venerdì 5 luglio 2024

Venerdì 5 luglio 2024: ANNA MARIA… (2)

 È passata una settimana di silenzio. Senza la forza di dire una sola parola. Di scrivere una sola parola. E in tanto avvilimento non mi ha risparmiato neppure una pessima caduta che ha peggiorato notevolmente il mio stato fisico e mentale, mandandomi fuori da tutti i circuiti di recupero. Poi, per fortuna, i miei di casa con infinita pazienza e infinito amore, sono riusciti a portarmi sulla sedia a rotelle e ad avvicinarmi alla scrivania, ben sapendo che solo la scrittura mi avrebbe stanato dal dolore. E, infatti, ho ripreso a scrivere. E continuo a scrivere di te, per te e con te, qui dentro di me, ci sei sempre, mia Anna Maria. Scrivo per disperdere i pensieri negativi che mi fanno sprofondare in quell’abisso di dolore che ben conosco e che mi ha portato spesso, negli anni, ad annegare in quel “male oscuro” (Giuseppe Berto, Neri Pozza, Milano 1964) che è la depressione, da cui sono emersa sempre con la scrittura. Appunto. Per me da sempre salvifica. Spero che accada ancora, anche se le mie ancore diventano sempre più fragili e sconnesse. Ma penso ancora (e come non potrei?) che la scrittura sia un dono divino: fissa nel tempo lacrime e sorrisi. È simile a una foto. Questa, però, eterna volti e corpi, l'involucro di noi. La scrittura perpetua l'anima. Doppia immortalità. Dono meraviglioso sempre. Come non dire grazie al buon Dio per la sua totale gratuità? Ma noi uomini spesso manchiamo di gratitudine verso il nostro Creatore per i tanti doni, quasi sempre ignorati o ritenuti scontati perché ce li portiamo addosso dalla nascita, quindi ci appartengono di diritto. Oppure, pensiamo presuntuosamente che siano dovuti ai nostri meriti personali tanto che non ci scomodiamo mai a dire un grazie né a Lui né a quanti i nostri talenti apprezzano e li rendono visibili con bontà e generositàMa anche questo è un altro discorso su cui si potrebbe scrivere un trattato. Titolo? La difficile riconoscenza…

Naturalmente parlo per me e per chi crede in un Essere Superiore, che è Essenza di puro AMORE che tiene insieme i multiversi che continuano a auto-rigenerarsi come se fossimo ai primordi della Storia Universale. E sarei tentata di citare Einstein, Zichichi, la Teoria Quantistica che dimostra, a quanto pare, scientificamente l’esistenza dell’anima e la sua immortalità, il Bosone di Higgs, la Teoria del Tutto di Hawking ma potrei commettere grossolani errori di interpretazione, essendo profondamente ignorante in materia e non avendo affatto una mente scientifica, per cui faccio riferimento esclusivamente alla mia fede. Ai vari Convegni sul tema, a cui per anni ho partecipato. A cui abbiamo io e te partecipato. Ricordi? E alle tante letture che mi consentono un confronto aperto a tutte le possibilità in un campo illimitato e misterioso come la Vita e la Morte.   

La lettura è, secondo me, alla base della scrittura. Entrambe, poi, hanno bisogno dell’ascolto. Quanto ascolto abbiamo dato noi, mia carissima Anna Maria, ai racconti fiabeschi del nonno, con l’incanto che accendevano nei nostri occhi! Germogliava dentro, a nostra insaputa, la curiosità di scoprire in quali libri cercare le fiabe del nonno. Tu eri ancora piccolina, ma io feci tesoro di quelle fiabe fino a scoprire che alcune erano frutto della sua fantasia, altre facevano parte del patrimonio della narrazione orale pugliese, ed altre erano state pubblicate da Italo Calvino in Le fiabe italiane del 1956 (Einaudi, Torino). Il passo dall’ascolto alla lettura fu breve. Poi subentrò la scrittura.

