venerdì 30 ottobre 2020

Passi d’autunno

… e venne settembre (2020)
E venne il vento di settembre
e mi scoprì paura.
Mani di ruvida corda.
Passi di pietra incatenati
a scogli di mare scuro
 catramato immobile di sale.
Mi scompigliò i grilli dei capelli.
Fuggirono pensieri sui velieri
in secca e senza vele.
Venne settembre e piansi
- occhi senza lacrime -
e sciolse ogni dolore nella sera.
Accese un lampione di luna
- cielo in frantumi
stelle addormentate
sul filo del ricordo dimenticato:
ottobre di rose e di spine -
E fui racconto di gloria appena
cominciato e già spezzato
a metà di una notte rossovino
e scale precipitate
abisso di ogni inferno
mai abitato.
Lembi di sole ha settembre
in dono oltre il vento
su lacrime già piante
- prodigio che allaga il cuore
i primi passi a volo di gabbiano -
Mare mare mare mare mare
Nella mia casa sorriso di foglie
- oceano attraversato -
settembre si àncora
                    al tetto del cielo
     Luna immensa luna
impazzita di stupore negli occhi
(“Rondine” festosa di ritorno
          DEVO ESSERE
  con passi di danza… di me)
 
Stanchezza nell’anima stanca
Stanchezza nell’anima stanca
che lotta contro scogli aguzzi
dove a brandelli sanguina
il corpo lacerato che non sa
più volare né immergersi
tra i flutti che spumeggiano
di bianca trina in superficie
e conservano rossi coralli
nei fondali che beffe
si prendono di forzieri
di perle di mare e di velieri                
        senza vele
 
Dono di conchiglie ha settembre
Nuvole basse ha settembre
e un grigiore di madreperla
fermo sulle ciglia addormentate
del cielo perso di stanca malinconia.
Mi pervade assenza d’azzurro.
Mia figlia ha dono di conchiglie
E lunghe storie di sirene e nostalgie
(fragile ampollina a raccontarmi
   il suo AMORE e il mio MARE)
 
Ha bagliore di acceso tramonto
Ha bagliore di acceso tramonto
questo ottobre bambino
che si veste di meraviglia e di sogni
per ogni foglia che vola e non cade
Lievità dei giorni scrostati dal grigio
dei bui pensieri su ali di vento
del tempo che mi è nemico
e mi soffia alle spalle
per darmi passi veloci
E l’autunno da attraversare
E l’inverno di neve ad attendermi
con i camini accesi e le scintille
su cui perdere occhi e sorrisi
prima di andare via.
Ma ora è tempo di tenerezza:
le mani che raccolgono rubini
e topazi che la natura sparge
tra solchi assetati di pigolii lontani
e spenti di fiori inariditi
 Incanto di nuovi ardori fiorisce
sulla punta delle dita
per raggiungere il cielo
con un bacio sbocciato di rosso
tra labbra di miele e velluto
(s’innalza ardente fiaccola
 dell’anima bambina
muta come di preghiera…)
 
L’anima ancora stanca
Questo ottobre così difficile
da vivere mi stanca.
Stanca della doppia faccia
della luna.
Stanca della doppia ansa
del fiume.
Stanca di me con l’anima
agli occhi.
A doppia mandata le tante realtà
da dover vivere
senza mai una chiave di verità.
E ottobre sta per consegnarsi
a novembre in un silenzio
d’attesa.
(fuori fragore di gente
violenta rabbiosa divisa
che sa fare solo rumore
senza stancarsi mai…)
 
nel cielo d’ottobre
è un languido rincorrersi di stelle
questo cielo frantumato di sole
che ha onde sfinite
nel languore di un ottobre
che piange di ruggine foglie gialle
e ali di colombini 
che da solitudini terrestri
cercano un volo breve
tra i rami del giardino.
Sogno un autunno visionario
che mi danzi nell’anima:
la fanciulla dal bianco cappello
ha fiori rossi intrecciati sulla tesa
e lunghi sogni imbrigliati
tra i capelli d’oro e di seta.
Buffo il cagnolino biondo
morbido tra le braccia ansiose
della padroncina nell’azzurrità
che fremita di passate primavere
e sogna quelle che verranno
se le saranno concesse.
E intanto incalza l’autunno
(io smemoro pensieri
che non vogliono pensare)
 
I corvi neri di fine ottobre
Dai corvi neri dei pensieri
mi libero con dita d’acciaio
che scavano versi nel sangue
dei ricordi e li scaraventano via.
Non ti fermare al mio sorriso
arcobaleno che si rifrange
nel mare dei sogni inascoltati
è un vizio che non m’abbandona
da quando bambina
assordavo le stelle con la risata
del mio dolore.
E cantavo oh quanto cantavo
con labbra di papaveri e ciliegi
e zucchero filato per addolcire
il fiele di ogni distacco.
L’assenza.
E spianare la ruga
della malinconia mia identità
mai perduta
neppure ora che è tempo di castagne
rovi e frutti di bosco blu come le more.
Oggi che i vuoti sono squarci
nel lacerato vestito della festa.
(Lasciami il sorriso di un rattoppo
  a fingermi un ricamo d’erba…)
 
Vedrai
Passerà questa stagione
di nuvole basse
a soffocare il cielo.
Passerà l’ombra degli uccelli
scuri sulle pietre degli inciampi
e delle desolazioni mute.
Passerà - vedrai - il vento
di levante a confondere
il canto delle foglie
con i nidi vuoti d’autunno
abbracciati al mare della sera.
Ci sarà un ritorno di lucciole
a capovolgere il cesto delle stelle
e col retino che ti diedi bambina
riuscirai a catturarne tante
per averne sempre una di riserva
a scaldarti le mani,
a vincere il buio e la strada vuota
al fiorire dell’alba.
Ci sarà e sarà festa di bandiere
e di luminarie e di prati in festa
e avrai una veste di mille sorrisi
e un solo cuore nascosto
nelle tasche di altri domani
per non fare rumore.
E sentirai la musica di mille
chitarre e un solo violino
e danzerai ballerina e acrobata
sui trapezi impazziti di sole
e troverai il sogno un tempo
azzerato più vero tra la tua casa
d’erba e il fiore rosso rubino
della tua bocca in fiore.
Intrecciati i fiumi azzurri
dei tuoi capelli d’oro e di fieno
blindati tra corone di coralli
e perle e cristalli e fili d’ambra
contro le spade di briganti
e avventurieri a trafficare
con piogge di lacrime mai versate
o forse taciute
e che mai più verserai.
E sarà chiaro di luna sui profili curvi
dei tuoi ragazzi innamorati
a trattenere l’eternità in un bacio…
 (E sarai due volte madre e felice                         
                    accadrà vedrai)

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