... e venne settembre (2020)
E venne il vento di settembre
e mi scoprì paura
mani di ruvida corda
passi di pietra incatenati
a scogli di mare scuro
catramato immobile di sale
Mi scompigliò i grilli dei capelli
Fuggirono pensieri su velieri
in secca e senza vele
Venne settembre e piansi
- occhi senza lacrime -
e sciolse ogni dolore nella sera
Accese un lampione di luna
- cielo in frantumi
stelle addormentate
sul filo del ricordo dimenticato:
ottobre di rose e di spine
E fui racconto di gloria appena cominciato
e già spezzato a metà di una notte rossovino
e scale precipitate
abisso di ogni inferno
mai abitato -
Lembi di sole ha settembre
in dono oltre il vento
su lacrime già piante
- prodigio che allaga il cuore
i primi passi a volo di gabbiano -
mare mare mare mare mare
nella mia casa sorriso di foglie
- oceano attraversato -
settembre sul tetto del cielo
luna immensa luna
impazzita di stupore negli occhi
("Rondine" festosa di ritorno
con passi di danza... di me)
Sì, è giunto anche per me settembre due giorni fa, con
folate di vento e un senso di sperdimento e di attesa. Del già vissuto e di un
inizio da vivere. Sempre così da quando le vacanze hanno chiuso i battenti del
mare o dei monti, dei laghi e delle colline per riaprire quelli della scuola e
di tante altre attività lavorative. Anche se sono in pensione da decenni, non
ho mai smesso di lavorare. Soprattutto di scrivere, mia incontenibile e
incontrollabile passione.
La scrittura mi è quotidiana compagna da quando imparai,
bambina maldestra e piena di paure, a penetrare nel mistero di vocali e
consonanti, suoni e significati delle parole. La parola riempì il mio mondo,
ricco di nuvole e sogni. Da allora non ho smesso più. Le nuvole catturano i
miei occhi per farmi scoprire tutto l’azzurro oltre. I sogni permettono allo
sguardo dell’anima di innamorarsi di tutti gli orizzonti possibili e di
intraprendere lunghi viaggi per attraversare ogni altro e “altrove da me” senza
mai perdere la strada del ritorno alle voci della mente e ai richiami del
cuore.
Dunque, ieri il vento di settembre mi ha incontrato a metà
strada tra la paura di osare e il coraggio di tentare. Dopo il franare delle
ossa non è stato facile snidare la paura, ancora oggi tarlo invisibile che
scava notturne gallerie e di giorno si manifesta con nuovi buchi nel legno
antico e polvere di sabbia e segatura a ostacolare passi e stampelle (e se
inciampo? E se scivolano? E se mi schianto di nuovo al suolo senza più scampo?
I miracoli non sono a ripetizione né a comando. Accadono quando accadono). La
Paura mi blocca. “ Ti basta poter camminare e fare attenzione a dove metti
piedi e stampelle. Ogni fessura può farti inciampare. Ogni buca cadere, ogni
goccia farti scivolare”. E io le do ascolto. Le do ragione. Cammino guardando
il pavimento e mi dimentico del cielo, come mi è stato insegnato. Mi basta,
così, contare passi che credevo non dovessero più appartenermi. Ogni giorno
qualche passo in più. Penso ad Alex Zanardi, al suo coraggio e alla sua
determinazione, alla sua impresa di vivere, nonostante tutto. E vado avanti…
altri dieci passi… altri venti… trenta e ho il fiato corto e un dolore sempre
più forte alle gambe. Al ginocchio inchiodato e placcato. Al femore ricostruito.
Ai due arti ricuciti dentro e fuori. Ossa e muscoli. Nervi e arterie. Pelle e
Vene. La carta geografica del mio corpo martoriato. “Ce la devo fare”. Il mio
mantra dal 20 ottobre 2019. E Centri ospedalieri per gli interventi (due
difficilissimi a distanza di cinque giorni e con più mani espertissime). E
Centro di igienizzazione per sopravvivere (tre mesi di immobilità quasi
assoluta e piaghe da decubito e ozonoterapia e mani solerte ad alleviare atroci
dolori fra mille allergie e una sola speranza: ritornare dagl’inferi). E Centri
di riabilitazione per rinascere uno-due (isolamento totale causa coronavirus,
fisioterapia mattina e pomeriggio, mascherine e scafandri di angeli tutelari.