Tu, invece, appena fosti in grado di scrivere passasti direttamente alla scrittura e cominciasti a scrivere poesie. In particolare le filastrocche. Non ti piaceva leggere, forse perché avevi una fantasia così fervida da poter fare a meno di quanto scritto dagli altri. Nicoletta, la tua seconda nata, sta ora recuperando tutte le tue bellissime filastrocche e poesie, per ritrovarti anche in quelle e per darti nuova voce e per farti rinascere, al di là delle tue stesse canzoni, di cui scrivevi anche i testi. Potere della creatività, della fantasia e della immaginazione, che alla memoria a volte, aggiunge parole mai dette e vite mai vissute, come è anche accaduto molto spesso nella mia scrittura. In me è prevalso, certo, il potere della memoria, accompagnato dalle esperienze vissute e maturate, in mille modi diversi nei tanti anni, con un ritorno quasi sempre all’infanzia, la nostra età felice. Del resto, la narrazione fa rivivere il passato e appaga la nostra gioia di raccontare…

Scrivere vuol dire farsi eco di ciò che non può cessare di parlare…” (Maurice Blanchot)

E tu non cessi mai di parlare e di cantare nei miei pensieri, h.24. E i miei pensieri sono colmi di te e dei nostri ricordi insieme. Certo, andrò zigzagando continuamente perché pensieri e ricordi non seguono una cronologia storica, ma sono solo la voce del cuore e si presentano improvvisamente e imperiosamente. I ricordi + il cuore si prendono per mano per fare la stessa strada, come è sempre successo a noi due. Cor-cordis e ri-cordi(s) ripropongono il cuore e il passato e riattualizzano ciò che è stato. Ed ecco ancora in un nuovo flash il resto del racconto del Santo Natale in casa di zia Maria e zio Michele, anche perché ci sono ancora risate che non vanno dimenticate. Ci appartengono. Sono NOI. E noi registravamo con gli occhi, gli orecchi attenti e il cuore quanto accadeva realmente in quella casa, dove era bello e divertente andare, anche per via dell’incanto che zia Maria era in grado di suscitare. Più disincantate di lei, le sue due figliole: Rosaria, sorridente e luminosa con i suoi riccioli biondi e guance di pesca; Rita, silenziosa e notturna come i suoi neri capelli.

Nella loro casa incontravamo spesso una sorella di zia Maria di nome Lauretta (zia Lauretta per tutti), più bruttarella ma tanto allegra e spiritosa anche lei. Amava raccontare, tra mille risate, di sé e dei suoi tanti mariti, l'ultimo dei quali era ancora vivo e vegeto. Bello e aitante e innamoratissimo della sua Lauretta. Insieme formavano una coppia prodigiosa. Di magica luce nei cieli bui e tempestosi di quegli anni. 

Spesso zia Maria e zia Lauretta, ma anche nonna si alternava nel duetto con zia Maria in una casereccia rappresentazione teatrale, risalente alle precedenti generazioni di nonni e bisnonni, con eventuali ritocchi recenti: inscenavano uno spettacolino ad uso e consumo dei presenti, tutto nel nostro sapido e forte dialetto antico o dialettaccio per dimostrare come fosse difficile, ai tempi di quando erano bambini i loro nonni e bisnonni, i rapporti tra marito e moglie in famiglia, soprattutto quando si trattava di dover dare in sposa la propria figliola ad un pretendente, di cui bisognava conoscere vita, morte e miracoli, con feroce litigata finale tra le due donne che avrebbero dovuto combinare e sancire il matrimonio tra i due giovani che, a loro volta, neppure si conoscevano. Roba da matti, ma era così ai tempi giovanili del passato più o meno remoto!

Era una rappresentazione che si ripeteva ogni anno con delle variazioni estemporanee sul tema, legate agli ultimi avvenimenti in casa di “commàra Fələcéttə” (comare Felicetta, un nome che era tutto un programma!). Ma il repertorio era molto vasto e si arricchiva, di anno in anno, sempre più di particolari per la felicità delle improvvisate attrici, compiaciute della loro parte e di occupare per un po’ la scena, e per la gioiosa spensieratezza di quanti stavamo in religioso silenzio a guardarle e  ad ascoltarle.

