giovedì 2 novembre 2023

Giovedì 2 novembre 2023: Giorno dei Morti, giorno della Memoria, giorno annidato nell'Anima...

Parte II: La Memoria

i nostri cari defunti, annidati nell'anima e sempre presenti ai nostri giorni, mi permettono di parlare del secondo punto delle mie riflessioni: la MEMORIA.

La memoria è un faro che accende di luce il nostro passato: resterebbe buio e indistinto se non conservassimo a tratti squarci di visioni antiche che si nutrono di voci, immagini, suoni, odori, sapori, emozioni, parole… illuminando anche il presente: dalla invisibilità alla visibilità degli oggetti e delle decisioni riguardanti quegli “oggetti”, dalla indecidibilità alla decidibilità delle situazioni, dall’inaspettato prodigio o disastro all’attesa o alla scongiura dell’accadimento, dalla impalpabilità dei sentimenti alla palpabilità del cuore. 

Ecco perché memoria è “tutto ciò che si deve ricordare ma soprattutto quello che non si può dimenticare”, tanto è inciso nella mente e nell’anima.

Segno e senso del nostro brevissimo passaggio esistenziale su questa terra.

Guai se quel faro si spegnesse, saremmo tutti naufraghi alla deriva, senza più contezza di noi, del tempo, dei giorni, delle ore; del mare e del suo splendore, delle notti rischiarate dalla luna o ricamate dalle stelle; dei nostri amori e dei nostri rancori, dei sogni e dei desideri; dei passi d’erba e delle orme cancellate sulla sabbia del tempo che dimentica. Del vuoto della mente e del deserto del cuore. Della gioia e del dolore. Dei rimpianti e delle speranze. Dell’attimo in cui ci colse l’emozione di uno sguardo perdutamente innamorato, da non perdere negli anni a venire o da cancellare nel breve spazio di una notte SENZA stelle. Se mancano le stelle il buio ci avvolge e cancella il coraggio di osare, di andare oltre per ritrovarle. Niente di più disumano del perdere la memoria e con essa identità e dignità. Chi restituirà al malato di Alzheimer la memoria dei giorni vissuti, degli affetti radicati nel cuore e smarriti nelle tenebre del non ricordare? E non sapere più di essere madre/padre, figlia/figlio, moglie/marito? Non ESSERE perché essere SENZA. Disperazione, al loro fianco, di quanti sanno e ricordano. Senza attesa. Senza speranza. Senza storia. SENZA. Un senza che apre un baratro, un abisso, il nulla.

La memoria, invece, è una pagina piena di ricordi che la mente traduce in parole per definire una storia al passato. È pienezza, non mancanza. È, paradossalmente, presenza, non assenza. Quanto importante la narrazione, quel filo luminoso che si accende di mille colori per portare il passato, anche remoto e remotissimo, al presente. Un resistentissimo nodo gordiano che unisce le passate generazioni alle presenti perché si rinsaldino vincoli di sangue o di profonde intese. Gli antenati che si vestono ai nostri occhi di tanti “forse”… e di innumerevoli “se”, che neppure i libri di storia antica riescono a dissipare, si affacciano sui balconi del presente per donarci dubbi ben più pensierosi e consistenti per il futuro…

La memoria di cui parlo, infatti, non si veste del fragile tessuto della nostalgia o non si curva sulle linee esauste di un corpo ripiegato e sconfitto, né si rifugia nei secchielli colmi di mare dell’infanzia, magica e dorata, nei riccioli al vento degli aquiloni che mai più saranno, ma si fonda sul presente e sul futuro perché riscopre in ogni passato il Valore irrinunciabile della sacralità della vita in tutte le sue innumerevoli foglie, che rinascono ad ogni attesa primavera. In ogni stagione vissuta. Da vivere.

