martedì 31 ottobre 2023

Martedì 31 ottobre 2023: il Tempo, la Memoria, i Ricordi, il Canto e il Disincanto (parte prima)...

In un silenzio di lune

                    su lastricati di luce

      la notte va zigzagando

                (accende persiane chiuse

        l’intimo respiro

                    estraneo al mondo)

 

   Occhio d’acciaio

       imperlato di lacrime

       Quotidiana lucida follia

            ai nostri giorni

            privi di senso

                           (a.d.l.)

Desidero in questi giorni soffermarmi a parlare del tempo, la memoria, i ricordi. Mi sembra opportuno e necessario, anche se lo farò a puntate. Stiamo transitando da ottobre a novembre ancora con tanto sole, almeno qui al Sud, e stiamo transitando da una guerra feroce ad un’altra che ci terrorizza e ci riempie di sgomento e domani la chiesa festeggia tutti i Santi e dopodomani tutti ricordiamo i nostri cari che non ci sono più e ci portiamo nel cuore. Che senso hanno la vita e la morte in tempo di barbarie come questo? Il tempo…

Parte I: Il Tempo

Stiamo vivendo, dunque, un anno estremamente difficile, di cui si conserverà a lungo memoria.

Proprio vero. Non ricordo più chi abbia detto che “la memoria non riguarda solo quello che si vuole ricordare, ma soprattutto ciò che non si può dimenticare”.

E, infatti, difficilmente si potrà dimenticare, nei secoli a venire, questo nostro tempo: tempo di timori, paure, terrori. Tempo di contagi, di morte e dolore. Ma anche tempo di lotta, coraggio, forza, solidarietà, speranza, salvezza. Tempo di vecchi che muoiono e di bambini che nascono, perpetuando il senso dell’inevitabile Oltre e rinnovando il miracolo della Vita.

 Il tempo: una parola senza tempo. E, per questo, difficile da spiegare per comprenderne il mistero. Ci provo a modo mio.           

               Il tempo ci comprende o siamo noi a sentirci compresi nel tempo?

                                 Il tempo passa o siamo noi a passare nel tempo?

                                         Tempo lineare - tempo circolare?

Tempus fugit. Tempo virgiliano tempo oraziano. Il mio il tuo tempo, che dell’eternità ci regala l’attimo, infinito presente in cui siamo ciò che mai siamo stati e mai più saremo.

In ogni attimo l’Io nella sua pienezza di ESSERE in quell’istante.

Pure, il tempo ha passi di viandante a percorrere strade e vie e sentieri tra case addormentate e un risveglio d’alba che sa l’aurora e preannuncia il giorno.

Lascia orme sui percorsi innevati dei monti, e passi incauti tra campi di ulivi alla collina. E tralci di viti ubriachi di sole. E vino nei calici dei giorni della festa e dei sorrisi.

Ha un incedere attento tra l’erba dei prati e lucertole e sassi di ogni possibile inciampo. Ride di buonumore al rosso portafortuna delle coccinelle dai sette punti neri che fanno eleganza e tanta allegria.

S’annida nella casa, tra serti di braccia di chi si ama, e spine dolenti di chi si odia e nasconde coltelli in sotterranei anfratti del cuore. E si sgomenta di tristezza.

Il tempo, accogliente o diffidente, incontra gente amica o sconosciuta, si gira indietro al richiamo nostalgico del pianto dell’amato perduto o del sogno irrealizzato.

Segue un destino di mete e di realtà sognate e spesso vanificate dall’inganno di un miraggio nel deserto dell’anima in disuso e prigioniera di rancori mai spenti, che ravvisano un nemico nello straniero della porta accanto. E lo straniero guarda cupo il traguardo azzerato, la casa abbandonata, la terra, la culla… e il miraggio della “terra promessa”, luogo d’incanto per bellezza forza lavoro e libertà.

Vola il tempo sulla disperazione e il rimpianto, sul pianto che fora l’azzurro per raggiungere il Cielo a ritrovare una voce che non ha più voce…

Vola tra aerei e aquiloni e stelle e pianeti. Gira intorno al sole e s’incanta di luna. Sfiora universi e galassie e dubita di misteri gravitazionali e quantici, che poi accoglie per farsene una ragione.

