Sono passati appena tre anni dalla morte di Maria Marcone, la nostra più grande scrittrice nella Puglia letteraria degli ultimi cinquant’anni, e nessuno che io sappia ha scritto una sola parola per ricordarla. Ho atteso invano in questi giorni di leggere sue notizie. Un ricordo. Un rammarico. La voce della sua grandezza come autrice di tanti importanti romanzi per adulti e per bambini e adolescenti; come donna coraggiosa, libera, autentica e sempre sulle barricate; come amica tenera, sincera, attenta. Una persona vera come oggi è raro trovare. Niente. Eppure ci ha lasciato tanto di sé e della sua scrittura. Suo vivo desiderio, condiviso dal compianto Antonio Ricci, suo amato compagno di vita, era che si pubblicassero ancora il suo ultimo romanzo, rimasto inedito, L’Urlo, e una raccolta di poesie, Tempo naufragato Tempo ritrovato, che mi aveva consegnato alcuni anni fa perché io ne curassi il commento critico e la pubblicazione. Personalmente ho mantenuto fede a metà alla promessa fatta a lei e più tardi ad Antonio, ma la sopravvenuta morte anche di colui che si è preso sempre cura dei suoi scritti con grande dedizione ha interrotto la nostra bella intesa sulle modalità di edizione delle suddette opere. Con grande dispiacere ho rinunciato a pubblicarle come mio omaggio e dono verso due amici a me molto cari per rispettare il silenzio dei loro amati figlioli. Ora, però, dopo questa dolorosa per me “dimenticanza”, sento proprio l’urgenza di parlare di Maria. Di riportarla alla nostra attenzione e al nostro affetto. E lo faccio con brevi parole e una sua poesia.
Il tormento la fede l’amore nei versi inediti di Maria Marcone
La sua assenza è come il cielo,
si stende sopra ogni cosa (C. S. Lewis, Diario di un dolore)
Solo pochi mesi fa, azzardandomi a prendere il largo nell’oceano di carte, appunti, agende, cartelline, quaderni, quadernoni, faldoni, che costituiscono il patrimonio di quanto da me scritto da oltre sessant’anni, nonostante le devastanti (provvidenziali?) perdite di buona parte del “materiale”, dovute a traslochi vari, incuria, disordine e quant’altro, ho avuto la fortuna di ritrovare, in fondali da alcuni anni inesplorati, alcune poesie inedite che Maria Marcone, in una delle mie sporadiche (ma quanto affettuose!) visite a casa sua, mi affidò perché “scrivessi qualcosa”.
Un piccolo tesoro che l’oceano mi restituiva, anche se in parte decurtato perché Maria, in un’altra occasione, mi aveva affidato una cartellina con altre sue poesie inedite a sfondo religioso che, purtroppo, l’oceano non mi ha restituito, nonostante le molte e affannose ricerche, che mi hanno visto trasformarmi in palombaro attrezzato di tutto punto alla ricerca del prezioso scrigno, ma senza fortuna.
Rassegnata, ho dovuto abbandonare l’impresa, ma non il proposito di scrivere oggi di Maria e delle sue poesie più di quanto non mi sia stato possibile fare in passato, perché ho dovuto sempre lottare contro il tempo tiranno e le mie molteplici attività di madre, moglie, insegnante, preparatrice di concorsi (per il reclutamento di nuove generazioni d’insegnanti), e la mia insopprimibile urgenza di… scrittura (da portare a termine non solo per me ma anche per gli altri che, negli anni, si sono rivolti a me per un aiuto “di penna”).
Insomma, a distanza di oltre un decennio, eccomi qui a scrivere di Lei. Quasi un impulso. Quasi un richiamo, un comando. Quasi un desiderio. O una necessità.
Io credo nella invisibile ma reale comunicazione tra chi continua a vivere e ad amarci in un’altra dimensione e chi continua a vivere e ad amare in questa difficile tormentata esistenza. All’invisibile richiamo tra terra e cielo io ci credo. Niente può andare perduto e dimenticato finché rimane la foscoliana “corrispondenza di amorosi sensi”, anche oltre la materia e la vita.
Dopo aver appreso da Antonio, con grande dolore, che Maria non era più fra noi, ho pensato non solo di scrivere di Maria e delle sue poesie che avevo tra le mani, ma di farne un libro per rendere omaggio ad una grande e poliedrica scrittrice, ad una donna meravigliosa nelle molteplici sfaccettature della sua imprendibile personalità, e ad una straordinaria amica dalla generosità e dall’affetto sempre prorompenti e coinvolgenti. E, dunque, finalmente le poesie di Maria Marcone pubblicate in un libro! Ma non è stato così per le ragioni già evidenziate. Ora, pertanto, non mi rimane che continuare, sia pure brevemente (Maria merita molto di più!) parlare di lei. Il mio intento è restituire a Maria, con queste mie povere parole, la totalità della sua esperienza artistica, culturale, letteraria, poetica, umana. Ed eccomi qui a scrivere di Lei oltre il suo volo tra le stelle: quelle di Ninella? quelle di Maria? Le sue amate stelle.
