martedì 16 luglio 2024

Martedì 16 luglio 2024: ANNA MARIA e le sue infinite risorse vitali... (5)

Anna Maria carissima, oggi è la festa della Madonna del Carmelo, la festa sempre tanto attesa dell’onomastico di mamma da parte di tutti noi perché lei ci teneva tanto e tutti noi eravamo felicissimi di essere insieme nel cortile del gelso e le rose, tra mille colori e mille profumi estivi. Nel cortile, simile ad una fattoria, attraversavano i nostri occhi e i nostri giorni d’estate il cane (Lola) le galline il gallo e i pulcini le paperelle e le ochette gli uccellini (canarini cardellini l’usignolo il pettirosso), le tortore, i colombi. Poi, c’era la stalla con il cavallo fulvo, Fiorello. E sui fiori i petali in volo di bianche farfalle a deliziare il prato (farfallina bella e bianca/ vola vola e mai si stanca/ gira di qua e gira di là/ poi si posa sopra un fior… io e te cantavamo ad una voce). Il gelso rosso, le rose rampicanti sempre fiorite, il sole, il cielo grande. Il pergolato con pampini e grappoli d’uva rossa e bianca con una condivisione strana di zucchine a forma di lampioni di colore verde e arancione, molto decorative e squisite da mangiare. Facevano delicata ombra sul tavolo con la grande panca, entrambi di pietra, sotto la finestra della cucina con le porte laterali simili a enormi occhi accesi per illuminare le stanze della casa. E mi viene incontro un ricordo: una volta il nonno fece montare la pecora che, insieme ad una capretta, aveva comprato per procurarci, munto dalle sue mani, quotidianamente, il latte fresco, presso un pastore per avere un agnellino e tu, venuta in vacanza da noi, ti trovasti per caso ad assistere alla sua nascita per la curiosità inarginabile che ti contraddistingueva, nonostante i rimproveri di nonno Mincuccio, che non voleva che tu stessi con loro adulti nel cortile. Ma tu non si spaventasti minimamente come era successo a me qualche anno prima con i maiali. (Qui, però, si trattava di nascita, lì di morte). E questo mi serve per ribadire il tuo essere forte e coraggiosa in ogni circostanza della tua vita. Ma i ricordi non possono, oggi, fermarsi qui. La saracinesca divideva il cortile dalla strada, ma appena vi si entrava c’era sulla sinistra una buganvillea superba color ciclamino a dipingere gran parte del muro che si affacciava sul nostro meraviglioso cortile, ricco di archi e di tutte le nostre amate cose da cortile, compresa la finestrella con rose rampicanti e le foglioline tenerelle che si affacciavano ogni mattina a salutarci (Tra i rami del gelso rosso/ È fiorita la luna/ S’è impiastricciata di fuoco/ Le labbra/ Alla mia finestrella di rose/ S’è affacciata/ M’ha lasciato un bacio/E un sorriso/ (poi… è volata via) da: “Il gelso rosso, la luna e una finestrella di rose” (poesia inedita di a. d. l.)

Detto tutto questo, che non ha molta importanza rispetto a tutto il resto, voglio parlare di te e di quante ne combinavi non appena arrivava luglio e si profilava l’urgenza di racimolare un po’ di lire (un po’ tante!) per fare un bel regalo alla nostra adorata mamma. Era il tuo momento, per le tue tante “mission” impossibili. Questa forse più delle altre. Ricordi?

