martedì 25 febbraio 2025

Martedì 25 febbraio 2025: Recuperando "pezzi di scrittura" perché un "lettore sconosciuto", qualche anno fa, ha scritto sul nostro BLOG...

"I sentimenti forti, gli stati emotivi intensi possono regalare parole mai dette né pensate anche a chi non sa giocare con le parole, a chi non sa che una parola, seppure apparentemente banale, può trasportare pezzi di cuore. E cosa accade quando la sensibilità di una poetessa fatta e riconosciuta è sollecitata più di quanto già non lo sia di suo, quando la mielina dei suoi nervi si sfilaccia e li denuda spianando la strada al dolore che con la ferocia devastante dell’invasore si appropria di ogni singola cellula del suo corpo e di ogni pensiero? Accade che la poetessa immerga le mani gli occhi la bocca il naso le orecchie nel forziere mai chiuso che custodisce le sue parole e se le regala e le regala a noi, balsamo per le sue ferite e canto di speranza per ogni cuore che avrà la fortuna di condividerle. Hai superato te stessa, Angela? Spero di no: ce ne aspettiamo ancora e ancora. Persevera nella tua imprevedibilità…ma senza farti male!" (Sconosciuto)

"Angela condivido tutto ciò che hai mirabilmente descritto. Una poesia è il luogo dello stupore, della meraviglia, anche della solitudine... quando ti sieda accanto, la poesia tiene il diario di bordo di una coscienza dell'oltre, dell'attimo colto e separato... Noi possiamo abitare il viaggio, la vita dell'altro da noi, attraversando l'anima delle cose perché tutto è nel nostro sguardo. Grazie Angela!" (sconosciuto)

Pezzi della mia scrittura che un attento, ma sconosciuto lettore, ha colto qualche anno fa. Quando? Mi piacerebbe recuperarli, ma non sono esperta in operazioni di recupero di qualsiasi genere si tratti. Ci provo… Evviva! Ci sono riuscita! O quasi! Si tratta di ABITARE POETICAMENTE IL MONDO, che risale al 13 marzo del 2018 e che parte da due espressioni che non ricordo se siano mie o meno, ma forse sì: Il “prendersi cura” contro la “cultura dell’offesa”. Ma il mio “amico sconosciuto” potrebbe riferirsi ad alcune mie poesie scritte a fine febbraio con un lieve sentore di primavera nell’aria. Per evitare dubbi e incertezze, ripropongo quanto da me scritto alcuni anni fa, prima che il periodo più brutto della mia vita si abbattesse su di me, senza farmi sconti di sorta. Ma dopo sette anni, che non sono passati invano sul mio corpo, sulla mia mente, sul mio cuore, penetrando profondamente nella mia anima, sono ancora qui. Contenta di esserci e di ritrovare i vecchi amici. Contenta di esserci per incontrare nuovi amici. E, così, eccomi a rinverdire quanto scrissi allora:

<Mi piace proporre qualche riflessione sulla possibilità che ha la poesia ancora oggi di essere veicolo di salvezza in un mondo devastato dalla “cultura” della violenza, dell’offesa, della divisione, dell’odio e della disumana indifferenza nei riguardi di chi soffre, di chi è debole, solo, disperato, oppure ha bisogno di asilo perché scappa dall’orrore della guerra, dai morsi della fame, da una terra devastata e senza speranza. In questi giorni di totale confusione e notevoli discordanze nel nostro Paese, e non solo, mi chiedo allarmata e delusa se sia ancora possibile oggi vivere con poesia e di poesia. Prendo quotidianamente atto di essere completamente disancorata, con i miei ideali e le mie utopie, da questo mondo di pochezza e di pressappochismo, di arroganza e mancanza di senso storico, civico e sociale (in termini di unione corale tra gli uomini). Per evitare di ridurre il mio sgomento ai soliti pensieri romantici e poco realistici, ho cercato di farmene una ragione con la inevitabilità del fenomeno a causa di una cultura scientifica e tecnologica, che ha pian piano soppiantato, senza che ce ne accorgessimo, non solo nella scuola ma nella società tutta, quella cultura umanistica che  ci consentiva di essere ancora “umani”, a contatto con la letteratura, la filosofia, l’Arte in tutte le sue innumerevoli forme, e, perché no, a contatto con la natura, principale fonte di ispirazione per poeti, pittori, musicisti. La scienza e la tecnica, ma soprattutto l’elettronica, hanno finito per darci in pasto ad una fittizia realtà “virtuale”, che si è sempre più diffusa grazie ad internet e ai social. Senza volerli demonizzare, ma anche senza esaltarli oltre misura, li ritengo in buona parte responsabili della “non cultura” del nostro tempo, con tutte le accelerazioni linguistiche che essi comportano e sollecitano, e il conseguente depauperamento della ricchezza che ogni lingua e linguaggio porta in sé e con sé, e con tutte le velleità dell’apparire a discapito dell’Essere. Velocizzando ogni operazione, ogni contatto, ogni comunicazione e agevolando un solipsismo che sta diventando dominante e sempre più preoccupante, per non dire devastante. E con questo individualismo esasperato vanno sempre più aumentando le chiusure agli altri, gli egoismi, le divisioni. I social solo in apparenza aggregano, offrono possibilità di conoscenza, scambio, confronto. Basta andare su facebook o su twitter per averne conferma.