Sedia a rotelle, girello alto sotto-ascellare, girello basso, stampelle: tutte
le stazioni della via crucis, vissute “con molta molta molta cautela” per non
franare ancora).
Giorno dopo giorno, notte dopo notte. Poesia dopo
poesia. Sul cellulare. Per vincere buio e paura. Per bloccare il
tempo del dolore. Per lasciarlo scivolare nella clessidra argentata a contenere
un mare verde smeraldo e sabbia rosa che, invece di precipitare come è normale
che sia, sale a riportarmi indietro nel tempo (dono di mia figlia, la più
giovane) perché ogni giorno sia un giorno nuovo: a salutare il mio primo
vagito, la mai spenta giovinezza del cuore.
Sette mesi di clausura forzata con oltre duecentodieci
poesie scritte di notte per non morire. E tre mesi e mezzo a casa. Nel
tentativo di dimenticare tra braccia d’amore a lungo deserte per il covid 19
che non perdona...
E venne settembre. Con scompigli di nuvole improvvise e di
tempeste rapide come il respiro, devastanti come gli uragani.
Giunto è settembre con una nuova speranza sulla mai
sconfitta paura. Mia figlia Raffaella si è alleata con il vento di questo mese
(tutto fuori la spenta stagione/tutto dentro la nuova stagione) e mi ha spinto
a osare: “dai, il vento ti farà mettere le ali. Le gambe ti reggeranno e poi
riuscirai ad andare da sola. Prendi la sedia. Lascia le stampelle e metti i
primi passi come fanno i bambini lasciati dalla mamma presso il muro, felici di
raggiungerla al suo richiamo. Dai, non aver paura. Dai, ci sono io qui. Dai,
allontana la sedia e raggiungila! Allarga le mani e i piedi per sentirti in
equilibrio come fanno i funamboli, che a te piacciono tanto perché camminano
tra le nuvole”.
“Vaiiiii!”.
Ed io, con un tremore da non potersi dire, ho lasciato le
verdi stampelle, ho spinto la sedia blu avanti per quanto possibile, ho fatto
delle braccia ali e delle gambe remi e, barcollando, ubriaca di paura bevuta a
litri, ho mosso i primi passi senza cadere. Esplosione di lacrime di gioia tra
le braccia di mia figlia ad accogliermi tremante, mentre filmava la mia
commozione, la mia vittoria, la mia gratitudine al suo coraggio/vento impetuoso
più del vento di settembre. Ha inviato ai miei figli “romani” il video della
temeraria impresa e subito la magia della videochiamata ha mescolato lacrime e
incredulità. Daniela, a causa del mio svolazzante vestito nero e bianco, ha
visto una rondine spiccare il volo di ritorno verso i Paesi ancora caldi di
sole. Io ho visto il mare inondare la casa e farsi vela fino a forare il tetto
e confondersi con la luna piena tra gli alberi del giardino, illuminando a
giorno lo stupore dei miei occhi, le mie mani in preghiera, la mia anima che
già trasformava le emozioni intense in Poesia.
E questa notte ho ripreso il cellulare e ho scritto i versi
del dolore dischiuso alla gioia. Ancora un miracolo vissuto da raccontare…
Che sia un buon settembre per tutti. Tempo di inizio,
rigenerazione, rinnovate attese, ritrovati sogni, riaccese speranze. Oltre ogni
sperdimento. Oltre ogni paura…
Angela, sei fantastica... nella scrittura, nella vita, nel coraggio, nell'amore! Versi di dolore dischiuso alla gioia, come dici, in questo tuo Settembre che sa di miracolo, di speranza, ancora vita e vita, azzurra meraviglia di cielo. Nuova e positiva energia d'amore per tutti noi, per me!
RispondiEliminaUn abbraccio Dina