E, oggi, è un Valore, che colma l’attuale disagio del “pensiero debole” (Vattimo-Rovatti) per farsi, nel terzo millennio, fra migliaia di terribili marosi di un presente alla deriva, nuova “forza” e “pienezza”, per irradiare, nella nostra società planetaria, nuovi stati di coscienza individuali nel loro farsi “consapevolezza collettiva” in una sorta di “correlazione universale” (come ci ha suggerito la compianta Silvana Folliero nel sostenerci a realizzare il Sogno/Progetto di aprire una “Casa editrice altra” circa vent’anni fa), attraverso un rinnovato “pensiero forte”, titano della comunicazione anche virtuale e della conoscenza scientifica e tecnologica del mondo. “Scienza e Coscienza”, dunque, sempre più si dilatano fino a comprendere la “coscienza delle cose” e la “fiducia nella tecnologia e nella comunicazione digitale”, che diventa, utopisticamente forse, fiducia in possibili coinvolgimenti di tutti e di ciascuno per realizzare una umanità migliore. Una umanità, che dovrebbe fare della solidarietà e della speranza i suoi punti di forza; dell’intelligenza e della comunicazione di massa i solidi ponti di “interesistenza” tra gli uomini, perché la memoria si faccia possibilità di “rinascita” e di “rigenerazione” (vedi il Protonismo di Gjeke Marinaj).

Ma potrebbe accadere il contrario e sarebbe la distruzione della intera umanità.

Una possibilità che non voglio neppure prendere in considerazione perché ho fiducia nella coscienza dell’uomo, che saprà fare tesoro della scienza e della fede (coscienza), come è sempre accaduto nella storia dell’umanità, altrimenti ci saremmo già estinti da lungo tempo.

Ritengo, però, che la storia non sia “magistra vitae” (Cicerone) perché ancora oggi vale per l’uomo contemporaneo il grido di dolore di Salvatore Quasimodo: “Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo…”. Pure, nonostante la sua natura immutabile, l’uomo ha risorse di mente e di cuore per scongiurare di volta in volta, nei millenni, la sua autodistruzione.

La memoria, allora, si fa attimo di ogni presente che vive il possente fulgore dei guizzi di conoscenza del passato e si affaccia al futuro. Nel passato, i germogli del presente, e degli scenari che si potrebbero configurare lungo i passi che il tempo concede ai nostri domani. Ci saranno sempre nuovi viandanti a proseguire il viaggio lungo i sentieri ritrovati della nostra storia oppure cercati e scoperti o, ancora, via via tracciati perché si facciano storia.

La memoria è, dunque, paniere di tutti i fiori e i frutti, vitali e propulsivi, dell’umana esperienza, individuale e universale.

La memoria è anche, o forse soprattutto, forza catartica, invincibile emozione, profondo sentimento. Chiaroveggenza e Speranza. Epopea di epiche risonanze di terre e di universi.

Scultura di Volti di uomini incisi nelle pietre che raccontano innumerevoli storie che, come fiumi aventi sorgenti lontane, si riversano insieme, dopo lunghi viaggi individuali, nel grande oceano della Storia universale.

Di solito, queste innumerevoli storie non ambiscono a ritrovarsi nella grande Storia, si accontentano di poco: fare, per esempio, tenera compagnia alle persone anziane che vivono di ricordi più che di progetti.   

E, del resto, la storia non è mai come viene raccontata, ma come viene vissuta; si ha persino paura di dover fare i conti con una storia dell'umanità mai vera e sempre inventata dal cronista di turno o dal saggista di parte (per ideologia politica o partitica, per formazione culturale, per convinzioni personali…) e dall’archivista che la ricostruisce con pazienza certosina, mai realmente libero di approdare alla “verità storica”, eterna utopia.

Dove la “verità storica”, allora? La storia è o non è fondata sulla memoria? Ma la memoria, come già osservato, non sempre racconta la verità. E, dunque? Quando si può parlare di “verità storica”? Quando si va a cercarla nei racconti dei nonni o quando ci affidiamo a documenti più concreti e oggettivi come graffiti nelle grotte millenarie dei nostri progenitori, scavi e reperti di una certa era storica, monete antiche, iscrizioni, epigrafi, stele funerarie e monumenti che resistono al tempo o le loro stesse rovine? Cercare costantemente eventi con effetto “domino” di cause e conseguenze e sentirsi autorizzati ad avere certezze sui comportamenti umani che sortiscono sempre gli stessi effetti, se motivati dalle stesse cause, sia pure in tempi e luoghi diversi, oppure nutrirsi di dubbi sulle interpretazioni perlopiù soggettive di eventi raccontati in maniera del tutto arbitraria e spesso con opposte testimonianze e dichiarazioni sui vari accadimenti?

