
maturità”. Contenuti profondi di un uomo dalla “biografia spezzata” (Enzo
Biagi), che si porta dentro un vulnus di tutti i vuoti di ogni
abbandono: c’è sempre un vuoto da colmare, scelto o subìto.
Versi, tutti, che hanno metafore insolite, affascinanti,
ardite. A volte a raggiera, a volte a stella cometa; a volte, sono acqua
sorgiva e zampillante, altre torrente in piena. Figure retoriche suggestive,
dalle personificazioni alle anafore, dai chiasmi ai poliptoti…
E dai tanti versi senza versi esplode improvvisa e luminosa
la Poesia.
… In maniche di camicia è uscita la notte… I ferri della
calza della sera a maglia lavorano… dove le penne vengono a pensare… dal mare
dagli occhi rossi/ che i vivi e i morti annega… anche la sovranità della neve/
sull’erba verde!
E gli spazi sapientemente lasciati per tutte le parole del
silenzio, come sostiene Paul Èluard. Le parole mute dell’anima... gli infiniti
dentro e fuori di noi che nessuna siepe può cancellare, ma solo leopardianamente
dilatare perché il poeta “nel pensier si finge” mondi altri… E i voli, gli
abissi, le vittorie, le sconfitte, gli orizzonti slargati e le stelle
raggrumate per farsi nido di sogni… i sogni… i sogni che, come i bambini, “sono
perle nella collana del tempo”.
Il poeta e aforista francese Alain Bosquet scrive: “La
poesia è sangue diventato fiore”
Niente di più vero se leggiamo, commossi e trepidanti, le
poesie di Gjeke Marinaj, grondanti sangue che si trasforma immediatamente in
fiore, grazie al suo nobile e tenerissimo cuore… che sempre è in fuga e sempre
ritorna all’incanto primigenio…
…
Baia di Ha Long.
Epicentro di bellezza,
Tenerezza incantata,
Risurrezione clandestina
Della Torre di Babele.
Angela
De Leo
Sketches
in Imagination by Gjekë Marinaj
Gjekë Marinaj's book of poems Sketches in
Imagination enthralled my imagination at first sight for its
"uniqueness" and "truthfulness" – the latter multi-faceted
and almost self-contradictory –, for its irony verging on bitter sarcasm, for
its tenderness full of ancient nostalgia, its onirical, true dream-like
quality. These are some of the features that make this book an unique, original,
genuine work.
Susan Sontag, the multi-award winner american writer,
maintains that all the qualities that make a writer laudable or worth of
admiration can be pinpointed, indeed, in his/her "unique" voice...
and in the "multi-faceted truth" in his/her contradictory statements.
"Literature", writes Sontag, "his the home of
nuances and contradictions, opposing the sirens of simplification".
This is the main feature of Sketches in Imagination,
a work that contains the whole of Gjekë, with his dreams and perditions,
his "hungry love" for his beloved wife Dusita, his darkened,
tormented soul of exile and refugee, half gipsy and half hero, his outlook of
reality fully immersed into the hardest, harshest truths of the human condition
among violences, wars, forced displacements, griefs but also flourishing of the
more delicate, enchanted truths of beauty and hope, which he contemplates both
outside and inside himself.
Marinaj often lumps all the bitter truths in his
ever-present philosophical thought with his keen psycological intuition of the
flexions of the human mind, or dilutes them with the poetical irony that belong
to him as a second nature, like his own flesh and blood.
I would like to remind that the Italian psichoanalist
Massimo Recalcati describes a book like "a sea", an open, high sea,
who opens unlimited horizons and makes possible the long voyage of discovery
and knowledge; like "a body", flesh of our own flesh: if it captures
us it becomes our own body; like "a knife", because after the first
blow (a metaphorical cutting) we give to get through its pages, it is the book
which wounds us, taking hostage our soul and the innermost part of us because
we discover in it our Lacanian "lalange": our interior language, our
real self, the self which goes to the roots and digs into the deepest humus of
our soil.
Here are some verses as an example of the above:
... Once I measured your growth by the palms of my hands.
/ Now others measure it / by the lines you write. // You are a poet / and the
poets’ reach extends beyond the edges of space.("A Mother Speaks to
her Poet Son", p. 83);
... The maiden made the sea more sea-like./ The sea made
the poet more of a poet. / Who was the sea? - the maiden, the sea, or the
poet? ("Who Was the Sea", p. 115);
... All the cares of the world are etched / on the dark
globes of our eyes, and our hearts / are powerless to signal the message of
their decease. ("Hoping to Find Refuge in America", p. 61);
... I go to put roses in the cemetery of silences, / but
the flowers turn into dust and I / cannot find my way back… ("Things
I Had Not Told The Land", i, p. 129);
... You, the breath that blew the life's breeze /
through painful chimes of love. ("Albania", p.
47).
Erri De Luca, along with Nazim Hikmet, declares: "A
book must be a wind which opens the courtains wide". Indeed, it travels
far and wide, it stops to open the courtains wide in broad daylight watching,
contemplating, inquiring, discovering, and giving back, in its inevitable
return voyage, a knowledge of the world enriched by diverse worlds,
diverse marvels (the same categories developed by Gjekë with his
linguistic-humanitarian Protonistic theory which made him famous all over the
world). Adding the poet's visionary capability, to which our Author is firmly
hooked, dreaming of better places in which to dwell at last, calmed down in
peace with himself, with Nature, with all living beings, in a perpetual
yearning for a caring, attentive love. Melting and blending himself in the
Whole which dwells into us, and where we dwell.