Precipita in buchi neri dell’umana esistenza: Pandemie e virus mortali. Guerre e distruzioni. Perdite e lutti. Pianti irrefrenabili o silenziosi. Muto vero Dolore e falso dolore urlato, esibito. Solitudini obbligate oppure scelte in libertà. Tempo strangolato.

S’impiglia tra le antenne sui tetti delle case e s’aggrappa alle code degli uccelli in migrazione.

Pigola tra passeri e pulcini e chiude gli occhi al canto del gallo e al terzo tradimento. Svetta sul volo dispiegato di falchi e poiane, e canta tra le ali della paradisea e dell’airone. S’incanta all’assolo dell’usignolo e al garrire in coro delle rondini in festanti voli.

Plana lento sul grido strozzato dei gabbiani, e si tuffa negli oceani da cui ebbero origine i mari.

Naviga tra lo scintillio di acque calme a specchiare zaffiri e smeraldi e diamanti di cielo e s’infuria tra i marosi in tempesta e gli scogli appuntiti di ogni rimpianto. Di ogni vana gelosia all’invidia malcelata per chi arriva prima e alza il trofeo della vittoria al Cielo per ringraziarLo dei doni ricevuti e meritati. Freme di sdegno per chi non si arrende all’evidenza e per la sua arroganza e falsa sapienza. Per la sua follia di essere al di sopra delle parti. Per la sua inevitabile solitudine.

E conosce il segreto delle maree e dei lupi mannari che ululano agli occhi stupiti della signora del firmamento, oscurandone l’incanto.

Ascolta con le barche addormentate la nenia della risacca contro vento.

S’inerpica sui pensieri che dondolano d’altalene tra gli alberi spogli e quelli in fiore. Rischia gli abissi tra fondali insondati di coralli e velieri e tesori nascosti in galeoni affondati, depredati e distrutti dalla mano rapace dell’uomo che non teme coscienza e sapienza dell’eterno andare per scoprire e conoscere.

Prega tra le mani del Cristo degli abissi e s’inabissa tra tormenti e trasalimenti, tra schianti dell’anima alla deriva di ogni perché.

Risorge sulla schiena inarcata dei delfini e medita tra guglie di cattedrali gotiche e s’insuperbisce di castelli federiciani (e non), e archi di trionfo d’antico splendore.

Versa lacrime lungo i muri del pianto e rinasce negli occhi immensi dei bambini alla prima fiaba, al primo gioco con le manine, al primo sguardo della mamma, al primo germoglio in fiore che annuncia il risveglio nel pudore rosato di mandorli e ciliegi, baciati dalla primavera (Neruda). E s’innamora di un canto d’amore. Di una serenata ormai dimenticata e lontana nel tempo che non perdona.

Si colma di sole nei secchielli di sabbia tra mani bambine e sogni di barche addormentate nei porti, che sentono la tristezza della solitudine del faro e lo schianto dei gommoni alla deriva di una estate che ignora storie di fughe e di fame di guerre e di abbandoni sulla pelle abbronzata dei turisti multimiliardari e le loro arroganti imbarcazioni. Segue la meraviglia dei velieri e le regate di vinti e vincitori.

Piange con le piogge di settembre e s’infilza sulle cime acuminate dei cipressi che vegliano urne di morti abbandonate o protette da crisantemi e cespugli di rose.

Sorride alla stella cometa che sfida il gelo e indica agli “uomini di buona volontà” la meta e la divina culla. La Rinascita e la Speranza. La ciclicità della vita e le stagioni. La lunghissima retta di lunghi anni contati in secoli e millenni. La rivincita dell’uomo che si eterna.

Dove c’è un bambino c’è una fogliolina verde che fremita di futuro…

Il futuro, un eterno ritorno! Per ritrovare il senso della nascita e le radici. Il senso della morte e della sacralità di ogni sguardo verticale. Di ogni “muro d’ombra” attraversato.

Passano gli anni e le stagioni. E dei mortali gli amori e le generazioni.

Passano o restano nella memoria del mondo e dell’acqua che la conserva nel suo eterno scorrere e divenire?