Come conciliare tutto questo con il mio sogno di “abitare poeticamente il mondo”?

“Abitare poeticamente la terra” è il titolo di un libro di poche pagine ma di pregnante e ricchissimo contenuto poetico-culturale del noto critico letterario Emerico Giachery che, nel donarmelo, ormai tanti anni fa, in un incontro nella sua Roma, mi disse che quel titolo, che a me sembrò subito bellissimo, gli era stato suggerito da una espressione attribuita al poeta  tedesco Friedrich Holderlin, ripresa successivamente dal filosofo Martin Heidegger, il quale puntualizzò che l’avverbio “poeticamente” stava a significare “essere alla presenza degli Dèi ed essere toccati dalla vicinanza dell’essenza delle cose”. Che per me consiste nell’illuminare di tenerezza il quotidiano, anche con la scrittura: le innumerevoli voci nascoste, ma reali, i suoni, i profumi, la musica, il sogno della terra, dei fiori, dei prati, delle acque, le nuvole, le onde, il mare… gli altri miei simili, con i quali desidero comunicare con gli occhi ancora prima che con la voce, col gesto, e non con un mezzo tecnologico, freddo e distante. È necessario, mi dico, ritornare ad ascoltare le voci della natura, come facevano gli uomini primitivi, quando la natura non era ancora “desacralizzata” (Carlo Sini). Prendere, magari, a modello i bambini che, con naturalezza, abitano poeticamente la terra. Si stupiscono. Si meravigliano. Non programmano i loro giorni, ma li vivono solo giocando e nel gioco e con il gioco imparano a scoprire il mondo, giorno dopo giorno, conquista dopo conquista, abbandonandosi senza steccati e senza confini al fluire del tempo e della vita. I programmi che noi adulti siamo soliti fare, frazionando il tempo, segnano dei limiti e delle strade obbligate, che dobbiamo percorrere se vogliamo realizzare i progetti che ci prefiggiamo di raggiungere. Ma così sacrifichiamo libertà e creatività. Forse sarebbe meglio avere solo degli intenti da perseguire e da trasformare pian piano che viviamo, escogitando di volta in volta il “come”, nel rispetto della libertà e delle “modalità” di ciascuno, cercando magari di trovare continuamente “punti d’ incontro” per non sentirci mai soli nella realizzazione di quanto riteniamo utile per ciascuno, ma anche per il bene di tutti. Sarebbe bello formare delle cordate vere, concrete, reali per aiutarci a vicenda e sentirci solidali, forti, felici. Ci riapproprieremmo così della semplicità della vita. E, del resto, lo stesso Heidegger affermava: “Lasciamo essere all’ESSERE”. Abbandoniamoci all’esistenza e tutto potrebbe accadere nel tempo giusto e nel luogo giusto. Non vivono gli uccelli cantando e ricamando i cieli di voli senza l’ansia del cibo o di programmare il nido che a primavera riempiranno di pigolii e fremiti di ali? Ecco, anche gli uccelli come i bimbi vivono poeticamente il mondo. E così la natura tutta quando segue il corso delle stagioni, le albe e i tramonti, lo sfolgorante mormorio delle stelle. Lo so, adesso mi taccerete di retorica, di romanticismo, di utopia, di scarsissima aderenza alla realtà, perché quest’ultima ha le sue leggi, le sue priorità, la sua arcigna faccia quotidiana. I suoi problemi. La sua sofferenza insita nelle nostre fragilità e nella nostra stessa umanità. No. Non ho dimenticato tutto questo. Anzi! Mi preoccupa, mi spaventa, mi fa “tremare le vene e i polsi”. Ma non per questo devo rinunciare ai miei sogni. Alla mia utopia, che non è “ciò che non si può raggiungere, ma ciò che non si è avuto ancora il coraggio di affrontare e realizzare”, come qualcuno ha scritto un po’ di tempo fa. Né voglio rinunciare alla mia Poesia. Che non è fatta solo di nuvole, ma di esperienze di vita, come ferite o esaltazioni quotidiane. Il poetare di Holderlin veniva definito: “illuminazione, veggenza, stato di grazia”, nonostante la sua eterna follia. I poeti sono allora dei privilegiati per un dono assolutamente gratuito che li salva e li salverà sempre? Probabilmente sì. Nei “Quaderni di Malte” Rilke afferma che i versi sono esperienze che si vestono di stupore. E le esperienze diventano così l’atto più alto del vivere. Prima di scrivere un solo verso, egli afferma, bisogna aver visto molte città, aver conosciuto gli animali e le piante; sentito il volo degli uccelli e ascoltato il linguaggio dei fiori; ripensato ai sentieri percorsi e a quelli mai attraversati; ritornare all’infanzia, alle ferite inferte ai nostri genitori per le inevitabili ribellioni; trascorrere i mattini davanti al mare e sognare tutti gli oceani. Più o meno così. Ho citato sul filo della memoria. Non ho tempo per documentarmi. Questo tempo parcellizzato che distrugge il tempo, la libertà, la creatività. La nostra stessa umanità. Ma in un tempo così buio si fa urgente trovare un fiammifero, un lumicino, una lampada per dissipare le tenebre e fare ancora spazio alla Speranza.  Riscoprire l’Armonia che non ammette vuoti e si sostanzia di pienezza e di unità. Riproporre la Poesia. E la poesia per William Blake è “vedere il mondo in un granello di sabbia/ e il cielo in un fiore di campo/ e l’eternità in un attimo”.