Ha Long Bay must have been one of God's embryonic
creations / A model for the rest of the natural world to see and follow / A
warm magic shell for the Earth to incubate its core / Made of sea-like sky and
sky-like sea floating in our universe. // These tiny islands have distinct
souls and are souls themselves / They are poetic compositions and compose
poetry of their own. ("So It Seems, at Ha Long Bay", p. 15).
Ha Long is a place of the heart, the place for poetry where
the poet recovers, immersed in the natural beauty that so fascinates him, in an
unending embrace of dreams. This is the opening and closing
Place for the book, enclosing it in a ring-like structure which seems, in its
circularity, to enclose Infinity itself...
Along the whole book, indeed, one can feel this breath of
beuty and dreams, always ready to surprise us with their bright ambushes. Along
the whole book lingers a circular, osmotic exchange with the other fellow
creatures, an exchange of perennial values and ever new, different thoughts and
words, rooted into social justice and human solidarity. One feels both the
light breeze of love and the furious tempest of passion, the melancholic
sadness of the memories and the harsh loneliness of the exile, the grief for
every loss, for every trace lost on the desolate sand of heart's desert
which Gjekë recognizes many times in the contemporary world and
which wards off for himself and his "kindreds".
His poetry narrates of good and evil, of beauty and
ugliness, of hate and tenderness, of all the feelings that the existential
experience agitates inside the soul. That's the reason why Marinaj's verses are
so long: they reveal the many steps of who goes because he has to go, leaving
behind a furrow of memories, the pain of being ripped from his mother's arms,
from his home, from the familiar, loved streets, thrown in the void of every
absence. I am thinking of the magnificent bronze statues of migrants by the
Moroccan sculptor, but French citizen, Bruno Catalano.
There are, conversely, the poems which narrate also of the
enchanted, modest smiles of adolescent love, beside the softer, more pensive
ones of maturity, when love is a refuge, a protective solace for healing the
wounds, for assuring a quiet perennity of days to savor one by one so that
nothing goes lost anymore. Splendid are the poems dedicated to Dusita, his
wife, the ones dedicated to his mother, to his land, a fatherland lost and
found again because it's the "motherland" (according to Italo Calvino
and others) ready to embrace him with love and forgiveness.
The planets are like beads on your neck, / luminous with
your wholesome beauty. ... I’m devastated by the longing for you / A longing
broad as the sea / And I am a broken-winged gull... Land of mine, / (...) As
keenly as I need your forgiveness. / Leave the brimming cup of my sins / (...)
only promise me that in my deep sleep / you will be my permanent / earthen
quilt. ("Dusita", p. 39; "To Mother", p. 145;
"Things I Had Not Told The Land", iii, p. 133).
To his motherland, Marinaj dedicates a short poem full of
aching notalgia. A regret of his soul that makes him feel guilty of having
abandoned it, in spite of having been forced to do so in order to avoid certain
death. The poet's extraordinary sensitivity of character is made of
"crystals full of tears", "broken wings", "a coup
brimming with sins", where all is made, on the contrary, of innocent and
"premature... mellowing maturity". These are the innermost subjects
of a man with "a broken biography" (Enzo Biagi) who carries into
himself the vulnus of all the voids, of every abandonment:
there is always a void to be filled, either chosen or suffered.
All these verses contain unusual, fascinating, bold
metaphors. Sometimes like a sunburst, sumetimes like a comet's tail; sometimes
they are like springing, gushing water, sometimes like an overwflowing torrent.
Evocative rethorical figures, from personifications to anaphoras, from chiasms
to politpthotes...
From all those verses without verse, Poetry explodes, sudden
and bright.
The night stepped out in short sleeves ... / Evening’s
knitting needles stitch foggy fabrics... / Where the pens come to
think / in the red-eyed sea / that drowns the living and the dead... even the
sovereignty of snow / over the green grass!
Not to speak of the spaces skillfully left for all the words
of silence, as Paul Eluard claims. The silent words of the soul... the
infinities outside and inside us that no hedge can obliterate, only broaden
Leopardi-like because the poet "fakes himself in his thoughts" otjer
worlds... And the flights, the abysses, the defeats, the boundless horizons and
the stars lumped together to became a nest of dreams... dreams... dreams that,
like the children, "are the pearls in the necklace of time".
The French poet and aphorist Alain Bosquet writes:
"Poetry is blood become flower".
Nothing is more true if we read, as touched and trepidatious
readers, Gjek・' Marinaj's
poems, dripping blood immediately becoming flower, thanks to his noble,
sensitive heart... always on the run and always returning to his pristine lure:
...
Ha Long Bay.
Beauty’s epicenter,
Serenity’s affection,
Tower of Babel’s
Covert resurrection.
Giovanni Romano
Ringrazio dal profondo del cuore il prof. Giovanni Romano
per la pronta disponibilità nell’accettare senza esitazioni la mia richiesta di
tradurre il testo; per la solerzia davvero sorprendente nel consegnare il non
facile lavoro, svolto con competenza e passione, in appena due giorni; per la
puntuale e preziosa traduzione.
“Sia lode al merito”!
(Fine prima parte)
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