Ieri ho
ricevuto molti messaggi augurali per la… Befana. Con molta autoironia mi sono
divertita a vedermi nei panni della nonnina bitorzoluta e con il naso adunco,
brutta come lo spavento, ma generosa e tenera di cuore. Molte amiche mi hanno
inviato foto, anche di bellissimi ragazzi in sostituzione della Befana e con
didascalie molto promettenti (!?!). E molto divertenti. Con tante frasi
consolatorie sulle Donne che, anche da Befane, sono in grado di portare il
mondo in volo sulla scopa per migliorarlo. Un esempio?
“Ti regalo questa scopa affinché tu possa
spazzare via dalla tua vita la tristezza, il dolore, la rabbia, il risentimento,
le bugie, i pianti, l’odio e tutte le cose brutte che in passato ti hanno fatto
soffrire… quindi afferra questa scopa ed elimina tutta la spazzatura dalla tua
vita. Cit.”. Con foto della befana, questa volta bimbetta e molto carina,
che sorregge la scopa, non la cavalca. Mi piacciono molto immagine e messaggio.
E molto mi hanno fatto sorridere, ma anche riflettere.
Occorre
essere bambini per non avere a che fare con la “spazzatura della vita”, che
purtroppo si accumula con gli anni, soprattutto nella società attuale (ho visto
Roma sommersa da spazzatura negli ultimi giorni del 2018, e ho dovuto, mio
malgrado sostituire alla mia convinzione di “Roma, Museo di ogni Bellezza a
cielo aperto” con “roma, museo di ogni schifezza sotto un cielo di cupo
abbandono”). Per questo la vecchia Befana è così brutta e rugosa e ha spalle
curve e un cappellaccio a impedirle di vedere il mondo tra cielo e terra?
Endimione
rimase giovane sul monte Latmos perché dormì per trent’anni e non poté essere
scalfito dalle brutture del mondo…
Ma io
non sono più bambina e non riesco quasi mai a dormire. Per questo sono
invecchiata male come una vecchia befana?
Mi
conforta e mi dà speranza, però, un messaggio dell’ultima ora che la mia
carissima amica Anna Ferrara mi ha inviato, riportandomi al significato vero e
luminoso di Epifania: “Un grande abbraccio a Te e tanta Luce dalla
manifestazione del Cristo all’umanità”, con emoticon di stelle e lingua ardente
di fuoco.
Sono rimasta
anch’io folgorata. Dunque, Epifania ha solo un significato “a latere” di befana
(termine derivato indubbiamente da epifania) nel senso di dono da mostrare,
come fece il Bambino Gesù, mostrandosi (e facendo dono di sé) ai pastori che
avevano seguito la stella cometa (e avevano portato una pecora o una capretta,
unico sostentamento dei loro giorni di fatica), come pure ai Re Magi, venuti, a
loro volta, dall’Oriente, seguendo anch’essi la stella cometa, con doni ben più
preziosi e di non semplice interpretazione, quasi una ricchezza del cuore,
quasi preghiera, quasi un vaticinio di sofferenza, ma anche di cura: oro,
incenso e mirra.
Una rivelazione,
certo, ma anche una illuminazione.
Una luce
che scende dall’alto a illuminare le tenebre del mondo, della mente, del cuore.
E tutti noi avremmo bisogno di luce per scoprire, vedere, conoscere, sapere. Terribile
è la cecità della mente, del cuore e dell’anima. Molto di più di quella fisica.
Chi non ha letto “Cecità” di Saramago? È davvero illuminante. Quanta cecità
ammantata d’amore… che alla fine si rivela soprattutto amore per sé più che
dell’altro, a cui si professa amore per chiedere amore. Ma l’amore oblativo non
chiede davvero nulla per sé e tutto dona. Ogni attesa, ogni pretesa, si rivela
un bluff in amore perché l’altro è solo una proiezione di sé, anche in termini
negativi. Il nostro buio, le nostre ombre (C. G. Jung) le proiettiamo su chi
amiamo per sentirci vittime e innocenti…
Ecco,
allora, la necessità della illuminazione perché nessuno saprebbe leggere in sé
stesso se non venisse illuminato. Il nostro cuore sarebbe la caverna più oscura
della nostra esistenza se non venisse illuminato dalla luce della vera
comprensione che è data dall’Amore per l’altro/a, senza attese e senza calcoli
di sorta. Bello sarebbe l’appagante scambio reciproco come dono di sé all’altro,
che è di per sé pienezza e gioia.
Uno scambio di doni, dunque, è anche l’Epifania,
umile inno alla Reciprocità e all’Amore. Alla Luce. Alla visione chiara di sé che
comprende anche l’altro, simile a sé, ma anche tanto diverso da sé.
Inno alla
premura e alla cura. Inno alla salvezza reciproca.
Ma la
cura sottintende, come ieri ha affermato Antonio Serlenga, altro mio carissimo
amico e sensibile interlocutore, il “conservare” perché nulla di quello che
siamo e diamo agli altri vada distrutto o dimenticato. E lui ne è un bellissimo
esempio.
Già,
il “conservare” contrasta con il vivere l’“attimo” come se fosse un “eterno
infinito”. Folgorazione di un istante. Bellissimo a dirsi, ma poi sarebbe
davvero possibile vivere l’attimo di ogni attimo e basta? Cosa conserveremmo
davvero di noi e degli altri senza il “prenderci cura”, che è dono e, quindi,
azione continua, giorno dopo giorno, di premura, attenzione, protezione verso
la persona amata o verso qualsiasi altra persona (senza mai chiedere nulla in
cambio che non sia dono inatteso e gratuito nella sua autenticità), se non
conservassimo sentimenti, emozioni, doni ricevuti e dati, memoria e storia di sé
e degli altri?
Occorrerebbe
davvero fermarci a riflettere sulle tante tematiche e problematiche
individuali, amicali, relazionali, psicologiche e non solo, che si aprono a
ventaglio alla nostra attenzione perché questo Nuovo Anno ci porti davvero una
epifania di Luce, (ognuno attingendo al proprio credo, ma facendo spazio anche
alle convinzioni o, meglio, ai dubbi di ogni altro da sé), a rendere più chiaro
il nostro cammino di uomini sempre più alla deriva…
Sarebbe
davvero la “fine” di ogni egoismo, di ogni violenza, ipocrisia, invidia o
indifferenza e l’“inizio” di altri noi, con una veste nuova di altruismo, reciprocità,
solidarietà, empatia, assertività, resilienza. Sogni, bisogni, valori. Nella
nostra imperfezione, certo, ma anche in una nuova e più luminosa veste di autenticità.
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