domenica 15 settembre 2019

Domenica, 15 settembre 2019: Il potere della Poesia


Ora che la gioia viva dell’incontro ci ha lasciato una impalpabile malinconia per i cinque giorni trascorsi troppo in fretta per sentirli veri, ora mi piace riportare alla memoria, ancora breve, le meraviglie vissute lunedì scorso nella nostra Libreria Secopstore in quel di Corato. Serata magica, dunque, all’insegna della Poesia e della Letteratura italiana e internazionale con la straordinaria presenza (per la prima volta in Italia) di Gjeke Marinaj, il GRANDE poeta di origini albanesi, ma americano di adozione ormai da tanti anni. Tutto il suo ricchissimo, sorprendente, affascinante curriculum vitae e professionale è stato abbondantemente citato su varie Pagine di fb, su testate giornalistiche in formato cartaceo e via web, un po’ dappertutto, in Italia e all’estero, per cui non mi sembra il caso di riportarlo ancora sulla mia pagina. In pratica, basta cliccare il suo nome su Google per sapere tanto di lui.
Penso che sia giusto, invece, ripercorrere per sommi capi l’esperienza prodigiosa vissuta insieme lunedì.
E parto da Raffaella Leone e dalla sua chiara, colta, dettagliata, effervescente Introduzione alla serata di presentazione di Gjeke Marinaj tra noi. Con intensa partecipazione emotiva e tanta dovizia di particolari letterari e storici, ha focalizzato quale possa essere il significato della poesia ai nostri giorni, in un vastissimo e complesso panorama culturale, letterario, umano, e in una società che sembra vivere sui social una fittizia realtà parallela a quella che ci vede protagonisti in casa, nella comunità locale e planetaria in cui realmente e realisticamente viviamo.
Le ipotesi e le tesi, le argomentazioni e le contraddizioni.
Poi, ecco Gjeke Marinaj, seduto in mezzo al numeroso pubblico con la semplicità che si conviene ad un uomo di particolare umiltà e ad un poeta GRANDE di per sé. Con il suo tenero, luminoso, avvolgente sorriso che fa di lui la perfetta incarnazione della sua teoria, il Protonismo, che propugna il “pensiero positivo”, non soltanto nell’ambito della critica letteraria, ma anche in ogni rapporto relazionale e in ogni settore dell’umana esperienza, con la prospettiva di valorizzare quanto di buono possa esserci nella scrittura di ciascun autore, ma anche nella personalità di ciascun essere umano, che è fatto, come ciascun essere umano, di luci e di ombre, di virtù e difetti, di ardimenti e di limiti. Mettendo in pratica cinque semplici regole che Gjeke suggerisce per diventare migliori noi stessi e rendere migliori i nostri simili e l’intero nostro pianeta, oggi così devastato da guerre, palesi e sotterranee, da violenze di ogni genere, dall’imbarbarimento del linguaggio verbale e dello stesso animo umano. La paura serpeggia per ogni possibile (anche se improbabile) nemico, tanto è l’odio sempre più diffuso nel mondo verso ogni diversità, e persino verso ogni altro da noi. Laddove Gjeke viene chiamato, invece, quale ambasciatore di pace e fratellanza tra tutti gli esseri viventi.  E il suo sorriso coinvolgente si sposta tra i vari Continenti per diffondere quella teoria che, nel frattempo, è diventata una disciplina linguistico-filosofico-umanistica, insegnata anche in alcune Università.
Non a caso, alle domande di Raffaella c’è stata da parte del nostro ospite un volo per parlare di quanto gli stava più a cuore: il potere della Poesia e il Protonismo. E lo ha fatto come se rompesse gli argini, essendosi trasformato in un fiume in piena, con tutta la   sua passione viscerale per la parola poetica, con la forza dirompente della sua anima ribelle e libera, e con tutto il suo amore, accogliente e vitale, per gli altri, per la natura, i luoghi amati, la vita stessa.
Fremiti di emozione e commozione condivisa: da alcuni parenti albanesi del poeta, venuti per salutarlo ancora una volta, dopo trent’anni di attesa dal loro ultimo incontro, e dai tanti nostri amici SECOP, poeti, scrittori, docenti, giornalisti, fotografi, musicisti, chiamati da Raffaella, con un gioco divertente di parole “pescate” a caso, ad essere protagonisti tutti, sia pure per una manciata di minuti, della serata. Perché Gjeke Marinaj si sentisse avvolto dal calore e dall’ammirazione dei presenti, sempre più numerosi, attenti, coinvolti.
Giuseppe Fiorello, nostro amico e autore, nonché docente, fotografo e pittore, ha fatto l’elenco di chi ha potuto rendere omaggio al nostro meraviglioso ospite. Ve lo propongo, leggermente modificato per evitare qualche soggettiva interpretazione delle sue schiette parole (ma il testo originale è visibile su fb) perché ne rimanga traccia anche su questa mia pagina:

