giovedì 3 gennaio 2019

3 gennaio 2019: il tempo passa o passiamo noi nel tempo?


Tempus fugit
Tempo virgiliano tempo oraziano. Il mio il tuo tempo, che dell’eternità ci regala l’attimo, eterno presente in cui siamo ciò che mai siamo stati e mai più saremo.
In ogni attimo l’Io nella sua pienezza di ESSERE in quell’istante.
Pure, il tempo ha passi di viandante a percorrere strade e vie e sentieri tra case addormentate e un risveglio d’alba che sa l’aurora e preannuncia il giorno.
Lascia orme sui percorsi innevati dei monti e passi incauti tra campi di ulivi alla collina. E tralci di viti ubriachi di sole.
Ha un incedere attento tra l’erba dei prati e lucertole e sassi di ogni possibile inciampo.
S’annida nella casa, tra serti di braccia di chi si ama, e spine dolenti di chi si odia e nasconde coltelli in sotterranei anfratti del cuore. E si sgomenta.
Il tempo, accogliente o diffidente, incontra gente amica o sconosciuta, si gira indietro al richiamo nostalgico del pianto dell’amato perduto e del sogno irrealizzato.
Segue un destino di mete e di realtà sognate e spesso vanificate dall’inganno di un miraggio nel deserto dell’anima in disuso e prigioniera di rancori mai spenti, che ravvisano un nemico nello straniero della porta accanto. E lo straniero guarda cupo il traguardo azzerato, la casa abbandonata, la terra, la culla… e il miraggio della terra straniera, luogo d’incanto per bellezza e forza e promessa di lavoro e libertà.
Vola il tempo sulla disperazione e il rimpianto, sul pianto che fora l’azzurro per raggiungere il Cielo e ritrovare una voce che non ha più voce…
Vola tra aerei e aquiloni e stelle e pianeti. Gira intorno al sole e s’incanta di luna. Sfiora universi e galassie e ride di misteri gravitazionali e quantici.
Precipita in buchi neri.
S’impiglia tra le antenne sui tetti delle case e s’aggrappa alle code degli uccelli in migrazione.
Pigola tra passeri e pulcini e chiude gli occhi al canto del gallo e al terzo tradimento. Svetta sul volo dispiegato di falchi e poiane, e canta tra le ali della paradisea e dell’airone.
Plana lento sul grido strozzato dei gabbiani, e si tuffa negli oceani da cui ebbero origine i mari.
Naviga tra lo scintillio di acque calme a specchiare zaffiri e smeraldi e diamanti di cielo e s’infuria tra i marosi in tempesta e gli scogli appuntiti di ogni dolore.
E conosce il segreto delle maree.
S’inerpica sui pensieri che dondolano d’altalene tra gli alberi spogli e quelli in fiore. Rischia gli abissi tra fondali insondati di coralli e velieri e tesori nascosti in galeoni affondati, depredati e distrutti dalla mano rapace dell’uomo che non teme coscienza e sacralità dell’eterno andare per conoscere e sapere.
Prega tra le mani del Cristo degli abissi e s’inabissa tra tormenti e trasalimenti, tra schianti dell’anima alla deriva di ogni perché.
Risorge sulla schiena inarcata dei delfini e medita tra guglie di cattedrali gotiche e s’insuperbisce di castelli federiciani e archi di trionfo.
Versa lacrime lungo i muri del pianto e rinasce negli occhi immensi dei bambini alla prima fiaba, al primo gioco con le manine, al primo sguardo della mamma, al primo germoglio in fiore che annuncia il risveglio nel pudore rosato di mandorli e ciliegi baciati dalla primavera (Neruda). E s’innamora di un canto d’amore.
Si colma di sole nei secchielli di sabbia tra mani bambine e nenie di barche addormentate nei porti, che sentono la tristezza della solitudine del faro e lo schianto dei gommoni alla deriva di una estate che ignora storie di fughe e di fame di guerre e di abbandoni sulla pelle abbronzata dei turisti multimiliardari.
Piange con le piogge di settembre e s’infilza sulle cime acuminate dei cipressi che vegliano urne di morti abbandonate o protette da crisantemi e cespugli di rose. Sorride alla stella cometa che sfida il gelo e indica agli “uomini di buona volontà” la meta e la divina culla. La rinascita alla Speranza.
Dove c’è un bambino c’è una fogliolina verde che fremita di futuro…
Il futuro, un eterno ritorno!
Passano gli anni e le stagioni. E dei mortali gli amori e le generazioni.
Immortale resta il tempo e si eterna nella Volontà di una Energia d’Amore che lega i sottilissimi fili dell’ordito e della trama di ciascuna Creatura in forte attrazione, e connette ogni particella del Creato al suo Creatore. Che sa l’aurora e il tramonto, lo spuntare del filo d’erba e il maturare del frutto, lo scorrere dei fiumi e il disgelo delle nevi. Il tempo giusto di ogni accadimento.
E vigila sul buio della notte accendendo sogni come stelle sul misterioso canto della Vita…
Sereno Nuovo Anno a tutti gli abitanti della Terra. Di questa grande comunità di uomini nonché “bella d’erbe famiglia e d’animali” (Foscolo).
E, senza retorica, nella speranza di un risveglio della nostra Umanità più vera!
A conferma di questi pensieri mi piace riportare dei versi che ho scritto a Roma nel Cimitero acattolico

30 dicembre 2018

...tra un verde d'alberi
e suono lontano di campana triste
la collina s'inerpica fino al cielo
di nuvole e stridii di corvi
Silenzio di contraddittorie urne
con angeli e croci
tra nomi stranieri che cantarono
la Poesia di terre lontane
alla sconfitta di sogni e parole
 acerbe e sconosciute
Pure un'urna di dreamers
s'insinua tra l'erba e il canto
                del cuore
alla speranza del caldo risveglio
           nella Luce di Dio
(bistrattato sconosciuto ignorato)
che sogna il loro sogno e prega
tra le rime di Keats e il rimpianto
di Schiller per la Grecia antica 
e i suoi cantori
E i dreamers continuano a dormire
      vegliati da quel Sogno
   nella speranza di rinascere 
  alla Bellezza incontaminata
              alla Luce...

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