Se la poesia, dunque, è tutto questo e molto molto altro ancora, allora è possibile abitare poeticamente il mondo. Oggi più che mai. Non possiamo andare al fondo del fondo. Inevitabilmente si torna a galla. Non ricordo più chi abbia detto che “l’ora più buia prelude alla luce” e non può essere altrimenti. I primi segnali di rinascita ci sono. L’amore per la lettura che lentamente rinasce. E la lettura è il volano della conoscenza mediata dai libri: ampia e suggestiva. Profonda. Umana. Perché ogni pagina può essere riletta, meditata, rielaborata. Assaporando lentamente ogni parola, rileggendola se necessario. ad alta voce come più volte ha ribadito nelle sue opere poetiche il grande Vittorino Curci, perché si senta anche o soprattutto la sonorità, ossia la musicalità, insita nella voce di colui che recita, affascinando il pubblico con la sua musica interiore. E, poi, ci sono i giovani che stanno riscoprendo l’impegno senza dimenticare i sogni. Sono i nostri giovani che amano tornare sulle barricate, sporcarsi di fango e di sangue per salvare vite in pericolo, per accogliere chi non ha più nulla. Non esistono solo i ladri i violenti gli assassini che la cronaca quotidiana, i telegiornali, le “dirette” (con i nostri politicanti), sui social appunto, ci sbattono sul viso per fare audience. Ci sono anche i poeti, i nostri poeti rivoluzionari che cominciano a ribellarsi contro un mondo che vorrebbero diverso, migliore, più giusto, più corale e solidale, più vero. Ci sono. Esistono. Solo che non fanno notizia. Il bene è silenzioso come la foresta che cresce contro il rumore dell’albero che si schianta.

