sabato 6 gennaio 2018

STANOTTE È TORNATA


Silenziosa come alito di vento o piuma d’angelo. Come il sogno dell’alba e il canto del mattino. Come un pensiero che non si deve dire. È giunta anche questa notte. La Befana. Dopo giorni d’attesa nel cuore dei bambini. Nella mente di genitori e nonni. E la calza, colma di speranza, di sogni, di buoni proponimenti, delle immagini sfumate ma sicure di giochi e giocattoli, di video-game e I-pod, di pubblicità e di slogan, ancora vuota  presso il camino, appesa al lettino, sul tavolo della cucina, si è colmata di doni. Ieri notte i bimbi sono andati a letto con l’ansia di vederla arrivare la vecchina con la scopa e i sacchi pieni. Sono andati a letto con il proposito di non dormire. I grandi si sono attardati per riempire quella calza in attesa, scrivere la letterina, ritornare per qualche minuto bambini. Sentendo nel cuore una leggerezza che l’alba del nuovo giorno ha cancellato con il pesante sacco del quotidiano ritorno al lavoro, alla ferrea legge degli orari, ai problemi di tasche ancora più vuote e di tanti progetti accantonati che nessuna befana potrà far scoprire nella calza dell’anno appena cominciato. Ma per una notte anche per gli adulti è esploso il magico incanto del dono, nella complicità della meravigliosa illusione della Befana carica d’anni e di fatica, ma dal cuore d’oro.
Che cosa stupenda il dono: si sgranano occhi sull’immensità del dono che non è solo sintesi di quanto desiderato e ricevuto, ma è molto di più: è il calore di sentirsi amati, è la fantasia appagata, è la certezza di una complicità bambina nel gioco dell’innocenza conservata e mai perduta. Credere ancora, nonostante tutto.  Per sentirsi più vicini ai piccoli, al loro candore.
È la meraviglia di un pensiero condiviso. Di un sogno realizzato. E non importa se si sia speso l’ultimo soldino. Il sorriso dei bimbi ha acceso la notte perché loro non ce l’hanno fatta a fingere di dormire fino all’alba. Da sempre i piccoli spiano nel buio e, quando tutto tace, si alzano furtivi per vedere la Befana. E la Befana c’è. Le calze sono piene. È tempo di correre nel lettone per gridare che l’hanno proprio vista la Befana. I genitori, ancora assonnati, sono costretti a svegliarsi perché c’è tanta luce ora nella casa. È fatta di stupore e di sorriso. Di felicità. E non c’è niente di più magico. C’è nell’aria qualcosa di misterioso e di grande. Una compiutezza nuova. Per aver regalato un sogno. Per aver ricevuto un sogno.
Epifania significa proprio questo: festa del dono condiviso e, quindi, festa della gioia data a piene mani. Raccolta a piene mani. Con la speranza che duri nel tempo. Oltre i camini accesi. E gli occhi bambini spalancati d’attesa dietro lo scintillio del sogno.
Mio nonno era lampionaio di stelle e mago di sogni perché non solo accendeva le prime e faceva brillare i secondi, ma li sapeva far durare. Se ne prendeva cura perché non si spegnessero. Perché non svanissero. Eravamo già signorinelle, io e mia sorella Lizia, e lui, la mattina del 6 gennaio, ci veniva a dare il buongiorno improvvisandosi ancora Befano, e, raccontandoci di lunghi improbabili viaggi (aveva già circa ottant’anni), ci lasciava sul verde muschio del presepe una grossa stecca di cioccolato di cui eravamo particolarmente ghiotte. Ci diceva che aveva incontrato la Befana sul treno. Sì proprio la Befana - ribadiva di rimando al nostro smaliziato sorriso. - Minghiarìle! (Stupidelle!) Voi non ci crederete mai, ma io l’ho incontrata davvero! - e si pizzicava il baffo in segno di complicità e di amore.
Epifania di ricordi, la Befana che mi porto nel cuore, con una calza di veri carboni, tanti mandarini, fichi secchi e caramelle mou, morbide e profumate di latte e caramello. Come il cuore di mio nonno in quei giorni di neve, di braciere acceso e di fiabe raccontate piano per trascorrere insieme le lunghe sere d’inverno che il nuovo anno portava con sé.
E mia nonna ascoltava con i suoi occhi grandi di bambina.

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