Come è facile immaginare, allora a casa di zia Maria e zio di Michele, la Notte Santa era una festa colma di tanta allegria e tanta confusione: fede e miscredenza, pettegolezzo e preghiere, canti e abbuffate, battibecchi e chiacchiere, cantilenanti preghiere e ambiziosi proclami, canti poesie risate dolci liquori gioia di vivere.

Gesù Bambino impiegava molto tempo a nascere. Veniva portato tra le mani-conchiglia del bimbo più piccolo, in testa ad una processione lunghissima che si snodava per tutte le stanze della grande casa che aveva un pianterreno, un primo e un secondo piano. Dopo aver salito, sceso, attraversato scale e stanze e camere e ogni più piccolo anfratto della casa e persino i balconi e il terrazzo, si ritornava giù per deporre il Bambinello nella grotta tra Maria e Giuseppe, il bue e l'asinello. La lunga processione si illuminava di candeline bianche o rosse, spente subito dopo con un brutto odore di cera bruciata e piccoli fili di fumo grigiastro che si sperdevano ben presto tra le nostre mani giunte e non di rado il bambino più grandicello bruciava i lunghi capelli della bimbetta davanti a lui con grida e soccorsi immediati e scompiglio nella lunga fila e l’acre odore di fumo e di capelli bruciacchiati si spandeva per la casa… e si accendeva delle note divine di “Tu scendi dalle stelle” (l’immancabile canto tradizionale che includeva voci adulte e bambine e mille inevitabili stonature e approssimate parole…). Dopo la nascita di Gesù, noi bambini recitavamo le poesie. Le donne di casa si affrettavano a preparare la tavola con ogni ben di Dio: “pèttuə” (pettole), piciuatìddə (dadini di massa sbollentati), baccalà in umido con olive e uva passa, capitone fritto e arrostito (che piaceva molto agli adulti, mentre a noi bambini e ragazzi faceva ribrezzo perché ci sembrava un serpente e basta, e provavamo disgusto nel vederlo mangiare con tanto gusto…), e, poi, frittelle, cartellate, calzoncelli (o cuscinetti di Gesù Bambino), mostaccioli, taralli di ogni genere, fichisecchi, mandorle tostate, arance e mandarini, noci e nocelline. Vini e rosolÎ.

Era capitato anche a Lizia di portare Gesù Bambino e poi anche a me, e anche a te, Anna Maria, ed era capitato a tutti noi bambini di recitare per la prima volta la poesia che zia Maria voleva insegnarci a tutti i costi perché la riteneva bella e facile per i più piccoli che non andavano ancora all'asilo.

 

                                                                          Tutti vanno alla capanna

                                                                            per vedere una gran cosa

                                                                            anche io son curiosa

                                                                            di veder che cosa c'è?

                                                                            Guarda, guarda quel Bambino

                                                                            come dorme, poverino!

                                                                            Sembra far la ninnananna

                                                                            tra le braccia della mamma.

                                                                            Se io avessi un biscottino,

                                                                            lo darei a quel Bambino.

                                                                            Biscottino non ne ho

                                                                            e il mio cuore gli darò!

 

Credo che la poesiola abbia attraversato secoli su bocche sdentate di nonne e nipotini e su quelle più morbide delle mamme, prima di giungere sulle labbra di farfalla colorata della nostra amatissima prozia e tra le sue mani in volo per mimarla a dovere. L'ho, poi, insegnata ai miei figli e ai miei nipoti non perché fosse particolarmente bella e facile, come sosteneva zia Maria, ma perché mi riportava a quei Natali, a quell'atmosfera magica e incantata, a quei profumi, a quegli odori, a quelle preghiere, a quei canti, a quelle braccia d'amore. A quei tafferugli. A quelle risate. Ricordi, Anna Maria, quanto abbiamo riso insieme? Lizia era sempre un po’ in disparte e non aveva il gusto della risata come noi due.

Capitava sempre qualche imprevisto, che coglieva di sorpresa la compagnia, creando parapiglia e disagio, risolti immediatamente da qualche battuta ironica o autoironica di zia e tutto finiva in una grande corale fragorosa bolla iridescente di sapone, che aveva forma di labbra dischiuse al buonumore.