“Quando la gioia accade/ fatecelo sapere…”, ammoniva la grande poetessa serba, da me più volte incontrata in Italia e in Serbia, Desanka Maximovic, con il cuore pregno d’amore anche dopo i novant’anni. Ed io voglio concludere gridando che i miracoli accadono basta riconoscerli e gridarlo ai mille venti perché anche gli altri e gli altri e gli altri ancora ne abbiano contezza. E voglio cominciare dal miracolo dei giovani, che sono il nostro futuro, la nostra speranza. Guai se non sentissimo più germogliare nel nostro cuore questa tenera fogliolina, di cui prenderci cura perché continui a verdeggiare. Non è solo importante partorire un figlio o un’idea. È fondamentale “prendersene cura” e continuare a farlo fino a quando non ci abbandonano le forze. Certo, ci vuole coraggio e determinazione, ma abbiamo ricevuto in dono mente, mani e cuore. E con questi meravigliosi doni, gli uomini di “buona volontà” sono sopravvissuti ad un mondo ostile e pieno d’insidie e di cattiveria, e di violenza e di guerra e di catastrofi naturali e non. E sono sempre rinati. Perché ogni volta hanno scoperto dentro di sé quella Luce che ha rischiarato le tenebre ed ha annunciato una nuova alba. Delitto sarebbe stato e sarebbe ignorarla. Come lo sarebbe ignorare la memoria storica che ci riporta al passato e ci fa scoprire che il mondo non è nato con noi. Per evitare errori (e sono innumerevoli) e per far tesoro di chi anche in passato è riuscito ad abitare poeticamente il mondo. E i luminosi esempi non mancano: Mio nonno ce lo ha insegnato con i nostri giorni nutriti di fiabe, con le sue mani colme di fiori e di frutti, con il suo amore per noi, per gli altri, per la vita…>.

Grazie! Sono felice di aver ritrovato e di riproporre una pagina che restituisce anche al lettore sconosciuto una riflessione meritevole della mia gratitudine e dell’applauso di ciascuno di noi. Ma, per evitare di sbagliare, facendo riferimento solo ad “Abitare poeticamente il mondo”, desidero continuare, parlando di “Poesia”, riproponendo, ancora una volta, quanto scrissi circa sette anni fa:

<Anche la poesia va vissuta e cambia pelle e cuore a seconda degli anni e delle stagioni. E nel tempo rende universale ogni palpito condiviso perché in essa ognuno può scoprirsi e ritrovarsi... Poesia, compiutezza di sé nella disarmonia/armonia del proprio cuore più profondo, e bellezza che si sprigiona da un’emozione e si fa canto d’infinito… incontro di anime. Buona emozione!

Senza titolo

Giorni di pioggia nella mia casa

a cui mi arrendo fragile e insicura

perché il tempo non abbia di me ragione

e m’inchiodi alla sedia degli affanni.

Troppo lungo questo greve inverno

che ha messo radici nella carne

e geme e piange e urla la sua sorte

e non vuol morire con un ricordo di neve.

Ma d’improvviso il glicine è fiorito

e la rosa pure e la margherita da sfogliare,

il narciso, i tulipani, i nontiscordardimé.

Colorano di festoso arcobaleno

il grigio senza sorriso delle nuvole.

Il sole è uno squarcio dorato nell’azzurro

un cielo nuovo, un rinnovato incanto

di tersi mattini promette.

Sul terrazzo ancora spoglio esco

e offro il volto offeso dagli anni

alle carezze del vento innamorato…

(già è respiro di giovinezza dentro).

 Una rosa nel vento

 Turbine di vento nel giardino.

Una rosa rossa sfoglia il suo profumo.

Mi piovono tra mani deserte petali

di porpora e velluto e un sogno

a riportarmi primavera tra i pensieri

solo fino a ieri incatenati a cupi

giorni d’inverno vissuti dietro i vetri.

E nelle stanze vuote di sorriso.

Rosa sfilacciata prima di scoprire

l’incanto d’essere viva e bella.

Resta il sogno che non muore

tra velluto di tenero splendore

che custodisco tra dita innamorate.

 al vento dei ricordi

 Bimba del mio tempo breve

ridammi

il tuo filo d'aquiloni al vento

dove legare risposte mai ricevute

ai perché del mare e del firmamento

e un ditale d’argento e d’oro fino

per ogni ago che mi ferì nell’andare.

Cantami una ninnananna

stammi vicino.

Il vento dei ricordi che mi culla

fa’ che mi salvi dal tempo e dal dolore

che serena mi faccia addormentare

tra stanche foglie

del mio quieto giardino

dove è più facile riprendere a sognare

Raccontami

della fiaba che non muore

dei verdi passi perduti nel cammino

della sera che di lucciole esplode

nel mio cuore di papaveri e gelsomini.

(di stelle s'illuminava il tuo prato cuscino)>

E per oggi va bene così. Buona lettura a tutti, per ritrovarci ancora o per incontrarci per la prima volta e scoprire di stare bene insieme, aprendo anche un bellissimo dialogo fra noi… Grazie a tutti. Angela/lina

  

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