Forse sarebbe opportuno, come sosteneva Benedetto Croce, rifarsi alle fonti dirette e indirette degli accadimenti storici, evitando ogni coinvolgimento emotivo in riferimento all’“oggetto studiato” per consegnarlo al lettore come pura “conoscenza dei fatti”, ma questo metodo non mi convince molto. Non amo la cronaca triste ed essenziale della “conoscenza dei fatti” che ne fanno i cronisti sulle pagine di un Quotidiano locale o nazionale, oppure gli studiosi nei loro libri di storia.  Ciò vale soprattutto per la cronaca quotidiana di altri periodi storici alle prese con varie emergenze per la salute e per il pericolo di decimazione dell'umanità: la peste, la lebbra, la spagnola, la malaria, l'asiatica, la terribile SARS, diffusasi nel 2002, quindi nel XXI secolo, dalla Cina e definita già coronavirus, con le stesse caratteristiche di sofferenza polmonare a chiudere alveoli e cuore, ormai disperatamente note, del Covid 19.

La stessa aridità è riscontrabile anche cercando notizie di guerra, altro flagello per il   genere umano. La Prima e la Seconda guerra mondiale, per esempio. Per delimitare la ricerca al "secolo breve" eppure “lungo” di lutti e di dolore, e arrossato dal sangue di tutte le altre guerre devastanti nei vasti territori del pianeta Terra. Tutte le cronache sono uguali. Narrano i fatti. Che sembrano veri, tanto sono dettagliati con luoghi, vittime, circostanze, indici statistici. Fatti non fanfaluche...

Tutto sembra chiaro e inoppugnabile. Eppure, in quegli articoli così bene articolati, non è difficile rilevare l'assenza della paura, l’ansia dell’attesa, il tremore per il nemico ad “un tiro di schioppo”, o la mancanza di qualsiasi altro sentimento negativo o positivo che sia.

Quando a scuola studiammo  la storia della Grande Guerra non rilevammo, al di là dei fatti narrati con asettica precisione, la tentazione di una fuga, il fremito di una lacrima, la commozione di un incontro, il sollievo per lo scampato pericolo, lo strazio di sapersi vivo mentre una granata squarciava il cuore del compagno appena a un palmo dai pantaloni alla zuava del soldato in trincea; non il canto nostalgico di chi guardava le stelle e si accendeva una sigaretta per abitudine, subito spenta per precauzione col nemico appena a pochi passi oltre la trincea, e pensava alla sua ragazza lontana "ohi vita ohi vita mia". E i partigiani e la Resistenza "oh bella ciao, bella ciao, bella ciao". E il Vietnam con il canto amaro e nostalgico di Gianni Morandi "c'era un ragazzo che come me" e giù lacrime di solitudine e di commozione.

Solo numeri, dati, statistiche in quell'apparente verità obbiettiva dei fatti narrati. Senza fremiti, lacrime, sorrisi. Senza. Anche qui il “SENZA” mi spaventa.

Io ho fatto sempre tesoro dei racconti di Guerra di mio nonno: nelle sue parole senza lacrime, ma evocative e sicure, c’era la verità da me sempre cercata invano nei libri di storia, nelle lezioni dei proff. di Storia e Filosofia.

L’unica verità possibile era racchiusa nei suoi racconti che avevano per noi sapore di fiabe antiche per non turbare la festa innocente dei nostri giorni ignari di violenze e lutti e dolore. Mio nonno antesignano di Roberto Benigni nel suo film “La vita è bella”.

Sì, per fortuna, la memoria viene rigenerata continuamente dai ricordi, che fanno parte della storia individuale e riportano al cuore (ri-corda-re) storie vissute in prima persona nel passato.