Il poeta albanese naturalizzato americano Gjekë Marinaj in giro per la nostra Puglia, a Santo Spirito e Lecce con serate organizzate dalla poetessa Rosalba Fantastico di Kastron e il suo compagno Franco Leccese, e a Bitonto e Corato con la SECOP edizioni, per presentare il suo primo libro di poesie in italiano "Schizzi di immaginazione", pubblicato dalla SECOP, e la sua teoria sul Protonismo.
Durante l’ultimo incontro, lunedì 9 settembre, è stato accolto ed omaggiato, nella Libreria Secopstore di Corato, da molti altri autori della stessa Casa editrice.


Angela De Leo
Giovanni Romano
Gabriella Basile
Rosalba Fantastico di Kastron
Dina Ferorelli
Zaccaria Gallo
Valentino Losito
Federico Lotito con la sua compagna Luciana De Palma
Alberto Tarantini
Mario Sicolo
Marino Pagano
Luisa Varesano
Maria Sforza
Mauro Massari
Gianni Brattoli
Giuseppe Tricarico
Tony Rizzo
Giuseppe Fioriello
Benny Caterina
Angela Strippoli
Besa Mone (docente di origine albanese)


                                                  Giuseppe Fioriello

E, dopo la felice Prolusione di Raffaella, ecco la Relazione della sottoscritta:

Schizzi d’immaginazione (SECOP edizione) di Gjeke Marinaj

La raccolta poetica Schizzi d’immaginazione di Gjeke Marinai mi ha da subito affascinato per la “singolarità” e la “verità”, plurale e contraddittoria quest’ultima, l’ironia al limite dell’amaro sarcasmo, la tenerezza colma d’antica nostalgia, la visionarietà onirica e vera.  Sono queste alcune caratteristiche che ne fanno un’opera unica, originale, autentica.
E, del resto, Susan Sontag, scrittrice statunitense pluripremiata, sostiene che tutte le qualità che rendono pregevole o ammirevole uno scrittore possono essere individuate, appunto, nella “singolarità” della sua voce… e nella “verità molteplice” delle sue affermazioni contraddittorie.
“La letteratura - scrive Sontag - è la casa della sfumatura e della contraddizione, che si oppone alle voci della semplificazione”.
È quanto ampiamente connota Schizzi d’immaginazione, in cui c’è tutto Gjeke, con i suoi sogni e le sue perdizioni, il suo amore “affamato” per l’amatissima consorte Dusita e la sua anima buia e martoriata di esule e migrante, metà zingaro e metà eroe, con una visione della realtà tutta calata nelle sue verità più dure e aspre della condizione umana tra violenze, guerre, sradicamenti, lutti, ma anche fiorita di verità più lievi e incantate della bellezza e della speranza, che contempla fuori e dentro di sé. 
Marinaj aggruma spesso le prime con il suo pensiero filosofico, che mai lo abbandona e con la fine penetrazione psicologica nelle pieghe dell’animo umano, oppure le stempera con l’ironia e la poesia che gli appartengono come una seconda pelle, la sua stessa carne, il suo stesso sangue.
Vorrei, a questo proposito, ricordare che lo psicanalista Massimo Recalcati definisce il libro: “mare”, aperto e libero, che porta lontano e permette il lungo viaggio della scoperta e della conoscenza; “corpo”, carne della nostra stessa carne: se ci cattura diventa il nostro stesso corpo; “coltello”, perché dopo il primo colpo (fendente metaforico) per penetrare nelle sue pagine è lo stesso libro che ci ferisce, prendendosi l’anima e tutta la parte più nascosta di noi, perché in esso scopriamo la nostra lacaniana “lalange”: la nostra lingua interiore, il nostro “Io” più vero, quello che risale alle nostre radici e scende nell’humus più profondo della nostra terra.
Ecco qualche verso a testimonianza di tutto questo:
Un tempo col palmo delle mie mani la tua crescita misuravo,//ora altri dai versi che scrivi/ ti misurano.// Sei un poeta/ e oltre i limiti dello spazio giunge il braccio del poeta. (“Una madre parla al figlio poeta”, p. 83);  
 … La ragazza rese il mare più mare./ Il mare fece più poeta il poeta?/ Chi era il mare? - La ragazza, il mare o il poeta? (“Chi era il mare”, p. 115); 
… tutti gli affanni del mondo furono incisi/ sui globi oscuri dei nostri occhi, e i nostri cuori/ impotenti rimasero a segnalare il messaggio del decesso (“Sperando di trovare rifugio in America”, p. 61);
… Vado a portare rose nei cimiteri dei silenzi,/ ma i fiori si mutano in polvere ed io/ non riesco a trovare la via del ritorno… (“Quello che alla terra non ho detto” I, p.129).
… Tu, respiro che spirò la brezza vitale/ attraverso penosi rintocchi d’amore. (“Albania”, p. 47).
Erri De Luca, con Nazim Hikmet, afferma: “il libro dev’essere vento e aprire le tende”. In pratica, va lontano, si ferma e spalanca le tende alla luce del giorno per guardare, contemplare, indagare, scoprire, e restituire, nell’immancabile ritorno, la conoscenza del mondo arricchita di mondi altri, di altre meraviglie (le stesse categorie elaborate da Gjeke nella sua teoria protonica, linguistico-umanitaria, che lo ha reso famoso in tutto il mondo). Con in più la visionarietà, alla quale il nostro Autore si uncina, per sognare luoghi migliori, in cui abitare finalmente rasserenato e in pace con sé stesso, con la natura, con tutti gli esseri viventi, in una continua ansia d’amore, che è attenzione e cura. Un fondersi e confondersi con il Tutto che ci abita e che abitiamo.
Una delle creazioni embrionali di Dio, la baia di Ha Long:// Modello da contemplare e seguire per la natura tutta.// Tiepido magico guscio in cui la terra si fa nido/ di cielo simile al mare e di mare simile al cielo, fluttuante nel nostro universo.// Sono anime esse stesse e hanno anima queste minuscole isole./ Poesie nella poesia.(“Nella baia di Ha Long così appare il mondo, p.15).