Immortale resta il tempo che si eterna nella Volontà di una Energia d’Amore che lega i sottilissimi fili dell’ordito e della trama di ciascuna Creatura in forte attrazione, e connette ogni particella del Creato al suo Creatore. Che sa l’aurora e il tramonto, lo spuntare del filo d’erba e il maturare del frutto, lo scorrere dei fiumi e il disgelo delle nevi. Il tempo giusto di ogni accadimento. La perfezione di ogni creatura nella sua stessa imperfezione e contraddizione. In ogni disgiunzione. Nell’incanto di ogni possibile nuova congiunzione.

E vigila sul buio della notte accendendo sogni come stelle sul misterioso canto della Vita…

E, nel buio di ogni notte, ecco accendersi nella nostra mente la memoria, che fa a gara col tempo e lo vince.  E, questo nostro tempo, è tempo di memoria più che mai.  Ma è tempo di canto, incanto, disincanto. Anche le poesie raccontano il tempo e l’anima.

L’anima ancora stanca

Questo ottobre così difficile

da vivere mi stanca.

Stanca della doppia faccia

della luna.

Stanca della doppia ansa

del fiume.

Stanca di me con l’anima

agli occhi.

A doppia mandata le tante realtà

da dover vivere

senza mai una chiave di verità.

E ottobre sta per consegnarsi

a novembre in un silenzio

d’attesa.

(fuori fragore di gente

 violenta rabbiosa divisa

 che sa fare solo rumore

         senza stancarsi mai…)

nel cielo d’ottobre

è un languido rincorrersi di stelle

questo cielo frantumato di sole

che ha onde sfinite

nel languore di un ottobre

che piange di ruggine foglie gialle

e ali di colombini 

che da solitudini terrestri

cercano un volo breve

tra i rami del giardino.

Sogno un autunno visionario

che mi danzi nell’anima:

la fanciulla dal bianco cappello

ha fiori rossi intrecciati sulla tesa

e lunghi sogni imbrigliati

tra i capelli d’oro e di seta.

Buffo il cagnolino biondo

morbido tra le braccia ansiose

della padroncina nell’azzurrità

che fremita di passate primavere

e sogna quelle che verranno

se le saranno concesse.

E intanto incalza l’autunno

(io smemoro pensieri

 che non vogliono pensare)

I corvi neri di fine ottobre

     Dai corvi neri dei pensieri

mi libero con dita d’acciaio

che scavano versi nel sangue

dei ricordi e li scaraventano via.

Non ti fermare al mio sorriso

arcobaleno che si rifrange

nel mare dei sogni inascoltati

è un vizio che non m’abbandona

da quando bambina

assordavo le stelle con la risata

del mio dolore.

E cantavo oh quanto cantavo

con labbra di papaveri e ciliegi

e zucchero filato per addolcire

il fiele di ogni distacco.

L’assenza.

E spianare la ruga

della malinconia mia identità

mai perduta

neppure ora che è tempo di castagne

rovi e frutti di bosco blu come le more.

Oggi che i vuoti sono squarci

nel lacerato vestito della festa.

(Lasciami il sorriso di un rattoppo

  a fingermi un ricamo d’erba…)

2 novembre

    ... schegge taglienti

di ricordi a ferire il cuore

che più non ha riparo,

stanco di lottare col quotidiano

dolore del mondo alla deriva.

Ma nel giardino sorridono rose

prima che il buio vinca la sera.

E voi mi venite incontro

come allora quando le parole

sostituivano carezze e silenzi

e si facevano richiamo d’amore.

Voci di fiabe, preghiere e lumini accesi

oggi dimenticati…

Voci a ricordarmi parole antiche

e nuove e mai poche mai tante:

Siete con me. In me. Ci siete.

(accorrete come sempre lievi,

con passi e braccia e mani

         a soccorrermi,

di anno in anno più numerosi e vicini.

            Più vicini ai miei anni

prima che mi sorprenda, muta di carezze

e fiaccole accese,

                          la notte

chiusa nel palmo della mano

                             ad un passo dal Cielo)

A domani. E chiedo scusa a chi si è annoiato per i miei svolazzi lirici sul tempo. Forse solo perdita di tempo…

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