Martedì 1° aprile 2025: ancora per te, MAMMA… (seconda e ultima parte)
La salutammo mentre la
portavano in sala operatoria con l’ultima figlia che la seguiva passo passo, e
mi sembrò un uccellino spaventato e tenero con quella sua cuffietta di lana
rosa per non prendere freddo ed era una bimba alla prima passeggiata
all’aperto. Aveva la stessa aria stupita, non d’incanto infantile per la scoperta
del mondo, ma di disincanto per un mondo conosciuto amato ignorato perduto. Ci
aveva raggiunto anche Mimmo, che porta il tuo nome modernizzato di nonno
Mincuccio, a cui fisicamente somiglia molto. Ed ora eravamo tutti con lei e per
lei a sperare e a pregare. Mancava solo Anna Maria, presente con continue
telefonate. Il chirurgo-mago ci tranquillizzò, ci disse che potevamo tornare a
casa perché di lì a qualche giorno sarebbe tornata anche lei. Avremmo dovuto
usare accorgimenti e precauzioni, ma il peggio era scongiurato. Rincuorati,
ripartimmo per preparare la sua camera con tutti i comfort ad accoglierla.
Durante il viaggio di ritorno, facemmo progetti per lei. Io mi ripromettevo di
esserle più vicina come non lo ero mai stata per tutti gli anni precedenti. Ora
sarei stata più libera (il 2000 aveva segnato la interruzione a tempo
indeterminato dei Concorsi nella scuola!) e mi sarei dedicata esclusivamente a
lei. L’avrei portata in vacanza con me. Saremmo state finalmente insieme.
Progetti che ebbero il respiro breve di quel raggio di sole in quei giorni di
interminabili piogge di inizio primavera, che tardava a giungere come oggi, e
che io sognavo per lei tiepida e con passi di rugiada. Il luminare avrebbe
dovuto dirci che “il peggio sembra scongiurato”, non che “è scongiurato”.
Quella notte del
ritorno sognai il nonno. Stavo camminando sull’orlo di un burrone di cui non
vedevo la fine, tanto buio era il fondo da non distinguere se vi fosse un bosco
fitto di alberi cupi o il mare con la sua nenia sommessa o la pianura con i
suoi campi coltivati. Mi sentivo sola e disperata e non sapevo perché stesse
camminando proprio sul ciglio della strada in quel silenzio spettrale e in
quella oscurità così spaventosa. Ad un tratto, lo vedevo seduto proprio lì sul
bordo di quell’orribile precipizio a guardare nel vuoto. Lo invocavo, dapprima
senza voce. Poi, avevo preso a chiamarlo con voce sempre più forte e disperata,
ma non si girava. Ostinatamente continuava a guardare verso l’abisso senza
rispondermi e senza voltarsi. Sembrava insolitamente sordo ad ogni mio
richiamo.
Mi svegliai sudata e
spaventata con un brutto presentimento, confermato da una telefonata concitata
che ci informava che stavano portando mamma in ambulanza con il pericolo che
morisse per strada. Purtroppo mamma aveva avuto un improvviso repentino
peggioramento. Una dottoressa, nostra carissima amica, Teresa Aresta, si
assunse la responsabilità, con grande coraggio, di permettere il trasferimento,
da quell’ospedale del Nord al profondo Sud della nostra casa, in
un’autoambulanza privata, con lei sempre vigile al suo fianco e con nostra
sorella, attento angelo a colmarla di carezze. Giunsero stremate entrambe,
madre e figlia, tra lacrime brevi, e parole affaticate e non sempre lucide.
Due giorni appena
rimase con noi tra spasimi che ci destabilizzavano e tenui sorrisi di
affettuosi addii. Ci lasciò stanca di aspettare e di soffrire all’alba della
domenica ed era il 1° aprile. Ci sembrò un pesce d’aprile, uno sberleffo atroce
sul nostro pianto a lasciarla andare. Capii allora il perché dell’ostinato
silenzio di nostro nonno. Era il suo modo di dirmi “non posso farci niente,
questa volta non posso aiutarvi”.
Anche Teresa, la
vedova di Filippo, procugino di mamma e “figlio acquisito” del nonno, quella
notte aveva sognato suo marito che le diceva che era passato a salutarla perché
era venuto a prendere comare Melina, la sorella che non aveva mai avuto e che
aveva tanto amato. Per portarla in Cielo dove c’erano tutti gli altri e da tutti
gli altri in attesa di riabbracciarla. Si affrettò a raccontarcelo tra le
lacrime mentre stava lì con noi a darle l’ultimo bacio. E finalmente la
sentimmo al sicuro tra le Braccia amorevoli del Signore.
E solo dopo, solo dopo ho capito molte più cose di
lei. Della sua sofferenza silenziosa. Solo dopo ho sgranato i miei tanti rosari
dei comportamenti sbagliati con lei, anche con lei. I lunghi silenzi. I
rarissimi incontri. La solitudine dolente che le procuravo: - ti ho persa
vivente… non ti preoccupare fai le cose che devi fare… vieni quando puoi
venire… chissà se ti rivedo ancora… -
Ed ora che mi manca come il respiro, lei non c’è nella
sua casa per andarla a cercare e coccolarla con tutte le confidenze mai più
sussurrate, con i baci mai più dati, con le carezze che avrei voluto depositare
sulle sue guance di pesca chiara. Mi conforta a malapena il ricordo dei nostri rari
incontri nella sua casa e del mio prenderle la mano per coprirla di teneri
tocchi leggeri con le labbra e i suoi occhi si slargavano di luminosa
accoglienza in uno sguardo di illimitato perdono…
E oggi, martedì, è di nuovo 1°
aprile. Non so se i ragazzi di oggi festeggiano il “pesce d’aprile” con scherzi
e risate, come un tempo. So che quella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile,
lei era preoccupata per me, temeva che litigassi con Primo perché ero rimasta
da lei, si agitava, mi costrinse ad andare. La lasciai, mio malgrado. Anche gli
altri andarono un po’ a riposare. Con lei rimase, se non ricordo male,
coraggiosamente e amorevolmente nostra nipote Isabella, la figlia maggiore di
Nicola e Anna Maria, e fu tra le sue braccia che spirò.
E io sono qui a tentare di
ricordare ogni attimo che mi riporta a lei, al suo AMORE incondizionato. E ancora
una volta le dedico una poesia. Non so fare altro. Non posso fare altro: È un’agonia di ore il pendolo/ che mi separa
da domani/ oltre un passare di anni senza tregua/ nella nostalgia di te che sei
mio pane/ quotidiano e mio quotidiano rimpianto./ Domani è stato il primo
giorno/ del tuo spegnerti al nostro sorriso/ per accendere un’altra stella
nelle sere/ del nostro cercare una luce almeno,/ tra tanto pianto che mai ci
abbandona./ E tu vieni a consolarci come un tempo/ con le tue mani di tenerezza
e perdono/ per le nostre assenze sempre presenze/ nel tuo cuore/ INFINITO /
come l’universo che attraversi con noi/ che ti abitiamo nel cuore come Tu/
abiti nel nostro, osmosi eterna/ giardino fiorito oltre la pioggia/ che non
cancella primavera, ma sempre/ la precede e l’attende./ Noi attendiamo domani
per dirti/ in silenzio che mai sei andata via,/ anche se il primo aprile ogni
anno/ ritorna, ma porta con sé il tuo profumo,/ il tuo mai spento sorriso, la
tua eterna/ giovinezza che sa di Primavera il canto.
TU ancora e sempre con noi!
A presto per ritrovarci come
sempre. Angela/lina