Mi sembra di vederla mentre ci guarda da Lassù con l’infinito amore che provava per l’umanità e con l’infinità possibilità di volare, di andare sempre più su in quello slancio di eterna ribellione e di assoluta libertà, tanto necessaria alla sua vita e ai rapporti che lei amava stabilire con i suoi cari e con gli altri: amiche, amici, parenti e conoscenti vari. Anche nelle poesie, del resto, scopriamo nella nostra Autrice il senso fortissimo della ribellione alle regole che imbrigliano la sua libertà di persona e, nello stesso tempo, il suo accettare, senza piegarsi mai, con grande sofferenza e dignità, le leggi dell’Amore che la rendono capace di “infinita indulgenza” verso gli errori umani e di “estrema disponibilità” ad accettare l’altro e ad affrontare la realtà esterna con il coraggio che le proviene dalle sue certezze/incertezze e dalla sua crescente, anche se estremamente sofferta, fiducia in Dio.
Ne è testimonianza questa intensa poesia dedicata ai suoi due figli.
Lettera ai figli
Ai nostri padri/ dovemmo dir grazie/ solo perché/ ci avevano messi/ in questo sporco mondo/ Ora noi di questo/ vi chiediamo perdono/ Perdono/ per avervi gettati/ in un mondo di lupi/ Perdono/ per la violenza quotidiana/ di cui tutto è impastato/ e che/ neppure dalla nostra casa/ sappiamo bandire/ sbranandoci l’un l’altro/ ad ogni sciocchezza/ Perdono/ per avervi dato/ col seme stesso della vita/ la nostra miseria/ la nostra caducità/ Perdono/ per l’esistenza che vi aspetta/ con le battaglie aspre/ coi furori e la rabbia/ con le gioie troppo fugaci/ con le sconfitte e col dolore/ Perdono/ per la morte/ che vi ghermirà/ troppo presto/
perché in voi sia placata/ la sete d’infinito e di eterno/ Perdono di tutto/ del male che fa male/ del bene che fa ancora più male/ o o o/ Un segreto però forse/ vi abbiamo insegnato/ come rendere questa vita/ meno vile/ questo poco tempo/ meno effimero/ Vi abbiamo aperto gli occhi/ crudamente/ su uomini e su cose/
sui misteri delle nebulose/ sui dubbi/ che dilaniano/ le nostre menti piccine
Vi abbiamo insegnato/ l’odio/ contro l’ingiustizia e il sopruso/ contro la guerra e i guerrafondai/ contro la mafia e il razzismo/ contro le disuguaglianze/ e contro le sopraffazioni/ Vi abbiamo rivelato/ l’uso della ragione/ e della parola/ perché niente facciate/ sulla scia/ del pregiudizio e della norma/ Vi abbiamo resi/
forti/ aggressivi/ taglienti/ e lucenti come lama/ perché sappiate difendervi/ e difendere i deboli/ contro i prepotenti/ o o o/ Ora però/ figli/ non rivoltate l’arma/ contro di noi/ noi che ai vostri piedi/ abbiamo deposto ogni potere/ Pure serbiamo ancora/ una stilla di sangue/ per voi/ Abbiamo pur sempre/ due braccia/ per consolare il vostro pianto/ quando tornerete dalle battaglie/ fradici e malconci/ con la fede a brandelli/ e una sete/ furiosa/ d’amore (Bari 1978)
Maria, in questo testamento spirituale ai figli, molto profondo e dolente, quasi crudele ma traboccante di verità e di amore, spezza le frasi per dare forza poetica e semantica al testo. Ne viene fuori una poesia accorata, di forte denuncia sociale di un tempo che non consente ai figli di dire “grazie” ai genitori per il dono della vita, come avveniva in passato, ma che impone a questi ultimi di chiedere “perdono” proprio per quella stessa vita scaraventata in un mondo di male, dolore, sopraffazione, morte. E l’anafora del lessema “Perdono” e dell’espressione “vi abbiamo insegnato”, crea una musicalità che dona al componimento poetico una toccante sinergia d’intenti, da cui si propaga il senso salvifico e oblativo dell’amore genitoriale. Con gli splendidi versi conclusivi che creano persino visivamente il nido/rifugio delle braccia di entrambi i genitori ad accogliere i figli, reduci, fradici e malconci, dalle loro battaglie quotidiane in “terra di lupi”, con la fede a brandelli e una sete furiosa d’amore.
Grazie, Maria, per quanto ci hi donato e continui a donarci. E con te, sento la necessità di ringraziare anche Antonio. Per esserti stato accanto sempre con tanta comprenzione. Con tanto amore.
Hai fatto bene, cara Lina, a ricordare così affettuosamente Maria Marcone. È una goccia nel gran mare della dimenticanza, ma è una goccia che splende d'amicizia e riconoscenza per la sua presenza letteraria e umana.
RispondiEliminaMarco Ignazio de Santis
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RispondiEliminaIn questi giorni si parla tanto della battaglia di Greta Thumberg.Questa ragazzina che parla con passione su un palco al palazzo di vetro dell'ONU, accusando i potenti della terra di aver perseguito politiche ambientali scellerate che hanno rubato il futuro a lei e a chi delle suddette politiche vedrà sul serio i disastrosi effetti, ebbene questa giovane mi ricorda tanto l'eroina di un romanzo della Marcone, "ALINA NEL TREMILA", che in effetti nel libro è protagonista di una scena identica.
RispondiEliminaQuesta scrittrice e questo piccolo capolavoro, letto e riletto tante volte da ragazzino, non li dimenticherò mai e non vedo l'ora che la mia bimba sia abbastanza grande per raccontarle le avventure di Alina