domenica 20 gennaio 2019

20 gennaio: tra la vita e la morte, il cielo


Gennaio. Mese di nascite e di morti, per me. Mio nonno, mio padre, mio marito, nati il 1° gennaio. Mio cognato Tonio il 16, mio nipote Mario il 20 (oggi compie cinquant’anni). La mia amica Mariella Bettarini il 31 compie i miei stessi anni anticipandoli di sei mesi.
Ma, poi, mio nonno, sempre lui, è morto l’11 e mia nonna il 22, e la mia consuocera il 19, ieri appunto, suggerendomi un’amara riflessione e pochi versi che vado a riportare: “Ancora un anno. E ogni giorno è un foglio di fogli strappati al calendario su foglie che cadono e ci lasciano un nuovo dolore e rami sempre più spogli e ricordi sempre più vivi e intensi. E oggi il mio pensiero va ad Anna, la mia consuocera, e al suo spento sorriso, sempre acceso nel cuore di chi l’ha amata e l’ama ancora… questi brevi versi sono dedicati a lei e a tutti quelli che mi vivono dentro:
Altre croci e altri chiodi
pianta il tempo
sui giorni che corrono a perdifiato
e lasciano scie di lunghi
inverni dove ogni perdita
è stata per sempre
(scrigno prezioso e mai colmo
almeno il cuore)”
Dunque, la nascita, che è l’accendersi alla vita, e la morte, che è il suo spegnersi. Ma stamattina, appena sveglia, ho guardato il cielo, come mi capita ogni mattina, perché è al cielo che rivolgo il mio primo “buongiorno”, che è forse una preghiera di ringraziamento per la nuova alba che nasce e si fa luce e si fa vita attraverso il cielo, che si va rischiarando sempre più. Nonostante le nuvole, la pioggia. Il cielo. Immenso. Intimo. Spietato, pietoso. Dilatato all’infinito. Piccolo quanto un quadrato azzurro (il mio lucernario, che mi dà un cielo di vetro). Non ha strade il cielo. Né spine né rose. Ha solo stelle, il cielo, e un mistero senza fine. Ma le stelle, come i sogni, muoiono ad ogni alba. Lasciano un’allegria di sole. La luce. Ma il giorno insegue presto il suo tramonto e una nuova notte sopravviene, invasa da una malinconia di luna, dal brulicare di riapparse stelle. Tentiamo di contarle, le stelle. Ci illudiamo di poterle afferrare con gli occhi e farle nostre perché ci facciano compagnia nel buio della notte, mentre da qualche parte nell’universo sono già spente. È come imprigionare tra le dita i desideri e vederli scivolare via, già colmi di illusione delusa. È un’ombra di cielo, il cielo senza stelle. Un’ombra di cielo, il cielo senza sogni. E i desideri, che dalle stelle prendono l’antico nome (de-sidera= intorno alle stelle, ma può essere anche un de deprivativo= privo di stelle), si tingono di vita già spenta.
Massimo Recalcati, ricordando il De bello Gallico di Cesare, riporta l’affermazione appunto del grande condottiero, che “dice che ‘desiderio’ viene da desiderantes. Chi sono i desiderantes? Sono i soldati sopravvissuti al campo di battaglia: sotto un cielo stellato attendono i propri compagni ancora impegnati nella battaglia, a rischio di morte” (M. R., La forza del desiderio, Edizioni Qiqajon, Magnano - Br 2014).
Mi colpisce il senso dell’attesa, sotto le stelle che sembrano vive e sono già morte, perché i compagni di battaglia facciano ritorno e si possa, insieme, continuare a vivere, a desiderare, a sperare. A cogliere la residua luce persino in quell’ombra di grigio (come oggi) che è il cielo senza sogni e senza stelle, colmando di tanti luoghi il suo non luogo di desiderio spezzato, deluso da quanti non sono tornati e non torneranno. E l’attesa si fa vana se non ci si riscopre, insieme, in quest’ombra di cielo sagomato, definito e finito nello spazio limitato di questa camera, della mia casa, e afferriamo con gli occhi un frammento di luce. Ma basta dare un’occhiata fuori, oltre i vetri e il giardino e un orizzonte lontano che la pioggia divide in righe verticali, come vite parallele ma compresenti, a ridare un segno e un senso alla vita che altri vogliono fitta di regole e confini, e che per me si dilata e sconfina ad abbracciare il Tutto.
Pura follia il cielo diviso in strisce di cielo, prigioniero e reo confesso di misfatti di barconi alla deriva, in un mare che dovrebbe ridare la vita e promette la morte, contro i nostri occhi assetati di cielo, come i loro occhi spenti per sempre al cielo. Mentre un’ombra più cupa di colpevole dolore che non ci rende innocenti si rischiara di luce. Perché, dopo ogni buio possibile, dopo ogni lunga notte, il Cielo ci regala sempre un raggio di sole “sulle sciagure umane”.
Ed è un cielo che si sfoglia quotidianamente come un fiore in un ricamo di intenzioni, progetti, emozioni, incanti e disincanti in quel ricamo di giorni/   calendario che si sfoglia e racconta la vita.
Un ricamo d’ombre e di sole… la vita.
Apparentemente semplice, la vita, come respirare sotto questo quadrato di cielo, che imprigiona il tempo, e ignorare il mondo.
Molto complicata la vita, quando quotidianamente si scontra con la morte e noi ci scopriamo in attesa di essere in tanti per contrastarla, facendoci un sol corpo, un solo desiderio, una sola volontà di resistere per riscoprirci innocenti quasi fosse il nostro primo giorno di vita. Ma leggi e confini e divisioni e confusioni tra mente e cuore (la mente che ordina e il cuore che scalpita) frantumano il nostro cielo e ne fanno scaglie impazzite di desideri alla deriva o colati a picco in fondali di sogni, rimasti impigliati in antichi galeoni che seppero l’avventura e il viaggio, l’assalto e la perdizione e un silenzio di pesci a farci coraggio per recuperare tesori di umanità sepolti in fondo al mare. In un imbroglio di cielo/mare sempre più difficile da capire, da districare.
Disperazione contro ogni speranza.
Ma è proprio allora che gli occhi si rivolgono al punto più alto del cielo per ritrovare la luce, nascosta da nuvole e pioggia e tempeste e naufragi. Anche se il cielo è sempre oltre. Inafferrabile e lontano. Come l’amore. La solidarietà. Il sogno di una umanità migliore.
Forse solo la parola, che si fa strada oltre il buio del cuore, per chi come me ne fa arma e carezza, quando il cuore è ottuso ad ogni richiamo, è in grado di afferrare il cielo, e di sfogliare i suoi petali di luce per farne lievito di stelle e credere che persino la notte ci possa offrire una lucerna o miriadi di lucciole per ritrovare la strada del ritorno… il nostro vero cuore “mai colmo” di tenerezza e di accogliente amore. 
Sì, tra la vita e la morte, il cielo immenso. Racchiuso nel nostro immenso cuore di piccoli uomini, infinitamente più piccoli del pulviscolo atmosferico che respiriamo…
Dobbiamo soltanto riscoprirlo, il cuore, per accorgerci che poi il cielo non è così lontano…  
(il testo comprende anche qualche stralcio, ricontestualizzato, di una mia pagina scritta in Un non luogo tanti luoghi DENTRO L’UOMO, SECOP Edizioni, Corato - Bari 2008).




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