E Ha Long è il luogo del cuore, il luogo della poesia e del ritrovarsi del poeta immerso nella bellezza della natura che tanto lo affascina in un abbraccio di sogni senza fine. Il LUOGO che apre e chiude la raccolta in una struttura ad anello che sembra, nella continuità del cerchio, racchiudere l’infinito…
In tutta la raccolta, del resto, si avverte questo respiro della bellezza e del sogno sempre in luminoso agguato. In tutta la raccolta, aleggia un continuo scambio osmotico circolare con i propri simili, fatto di valori perenni e di pensieri e parole sempre nuovi e diversi, che si riconducono alla giustizia sociale e alla solidarietà umana. Si avverte il soffio leggero dell’amore e l’uragano furioso della passione, la malinconica tristezza dei ricordi e la feroce solitudine dell’esule, il dolore per ogni perdita, per ogni orma persa sulla sabbia desolata del deserto del cuore che più volte Gjeke ravvisa nel mondo contemporaneo e che, per sé e i suoi “affini”, scongiura.
È una poesia che racconta il bene e il male, il bello e il brutto, l’odio e la tenerezza, tutti i sentimenti che l’esperienza esistenziale sommuove nell’animo umano. Per questo i versi di Marinaj sono lunghissimi: rivelano i passi numerosi di colui che va perché deve andare e lascia dietro di sé una scia di ricordi, il dolore dello strappo dalle braccia materne, dalla casa, dalle strade conosciute e amate, il vuoto di ogni assenza. E penso alle stupende statue bronzee dedicate ai migranti dallo scultore marocchino, ma francese di adozione, Bruno Catalano.
E ci sono, al contrario, versi che narrano anche i sorrisi incantati e pudichi dell’amore ragazzino e quelli più morbidi e pensosi dell’età matura, quando l’amore è un rifugio, una consolazione protettiva a rimarginare ferite, ad assicurare continuità e serenità di giorni da centellinare piano perché nulla più vada perduto. Stupendi quelli dedicati a Dusita, sua compagna di vita, a sua madre, alla sua terra, patria perduta e ritrovata perché “matria” (Calvino e altri) con braccia accoglienti d’amore e di perdono.
I pianeti sono perle sul tuo collo,/ splendenti della tua perfetta bellezza… Dalla nostalgia di te sono devastato./ Rimpianto vasto come il mare/ Sono gabbiano dalle ali spezzate… Terra mia./ (…) Quanto sento acuto il bisogno del tuo perdono./ Lascia la coppa ricolma dei miei peccati./ (…) solo promettimi che nel mio profondo sonno/ tu sarai la mia eterna/ trapunta di terra. (“Dusita”, p. 39; “Alla madre”, p. 145; “Quello che alla terra non ho detto” III, p.133).
E alla sua terra Gjeke Marinaj dedica un breve poemetto di accorata nostalgia, all’interno della raccolta. Un rimpianto d’anima che lo fa sentire colpevole per averla abbandonata, pur essendo stato costretto a farlo per evitare una morte certa. L’eccezionale delicatezza d’animo del poeta è fatta di “cristalli pieni di lacrime”, di “ali spezzate”, di “coppa ricolma di peccati” laddove tutto si veste, invece, d’innocenza e di “prematura… suadente maturità”. Contenuti profondi di un uomo dalla “biografia spezzata” (Enzo Biagi), che si porta dentro un vulnus di tutti i vuoti di ogni abbandono: c’è sempre un vuoto da colmare, scelto o subìto.
Versi, tutti, che hanno metafore insolite, affascinanti, ardite. A volte a raggiera, a volte a stella cometa; a volte, sono acqua sorgiva e zampillante, altre torrente in piena. Figure retoriche suggestive, dalle personificazioni alle anafore, dai chiasmi ai poliptoti…
E dai tanti versi senza versi esplode improvvisa e luminosa la Poesia.
… In maniche di camicia è uscita la notte… I ferri della calza della sera a maglia lavorano… dove le penne vengono a pensare… dal mare dagli occhi rossi/ che i vivi e i morti annega… anche la sovranità della neve/ sull’erba verde!
E gli spazi sapientemente lasciati per tutte le parole del silenzio, come sostiene Paul Èluard. Le parole mute dell’anima... gli infiniti dentro e fuori di noi che nessuna siepe può cancellare, ma solo leopardianamente dilatare perché il poeta “nel pensier si finge” mondi altri… E i voli, gli abissi, le vittorie, le sconfitte, gli orizzonti slargati e le stelle raggrumate per farsi nido di sogni… i sogni… i sogni che, come i bambini, “sono perle nella collana del tempo”.
Il poeta e aforista francese Alain Bosquet scrive: “La poesia è sangue diventato fiore”
Niente di più vero se leggiamo, commossi e trepidanti, le poesie di Gjeke Marinaj, grondanti sangue che si trasforma immediatamente in fiore, grazie al suo nobile e tenerissimo cuore… che sempre è in fuga e sempre ritorna all’incanto primigenio…
Baia di Ha Long.