                               Labbra d’infanzia di latte e di panna.

                               Labbra di bianche perle di giovinezza.

                               Labbra concave di spietata vecchiaia.

Sì, quella tenera poesiola mi riporta a te, Anna Maria amatissima, e ai nostri ricordi in comune, ai nonni, a mamma, agli zii e a tutti i parenti e amici di allora. A quei tempi di rumorosa semplicità e di caotica armonia. Ad un mondo, almeno per noi bimbi, sereno. Un mondo, che oggi esiste solo nella memoria del cuore. E, in realtà, quei volti, quelle voci, quei profumi e quelle atmosfere di sorridente bonomia oggi li rivivo solo nell’anima ed è lì che ora tu sei e con te riscopro pensieri, storie, emozioni di allora. 

E quel rito del Natale si protrasse negli anni quasi intatto.

Nel tempo, è sparito il Presepe e sono comparsi gli alberi di natale (di finto abete), stracolmi di pacchi e pacchettini da aprire dopo la mezzanotte. I panettoni e i pandoro hanno sostituito quasi tutti i dolci fatti in casa. Sono comparse le chitarre ad accompagnare il canto di Natale nella Notte Santa, che via via si è andata arricchendo delle musiche d’oltreoceano, ascoltate attraverso la radio, il giradischi, il registratore, il televisore. Ed io, ora, non posso fare a meno di sovrapporre su tutte le voci la tua voce, e su tutte le chitarre la tua chitarra.

Alle voci antiche sono subentrate nuove voci e tutto ancora nelle nostre famiglie si ripete con alterne vicende e in case diverse dalle antiche case… e tu ci sei sempre stata e ci sei. Anzi, sei l’unica di noi sorelle ad aver riproposto il Santo Natale, per alcuni anni, nella tua casa di via Morandi, dove erano anche le nostre case, come ai vecchi tempi. Riproponendo atmosfere, prelibatezze e canti del passato. Tu l’unica di noi ad aver imparato da nostra madre l’arte della cucina delle nonne. Solo tu! Ma, qualche volta, io ho scritto anche della tristezza che mi pioveva addosso per un natale diverso e privo di fede dei nostri figli e amici dei figli, mentre noi conservavamo sempre la Fede quale alimento quotidiano dell’antica famiglia.

Roma saluto triste di notturno silenzio

spazio di stazione solitaria fioche luci

battito del cuore ansia divisa (…)

           Domani sarà Natale

Altre voci altri occhi altre illusioni

     Presenze    Mute    Chiassose

   Insieme attraversiamo il giorno

     (il giorno atteso dell’Attesa)

Ci traghetta un desiderio d’amore

al ritorno scontato e mai uguale

di un Natale d’alberi di plastica

vestiti di luci spogli di speranze

a concludere l’anno dai mille richiami

e un solo riscatto ipotesi di pace

sotto l’antica cometa che ci vuole

buoni e pacificati col mondo

         per una Notte sola.

        (Solo per una notte?)

 

Calda atmosfera di rosse candele accese

nella casa lontana ci accoglie mio figlio

cappuccio rosso e bianco di finta neve (…)

                  Mezzanotte

Scendono a farci compagnia ombre

di mai sopito amore eterno rimpianto.

In amari calici lo champagne saluta

anche questo Natale e scivola in gola

a spegnere l’arsura di un’angoscia

che sfiora di baci il nostro ritrovarci

                     SOLI

senza preghiere e senza canti

senza miracoli e senza prodigi

       senza stelle né incanti

Non più come un tempo magica

              questa Notte

Ma una tenerezza che scalda il cuore

infila l’uscio sotto la pioggia e il vento 

vola verso Sud e allaccia nodi a nodi

 in un ritrovato alone di mistero              

 

(che non si spezzi questa gòmena d’amore        

         chiedo al miracolo del Natale)

(“Natale romano”, stralci da: l.d.l. L’ora dell’ombra e della riva)  

E per oggi mi fermo qui. Ma continuerò a parlare di te con me e con gli altri, dei momenti più belli della nostra vita passata e anche più recente. Lina 

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