Ho avuto la fortuna di incontrare Gianni Rodari in una giornata di fine febbraio in una scuola elementare del mio paese, verso la fine degli anni Settanta del secolo scorso. Giornata all'insegna della fantasia e della creatività. Lui, il grande autore di tanti libri per bambini, smilzo, dinamico, sorridente, era in mezzo a noi simile ad un folletto che inventava storie lì per lì, facendo fiorire nell'Aula Magna dell'Edificio scolastico mille parole magiche da abbinare tra loro con assurdi intrecci per divertire grandi e piccini, creando un'atmosfera surreale tra sogno e realtà. Noi lo seguivamo incantati dalle sue mille arguzie e incatenati al gioco del pozzo senza fondo da cui tirare su le parole da combinare per inventare, costruire, volare. Giorno infinito senza fine. Ma ogni cosa umana ha un inizio e una conclusione e anche quella meravigliosa giornata di gioiosa immersione in Gianni Rodari ebbe fine con nostro grande rammarico. Ci aveva deliziato con la sua "Grammatica della fantasia", ma ci aveva fatto riflettere raccontandoci di sé, della sua "fallimentare" esperienza di giovane maestro al primo incarico e della complice allegria che aveva imparato a condividere con i suoi alunni nell'inventare storie e fantasiose correzioni da parte di tutti proprio alle sue storie, per non mortificare nessuno e per aiutare ciascuno e sé stesso ad imparare, conoscere, capire, divertendosi insieme. Bellissimo esempio di vero "maestro" (magister: magis ter: tre volte di più!) In una moltiplicazione di conoscenza, talento creativo, comunicazione empatica, e guidare così i piccoli a crescere e ad imparare per scoprire il mondo in un continuo scambio interattivo tra maestro e ogni singolo bambino. Lui, bambino tra i bambini. Ci aveva anche parlato di sua figlia Paola la prima ascoltatrice/lettrice delle sue favole e filastrocche, la prima col pollice verso o in su per indice di gradimento delle sue opere da pubblicare o gettare nel cestino dei rifiuti. Prima di andare via, firmò le numerose copie dei suoi libri con una dedica ad personam e un omino a salutarci con un fiore che gli vibrava nella mano all'unisono con i nostri cuori. Io scelsi "Favole al telefono" per via di una lunga "amicizia" tra me e questo suo libro. Come preparatrice di Concorsi per il reclutamento degli Insegnanti nelle varie Scuole di ogni ordine e grado, dalla fine degli anni Sessanta al 2000, avevo scoperto Rodari presso gli Editori Riuniti quando era ancora un illustre sconosciuto ai più. E me ne ero innamorata a tal punto da far portare agli esami orali, proprio Rodari che di lì a poco avrebbe vinto addirittura il Premio H.C. Andersen, il massimo riconoscimento per gli Autori di Letteratura per l'Infanzia. Una sorta di Nobel a consacrarli tra i "grandi". L'opera analizzata era appunto "Favole al telefono".
Gianni Rodari e "Favole al telefono" mi hanno tenuto festosa e dolcissima compagnia per oltre un quarto di secolo. Immenso il rimpianto per averlo perduto così presto! Rimane però la sua rivoluzione copernicana nell'universo della scrittura per e dell'Infanzia. C'è, infatti, un prima e un dopo Rodari: niente più lacrimevoli storie di bimbi abbandonati, orfani e giramondi e compunte poesie scritte dai poeti per loro e da imparare a memoria, ma storie da inventare insieme giocando con le parole tra realismo e surrealismo. E filastrocche da scrivere e riscrivere im mille modi diversi tra volo pindarici della fantasia accesa di mille e più colori e la verità di una società di umili e oppressi da amare, rispettare, aiutare; di guerre da cancellare e di Pace da ricucire ad ogni costo, facendo un "girotondo intorno al mondo" con tutti i bambini che hanno la pelle di un solo colore: quello della gioia di vivere e di amare. Di imparare con leggerezza e allegria. Anche cantando a perdifiato. Il grande cantautore Sergio Endrigo musicò molte filastrocche luminose e profonde di Gianni Rodari.
E Gianni Rodari, con leggerezza e allegria, vive e ama dentro di noi e con noi in un monito che sfiderà "di mille secoli il silenzio":
"È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco.
Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi" (Gianni Rodari, "Parole per giocare").
E mai come oggi questo monito deve accompagnare i piccoli nelle "cose difficili" da realizzare con la leggerezza della mente e la profondità del cuore. Gioia, Amore e Creatività devono abitare sempre nella loro vita per proiettarsi ancora e ancora in un futuro ricco di ritrovata Umanità e di rinnovata Speranza...
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