Epicentro di bellezza,
Tenerezza incantata,
Risurrezione clandestina
Della Torre di Babele.

                                                        Angela De Leo

                            Sketches in Imagination by Gjekë Marinaj

Gjekë Marinaj's book of poems Sketches in Imagination enthralled my imagination at first sight for its "uniqueness" and "truthfulness" – the latter multi-faceted and almost self-contradictory –, for its irony verging on bitter sarcasm, for its tenderness full of ancient nostalgia, its onirical, true dream-like quality. These are some of the features that make this book an unique, original, genuine work.
Susan Sontag, the multi-award winner american writer, maintains that all the qualities that make a writer laudable or worth of admiration can be pinpointed, indeed, in his/her "unique" voice... and in the "multi-faceted truth" in his/her contradictory statements.
"Literature", writes Sontag, "his the home of nuances and contradictions, opposing the sirens of simplification".
This is the main feature of Sketches in Imagination, a work that contains the whole of  Gjekë, with his dreams and perditions, his "hungry love" for his beloved wife Dusita, his darkened, tormented soul of exile and refugee, half gipsy and half hero, his outlook of reality fully immersed into the hardest, harshest truths of the human condition among violences, wars, forced displacements, griefs but also flourishing of the more delicate, enchanted truths of beauty and hope, which he contemplates both outside and inside himself.
Marinaj often lumps all the bitter truths in his ever-present philosophical thought with his keen psycological intuition of the flexions of the human mind, or dilutes them with the poetical irony that belong to him as a second nature, like his own flesh and blood.
I would like to remind that the Italian psichoanalist Massimo Recalcati describes a book like "a sea", an open, high sea, who opens unlimited horizons and makes possible the long voyage of discovery and knowledge; like "a body", flesh of our own flesh: if it captures us it becomes our own body; like "a knife", because after the first blow (a metaphorical cutting) we give to get through its pages, it is the book which wounds us, taking hostage our soul and the innermost part of us because we discover in it our Lacanian "lalange": our interior language, our real self, the self which goes to the roots and digs into the deepest humus of our soil.
Here are some verses as an example of the above:
... Once I measured your growth by the palms of my hands. / Now others measure it / by the lines you write. // You are a poet / and the poets’ reach extends beyond the edges of space.("A Mother Speaks to her Poet Son", p. 83);
... The maiden made the sea more sea-like./ The sea made the poet more of a poet. / Who was the sea? - the maiden, the sea, or the poet? ("Who Was the Sea", p. 115);
... All the cares of the world are etched / on the dark globes of our eyes, and our hearts / are powerless to signal the message of their decease. ("Hoping to Find Refuge in America", p. 61);
... I go to put roses in the cemetery of silences, / but the flowers turn into dust and I / cannot find my way back… ("Things I Had Not Told The Land", i, p. 129);
... You, the breath that blew the life's breeze / through  painful chimes of love. ("Albania", p. 47).
Erri De Luca, along with Nazim Hikmet, declares: "A book must be a wind which opens the courtains wide". Indeed, it travels far and wide, it stops to open the courtains wide in broad daylight watching, contemplating, inquiring, discovering, and giving back, in its inevitable return voyage,  a knowledge of the world enriched by diverse worlds, diverse marvels (the same categories developed by  Gjekë with his linguistic-humanitarian Protonistic theory which made him famous all over the world). Adding the poet's visionary capability, to which our Author is firmly hooked, dreaming of better places in which to dwell at last, calmed down in peace with himself, with Nature, with all living beings, in a perpetual yearning for a caring, attentive love. Melting and blending himself in the Whole which dwells into us, and where we dwell.
Ha Long Bay must have been one of God's embryonic creations / A model for the rest of the natural world to see and follow / A warm magic shell for the Earth to incubate its core / Made of sea-like sky and sky-like sea floating in our universe. // These tiny islands have distinct souls and are souls themselves / They are poetic compositions and compose poetry of their own. ("So It Seems, at Ha Long Bay", p. 15).
Ha Long is a place of the heart, the place for poetry where the poet recovers, immersed in the natural beauty that so fascinates him, in an unending embrace of dreams. This is the opening and closing Place for the book, enclosing it in a ring-like structure which seems, in its circularity, to enclose Infinity itself...
