Gennaio.
Mese di nascite e di morti, per me. Mio nonno, mio padre, mio marito, nati il
1° gennaio. Mio cognato Tonio il 16, mio nipote Mario il 20 (oggi compie
cinquant’anni). La mia amica Mariella Bettarini il 31 compie i miei stessi anni
anticipandoli di sei mesi.
Ma,
poi, mio nonno, sempre lui, è morto l’11 e mia nonna il 22, e la mia consuocera
il 19, ieri appunto, suggerendomi un’amara riflessione e pochi versi che vado a
riportare: “Ancora un anno. E ogni giorno è un foglio di fogli strappati al
calendario su foglie che cadono e ci lasciano un nuovo dolore e rami sempre più
spogli e ricordi sempre più vivi e intensi. E oggi il mio pensiero va ad Anna,
la mia consuocera, e al suo spento sorriso, sempre acceso nel cuore di chi l’ha
amata e l’ama ancora… questi brevi versi sono dedicati a lei e a tutti quelli
che mi vivono dentro:
Altre
croci e altri chiodi
pianta
il tempo
sui
giorni che corrono a perdifiato
e
lasciano scie di lunghi
inverni
dove ogni perdita
è
stata per sempre
(scrigno
prezioso e mai colmo
almeno
il cuore)”
Dunque,
la nascita, che è l’accendersi alla vita, e la morte, che è il suo spegnersi.
Ma stamattina, appena sveglia, ho guardato il cielo, come mi capita ogni
mattina, perché è al cielo che rivolgo il mio primo “buongiorno”, che è forse
una preghiera di ringraziamento per la nuova alba che nasce e si fa luce e si
fa vita attraverso il cielo, che si va rischiarando sempre più. Nonostante le
nuvole, la pioggia. Il cielo. Immenso. Intimo. Spietato, pietoso. Dilatato
all’infinito. Piccolo quanto un quadrato azzurro (il mio lucernario, che mi dà
un cielo di vetro). Non ha strade il cielo. Né spine né rose. Ha solo stelle,
il cielo, e un mistero senza fine. Ma le stelle, come i sogni, muoiono ad ogni
alba. Lasciano un’allegria di sole. La luce. Ma il giorno insegue presto il suo
tramonto e una nuova notte sopravviene, invasa da una malinconia di luna, dal
brulicare di riapparse stelle. Tentiamo di contarle, le stelle. Ci illudiamo di
poterle afferrare con gli occhi e farle nostre perché ci facciano compagnia nel
buio della notte, mentre da qualche parte nell’universo sono già spente. È come
imprigionare tra le dita i desideri e vederli scivolare via, già colmi di
illusione delusa. È un’ombra di cielo, il cielo senza stelle. Un’ombra di
cielo, il cielo senza sogni. E i desideri, che dalle stelle prendono l’antico
nome (de-sidera= intorno alle stelle, ma può essere anche un de deprivativo=
privo di stelle), si tingono di vita già spenta.
Massimo
Recalcati, ricordando il De bello Gallico
di Cesare, riporta l’affermazione appunto del grande condottiero, che “dice che
‘desiderio’ viene da desiderantes.
Chi sono i desiderantes? Sono i
soldati sopravvissuti al campo di battaglia: sotto un cielo stellato attendono
i propri compagni ancora impegnati nella battaglia, a rischio di morte” (M. R.,
La forza del desiderio, Edizioni Qiqajon, Magnano - Br 2014).
Mi
colpisce il senso dell’attesa, sotto
le stelle che sembrano vive e sono già morte, perché i compagni di battaglia
facciano ritorno e si possa, insieme,
continuare a vivere, a desiderare, a sperare. A cogliere la residua luce
persino in quell’ombra di grigio (come oggi) che è il cielo senza sogni e senza
stelle, colmando di tanti luoghi il suo non luogo di desiderio spezzato, deluso
da quanti non sono tornati e non torneranno. E l’attesa si fa vana se non ci si
riscopre, insieme, in quest’ombra di cielo sagomato, definito e finito nello
spazio limitato di questa camera, della mia casa, e afferriamo con gli occhi un
frammento di luce. Ma basta dare un’occhiata fuori, oltre i vetri e il giardino
e un orizzonte lontano che la pioggia divide in righe verticali, come vite
parallele ma compresenti, a ridare un segno e un senso alla vita che altri
vogliono fitta di regole e confini, e che per me si dilata e sconfina ad
abbracciare il Tutto.
Pura
follia il cielo diviso in strisce di cielo, prigioniero e reo confesso di
misfatti di barconi alla deriva, in un mare che dovrebbe ridare la vita e
promette la morte, contro i nostri occhi assetati di cielo, come i loro occhi
spenti per sempre al cielo. Mentre un’ombra più cupa di colpevole dolore che
non ci rende innocenti si rischiara di luce. Perché, dopo ogni buio possibile,
dopo ogni lunga notte, il Cielo ci regala sempre un raggio di sole “sulle
sciagure umane”.
Ed
è un cielo che si sfoglia quotidianamente come un fiore in un ricamo di
intenzioni, progetti, emozioni, incanti e disincanti in quel ricamo di
giorni/ calendario che si sfoglia e
racconta la vita.
Un
ricamo d’ombre e di sole… la vita.
Apparentemente
semplice, la vita, come respirare sotto questo quadrato di cielo, che
imprigiona il tempo, e ignorare il mondo.
Molto
complicata la vita, quando quotidianamente si scontra con la morte e noi ci
scopriamo in attesa di essere in tanti per contrastarla, facendoci un sol
corpo, un solo desiderio, una sola volontà di resistere per riscoprirci
innocenti quasi fosse il nostro primo giorno di vita. Ma leggi e confini e
divisioni e confusioni tra mente e cuore (la mente che ordina e il cuore che
scalpita) frantumano il nostro cielo e ne fanno scaglie impazzite di desideri
alla deriva o colati a picco in fondali di sogni, rimasti impigliati in antichi
galeoni che seppero l’avventura e il viaggio, l’assalto e la perdizione e un
silenzio di pesci a farci coraggio per recuperare tesori di umanità sepolti in
fondo al mare. In un imbroglio di cielo/mare sempre più difficile da capire, da
districare.
Disperazione
contro ogni speranza.
Ma
è proprio allora che gli occhi si rivolgono al punto più alto del cielo per
ritrovare la luce, nascosta da nuvole e pioggia e tempeste e naufragi. Anche se
il cielo è sempre oltre. Inafferrabile e lontano. Come l’amore. La solidarietà.
Il sogno di una umanità migliore.
Forse
solo la parola, che si fa strada oltre il buio del cuore, per chi come me ne fa
arma e carezza, quando il cuore è ottuso ad ogni richiamo, è in grado di
afferrare il cielo, e di sfogliare i suoi petali di luce per farne lievito di
stelle e credere che persino la notte ci possa offrire una lucerna o miriadi di
lucciole per ritrovare la strada del ritorno… il nostro vero cuore “mai colmo”
di tenerezza e di accogliente amore.
Sì,
tra la vita e la morte, il cielo immenso. Racchiuso nel nostro immenso cuore di
piccoli uomini, infinitamente più piccoli del pulviscolo atmosferico che
respiriamo…
Dobbiamo
soltanto riscoprirlo, il cuore, per accorgerci che poi il cielo non è così
lontano…
(il testo comprende anche qualche stralcio,
ricontestualizzato, di una mia pagina scritta in Un non luogo tanti luoghi DENTRO L’UOMO, SECOP Edizioni, Corato -
Bari 2008).
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