Intanto, tiravi a lucido la casa da sola, tutti i giorni, in men che non si dica. Eri un maschiaccio col viso di angioletto, poco celestiale e molto terreno: grandi occhi curiosi e larghi sorrisi di malizia e di allegria. La sua gioia di vivere! Poi, ti davi da fare per ben altro, con la segreta adesione di Lizia, perché amavamo fare i regali a tutta la famiglia e soprattutto a mamma, per il 16 luglio, e ai nonni che festeggiavano il loro onomastico per ben tre giorni, dal 2 agosto, la Madonna degli Angeli, al 4 agosto, San Domenico. Ti ricordi? Eravamo soliti festeggiare mamma e più tardi il tuo onomastico, il 26 luglio, Sant’Anna, che amavi festeggiare due volte per via di quella Maria che non dimenticavi mai, e poi quello dei nonni con un lungo strascico di visite, di auguri, di dolci e rosoli. Con fichi, gelsi rossi e rosse angurie. E l’immancabile gelato, di cui tutta la famiglia era ghiottissima. Come dimenticare quegli onomastici con “triduo” finale di festosa accoglienza di amici e parenti e conoscenti nella nostra casa del gelso e delle rose. In quelle circostanze, tu, oltre a tutto il resto, rivelavi tutta la tua intraprendenza: mentre io accumulavo le uova fresche che ogni mattina la nonna ci dava da bere e le conservavo accuratamente per nasconderle ad occhi indiscreti degli adulti, tu, munita di ampia borsa, di nascosto andavi a venderle a Pino, il nostro salumiere di fiducia, che tra l’altro era in affitto in un nostro appartamentino nel più ampio appartamento riservato a mamma e babbo al primo piano, con affaccio proprio sul nostro cortile, e sapevi contrattare anche sul costo di ogni uovo tanto da portare a casa e da me, che t’aspettavo al palo, una insperata sommetta, che ci permetteva di comprare dei regali anche abbastanza costosi e belli. Io non sarei andata a fare quelle “missioni impossibili” neppure sotto tortura. E neanche gli altri nostri fratelli e sorelle, nati via via col passare degli anni. Solo tu. E tu, in verità, ci provavi gusto. E saltellante e spensierata come una gallinella ti avviavi con il paniere delle uova, nascosto nella tua borsetta e in quella sempre più capiente della spesa, e te ne tornavi più leggera a passo di danza e con un’impagabile espressione di luminosa furbizia sul volto. Io t’attendevo sempre con apprensione sul marciapiede, per ulteriori complotti organizzativi. Tu, un vulcano con gli occhi, con la mente, con le mani. Un vulcano nel cuore. E non ti rivolgevi solo al nostro salumiere che, complice, sorrideva al tuo modo di essere così spigliato e risoluto, ma anche a Franceschina, la cugina acquisita di mamma, avendo sposato Pasquale, il figlio di zio Michelino che, aveva insistito col nonno, suo fratello, affinché dividesse il grande palazzo di via Generale Montemar, in due parti, essendo enorme per una figlia sola, nostra madre, sia pure con il seguito di ben sei figli. Ma, al tempo della divisione della casa, non tutti erano ancora nati.