E la memoria, come mamma amorevole, nutre i ricordi quasi fossero suoi bambini, a cui ogni sera racconta fiabe, cominciando con quel “c’era una volta” che indicava un tempo indeterminato perduto nella notte dei tempi o nel bosco della dimenticanza. Ma, in reciprocità amorosa, anche i piccoli, i ricordi appunto, offrono alla mamma, sempre più smemorata con gli anni che passano in fretta, il loro sollecito aiuto, sostenendola nel far rifiorire, nel tempo, le tante storie da rivivere perché non muoiano mai del tutto. E storie raccontano le mie poesie…

E sei                                                                                        

E ricordati io ci sarò.                                                 

 Ci sarò su nell’aria.                                                                                       

 Allora ogni tanto,

 se mi vuoi parlare,

 mettiti da parte,

 chiudi gli occhi e cercami.

 Ci si parla.

Ma non nel linguaggio delle parole.

 Nel silenzio.

 (Tiziano Terzani)

Nelle rose che il giardino nasconde

geloso agli occhi dei passanti

Nei petali che si sfogliano

sul tavolo insanguinandolo d’amore

Nel gelso rosso che volli a ricordo

Nei vasi spogli del terrazzo sfiorito

Nello scrigno dei segreti e dei sospiri

Nell’oro delle fedi abbandonate

Nella sedia vuota e nelle canzoni

Nel senso e nel nonsenso quotidiano

che mi riporta a ieri o forse a domani

Sei nell’anima

e lì ti lascio per sempre

Sei…

in tutto ciò che non si può negare

 (si dissolve agli occhi
con trame di tenerezza

una fotografia di memorie

nei chiaroscuri della nostalgia)

Ma mi piace riportare qui la poesia del mio amico Luigi Lafranceschina, che ama come me la tradizione del dolce dei morti, la “Colva”. La mangeremo stasera con i nostri cari, vivi come non mai nel nostro cuore.

<Oggi, 2 novembre, è il giorno della commemorazione dei defunti comunemente detto giorno dei morti, ma è anche il giorno della COLVA, il dolce tradizionale della Puglia che risale addirittura alla Magna Grecia e che va ormai scomparendo insieme al mondo contadino e al dialetto. Considerato il dolce del giorno dei morti, in realtà esso è un inno alla vita essendo il grano simbolo della vita e la melagrana e la noce simboli di fecodità e di fertilità.

 

IL DOLCE DEL GIORNO DEI MORTI

Il due novembre di ogni anno

Giorno del grano dei morti

Il profumo della colva

Piacere e gusto della vita

Esorcizza la morte

In agguato dietro la porta.

Il dolce dei nostri padri

Una macedonia di simboli e di frutti

Grano cotto a ricordo dei defunti

Amalgamato con maestria 

In un piatto fondo di coccio

Con uva bianca la loro anima

Chicchi di melagrana i loro occhi

Gherigli di noci le loro ossa

Vin cotto di fichi il loro sangue

Scaglie di cioccolato la loro vita

Spesa bene nel lavoro e negli affetti.

A sera la festa della colva

Presenti amici e parenti

Che impazienti di gustarla

Tutti con l’acquolina in bocca.

Ma prima l’Eterno Riposo

Alle anime del Purgatorio

Poi via libera alle tazze ricolme

Goduria sulla soglia del palato.

E con gli elogi a voce alta alla colva 

Anche quest’anno cala il sipario

Sul dolce del giorno dei morti!>

(Luigi Lafranceschina)

Anche oggi mi fermo qui. E già parliamo dei “ricordi”, parte terza delle mie riflessioni di questi giorni. Grazie perché condividete con tanto affetto le mie parole…

1 commento:

  1. Quando ho incominciato questa lettura, mia cara Angela, non immaginavo di trovarmi di fronte ad una lectio universitaria di livello, in cui si coglie alla perfezione l'importanza della memoria e dei ricordi, belli o brutti che siano. La storia della nostra vita si riempie delle cose importanti che ci restano dentro, e altre effimere che finiscono nel dimenticatoio. Coltivare le prime è salvezza e sicurezza di vivere, non di vegetare.

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