Along the whole book, indeed, one can feel this breath of beuty and dreams, always ready to surprise us with their bright ambushes. Along the whole book lingers a circular, osmotic exchange with the other fellow creatures, an exchange of perennial values and ever new, different thoughts and words, rooted into social justice and human solidarity. One feels both the light breeze of love and the furious tempest of passion, the melancholic sadness of the memories and the harsh loneliness of the exile, the grief for every loss, for every trace lost on the desolate sand of heart's desert which  Gjekë recognizes many times in the contemporary world and which wards off for himself and his "kindreds".
His poetry narrates of good and evil, of beauty and ugliness, of hate and tenderness, of all the feelings that the existential experience agitates inside the soul. That's the reason why Marinaj's verses are so long: they reveal the many steps of who goes because he has to go, leaving behind a furrow of memories, the pain of being ripped from his mother's arms, from his home, from the familiar, loved streets, thrown in the void of every absence. I am thinking of the magnificent bronze statues of migrants by the Moroccan sculptor, but French citizen, Bruno Catalano.
There are, conversely, the poems which narrate also of the enchanted, modest smiles of adolescent love, beside the softer, more pensive ones of maturity, when love is a refuge, a protective solace for healing the wounds, for assuring a quiet perennity of days to savor one by one so that nothing goes lost anymore. Splendid are the poems dedicated to Dusita, his wife, the ones dedicated to his mother, to his land, a fatherland lost and found again because it's the "motherland" (according to Italo Calvino and others) ready to embrace him with love and forgiveness.
The planets are like beads on your neck, / luminous with your wholesome beauty. ... I’m devastated by the longing for you / A longing broad as the sea / And I am a broken-winged gull... Land of mine, / (...) As keenly as I need your forgiveness. / Leave the brimming cup of my sins / (...) only promise me that in my deep sleep / you will be my permanent / earthen quilt. ("Dusita", p. 39; "To Mother", p. 145; "Things I Had Not Told The Land", iii, p. 133).
To his motherland, Marinaj dedicates a short poem full of aching notalgia. A regret of his soul that makes him feel guilty of having abandoned it, in spite of having been forced to do so in order to avoid certain death. The poet's extraordinary sensitivity of character is made of "crystals full of tears", "broken wings", "a coup brimming with sins", where all is made, on the contrary, of innocent and "premature... mellowing maturity". These are the innermost subjects of a man with "a broken biography" (Enzo Biagi) who carries into himself the vulnus of all the voids, of every abandonment: there is always a void to be filled, either chosen or suffered.
All these verses contain unusual, fascinating, bold metaphors. Sometimes like a sunburst, sumetimes like a comet's tail; sometimes they are like springing, gushing water, sometimes like an overwflowing torrent. Evocative rethorical figures, from personifications to anaphoras, from chiasms to politpthotes...
From all those verses without verse, Poetry explodes, sudden and bright.
The night stepped out in short sleeves ... / Evening’s knitting needles stitch foggy fabrics... /  Where the pens come to think / in the red-eyed sea / that drowns the living and the dead... even the sovereignty of snow / over the green grass!
Not to speak of the spaces skillfully left for all the words of silence, as Paul Eluard claims. The silent words of the soul... the infinities outside and inside us that no hedge can obliterate, only broaden Leopardi-like because the poet "fakes himself in his thoughts" otjer worlds... And the flights, the abysses, the defeats, the boundless horizons and the stars lumped together to became a nest of dreams... dreams... dreams that, like the children, "are the pearls in the necklace of time".
The French poet and aphorist Alain Bosquet writes: "Poetry is blood become flower".
Nothing is more true if we read, as touched and trepidatious readers,  Gjek' Marinaj's poems, dripping blood immediately becoming flower, thanks to his noble, sensitive heart... always on the run and always returning to his pristine lure:
...

Ha Long Bay.

Beauty’s epicenter,
Serenity’s affection,
Tower of Babel’s
Covert resurrection.
                             Giovanni Romano
Ringrazio dal profondo del cuore il prof. Giovanni Romano per la pronta disponibilità nell’accettare senza esitazioni la mia richiesta di tradurre il testo; per la solerzia davvero sorprendente nel consegnare il non facile lavoro, svolto con competenza e passione, in appena due giorni; per la puntuale e preziosa traduzione. 
“Sia lode al merito”!
                        (Fine prima parte)


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