Ebbene, prendevi le altre uova e le portavi su da lei e te le facevi pagare care, dicendole che servivano per i regali a mamma e ai nonni. Insomma, eri irrefrenabile. Col tempo siamo io e Mimmo,  Mingucc e Angelin, a continuare, sia pure da lontano, a mandarci gli auguri per un onomastico mai dimenticato. E pure Mimmo, nella circostanza, mi fa morire dal ridere per le sue battute autoironiche. Altre complicità, altri modi di sentirsi insieme. Ma nessuno di noi ti eguaglia quanto a gioia di vivere. Per questo anche babbo si lasciava vincere dalla tua esplosiva carica di vitalità e mal sopportava, la mia flemma, il mio romanticismo, la mia aria sognante, la mia esasperante lentezza nei lavori domestici. Facevo tutto all’ombra dei miei pensieri che vagavano ora luminosi ora cupi in un altrove che mi estraniava dal “qui e ora”. Io scrivevo e sognavo e basta. Anche soltanto con la mente, scrivevo. Anche soltanto con il cuore, scrivevo. Cantavo ancora, molto spesso (l’uccellino di gabbia non canta per amore canta per rabbia…, tutti a prendermi affettuosamente in giro). E ogni mia azione seguiva il ritmo del canto, che non era mai allegro e veloce, ma sempre languido, lento, lacrimevole, appassionato. Io e te, in queste cose, avevamo passioni diverse, ma sempre tanta complicità. E delle nostre complicità parlerò ancora perché erano tante e tutte legate alla tua intraprendenza e al mio venirti dietro a rimorchio, consapevole dei miei limiti e del tuo coraggio. Intanto, mi piace ricordare che mamma mi sollecitava a scegliere canzoni più allegre per svolgere le faccende domestiche con maggiore celerità: se ne sarebbero avvantaggiati l’orecchio, l’umore e la casa. Ma io non potevo rinunciare a sognare e a mettere fuori tutta la tristezza di una condizione di continua libertà vigilata, di mal sopportata sudditanza, di un amore folle e non sempre corrisposto in ugual misura. Le canzoni che parlavano di amori infelici erano il mio repertorio preferito. La mente vagava lontano e la possibilità di sbagliare era sempre molto concreta e vicina. Tu ridevi divertita nell’ascoltare il mio canto languido e sognante, così diverso da quello tuo: grintoso, arrabbiato, urlante ma quanto più efficace del mio! Sapevi che era nella mia indole perdermi nella musica e nelle parole e che niente e nessuno avrebbero potuto darmi mai un ritmo diverso. Un diverso appiglio. (Persino già avanti con gli anni e nonna, nei rarissimi ormai miei abbandoni al canto, ho fatto ridere figli e nipoti quando, un giorno, riproponendo il canto allegro e ironico di un presentatore della TV, mi sono messa a canticchiarlo con la mia solita passione sofferente di disteso infinito languore. E con una lentezza esasperata. Esasperante. Faceva più o meno così: “esilarante esilarante”(con voce baldanzosa e irridente). La mia versione fu: “e s i l a r a n t e      e  s  i  l  a  r  a  n  t  e         e   s   i   l   a   r   a   n   t   e”, interrotta dalla irriverente stratosferica risata dei miei cari ascoltatori che mi sollecitarono d’una voce: “più ritmo, mamma, più brio, essù!!!”. E i due nipoti a sbellicarsi dal gran ridere: “più swing, nonna, un po’ di allegria, dai… così ci fai addormentare!!!”. E tutti proprio tutti fecero un coro ballante di “esilaranteesilarante”, in una sarabanda che sembrava non dovesse avere fine. Ridemmo tutti fino alle lacrime. E la risata micidiale, anche se affettuosa, si ripropone ancora quando abbiamo un po’ voglia di scherzare sui miei limiti e sulle mie virtù). Come potevo piacere a mia padre che, pur amando la musica, il cinema, la letteratura, era un uomo concreto, legato alle ferree regole della vita militare, in cui ognuno doveva svolgere un compito ben preciso e senza commettere errori? Come potevo piacergli se era reduce da una guerra e una prigionia che gli avevano tagliato sogni e azzerato illusioni, di cui io ero irriducibilmente impregnata? Come poteva prendere in seria considerazione le mie inconsistenti fanfaluche lui che era abituato a leggere gli autori russi, francesi, americani di altissimo spessore letterario: Delitto e castigo, Guerra e pace, Anna Karenina, I fratelli Karamazov, Bel ami, I miserabili, Madame Bovary, Addio alle armi, Per chi suona la campana, Il vecchio e il mare, Uomini e topi?… Eravamo inconciliabili: emotivamente e affettivamente lontani anni luce.

Con te è stata tutta un’altra storia per una intera vita. E io sono stata sempre felice per te che eri, giustamente così amata da lui per la tua personalità così forte, poliedrica, determinata, volitiva. Senza mai perderti, come me, in mille rivoli di sogni ad occhi aperti e senza un minimo di concretezza. Tu, infatti, portavi a buon fine alla grande ogni impresa intrapresa. E sapevi scegliere ottimi regali, scontati al minimo prezzo possibile dai negozianti a cui ti rivolgevi. Io e Lizia ci affidavamo a te ciecamente perché noi non avremmo saputo fare altrettanto. Caratteristica che hai conservato fino ad alcuni anni fa, quando il primo ictus piegò la tua forte fibra ma non ti vinse. Poi… non voglio più ricordare… Continuo a viverti accanto con le mie parole, le mie lettere quotidiane. Le lettere che arrivano lassù sono come le lettere d’amore che sembrano voli di aironi o strascichi di stelle. Vanno. Illuminano. Non fanno rumore.  E dolcemente si posano sul cuore. In una carezza che non può morire.

E oggi festeggi anche tu con mamma, che hai tanto amato e che tanto, insieme a babbo e a tutti gli altri, ti ha amato, il suo onomastico che si perpetua in quello delle nipoti che continuano a portare il suo nome, modificato in qualche modo, ma sempre di Carmela si tratta...

E mi fermo qui. con un abbraccio a tutti voi che state facendo festa tra gli angeli e le stelle. Lina

 

 

 

 

 

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