Sabato sera, allo SpazioleArti del Teatrermitage, presso il giardino del Museo Archeologico del Pulo di Molfetta, anch’io ho ritrovato Don Lorenzo Milani, grazie alla straordinaria Rassegna: “Futuro Anteriore” - Frammenti di una MAGNIFICA STAGIONE RITROVATA, organizzata dall'infaticabile Vito D'ingeo che, dopo tantissimo tempo, ho rivisto con grande piacere.
"Futuro anteriore", appunto, per ripartire dal
passato in tutti i sensi e immergersi già nel futuro.
E così, commossa e felice, ho ritrovato il mio
amatissimo “prete scomodo”, e la sua
“Scuola di Barbiana”, dopo circa vent’anni dagli ultimi miei incontri con la
sua pedagogia al servizio degli ultimi.
In un giardino molto suggestivo, ricco di verde, di pietre e
di storia antica, su un palco semplice semplice con un’unica sedia semplice
semplice, è esploso il monologo di Luigi che ha raccontato il suo Don Milani,
dalle origini fino al suo volo nel Cielo degli Eletti, di quelli cioè che si
sforzano in tutti i modi possibili, badando che il cammello si assottigli a tal
punto da poter realizzare, con determinazione e coraggio, l’impossibile impresa
di farlo entrare nella “cruna di un ago”. Sì, il cammello. Anzi, i “Cammelli a
Barbiana”.
La narrazione di un passo evangelico? Racconto e storia di
un mito, una leggenda di un tempo ormai passato, ma forse non del tutto? Una
fiaba? Un “C’era una volta” con tutto il bene e il male che crudelmente divide
il mondo delle fiabe perché il lieto fine possa danzare col cuore dei bambini?
Niente di tutto questo o forse tutto di tutto questo. Tutte le contraddizioni
del mondo e di noi suoi abitanti, come ci ha insegnato Simone Weil, “in
comodato d’uso:
Don Milani e l’infanzia dorata in una famiglia ricca e colta
dell’alta borghesia e la sua lotta di classe contro i ricchi e i laureati per
fare spazio ai poveri e agli analfabeti.
Don Milani e la sua fede accesa, a imitazione di Cristo,
contro una chiesa cattolica severa nei suoi dogmi, ma contraddittoria e
mercificata nell’asservimento ai ricchi e nella cecità verso i poveri.
Don Milani pessimo studente, ribelle ad ogni coercizione
scolastica, ma grande maestro, come egli stesso amava definirsi, per la cura
che riversava verso i più bisognosi nella sua scuola di Barbiana. Una scuola
povera e mancante di tutto, ma ricca di fervore lavorativo dove tutto serviva
per imparare nei trecentosessantacinque giorni dell'anno, compresi dunque i
sabati e le domeniche. Una scuola da contrapporre a quella statale, dove
"si guarivano i sani e si ignoravano i malati" e dove si aveva la
presunzione di trattare tutti allo stesso modo, ignorando così di commettere
una grave ingiustizia "facendo giustizia fra disuguali".
Uomo rude, scostante, severo, immerso in una realtà
difficile, da lui condita anche di tante parolacce e, insieme, persona mite,
ricca d’amore per il prossimo e di grande tenerezza verso i bambini, a cui
insegnava l’importanza della parola e della voce per imparare ad ESSERE e a
rivendicare gli individuali diritti di PERSONE nel collettivo della propria
comunità di appartenenza, contro ogni ottuso e pervicace totalitarismo.
“I CARE”, scritto all’ingresso della sua scuola nella sperduta
Barbiana, contro il “me ne frego” dei fascisti, arroganti e indifferenti ai
bisogni del popolo che viveva di stenti e che non aveva mai imparato a sognare
né tanto meno a progettare un futuro migliore.
Don Milani e la scoperta della “parola”; e l’identità
restituita dalla “voce”. Quanto importanti l’una e l’altra per rivendicarsi
nella propria unicità e per rivendicare la propria appartenenza al mondo
sociale e solidale.
Don Milani, antesignano dell’appartenenza dei suoi alunni
non solo al piccolo bosco di Barbiana, ma alla realtà ben più ampia di altri
popoli europei di nazioni diverse per imparare altre lingue, altri modi di
essere e di comportarsi. Perché la conoscenza derivasse dall’esperienza vissuta
si dilatasse verso orizzonti più ampi di consapevolezza e socialità. Nella
rivendicazione dei propri diritti non disgiunti dagli inevitabili doveri di
uomini e cittadini, ma con riserva di "disubbidire" alle leggi
ingiuste e inique.
Don Lorenzo Milani. Faro e Approdo per ogni nuova partenza.
Ma scomodo, troppo scomodo per cattolici e laici.
Da sempre al centro di contestazioni e controversie per il
suo ribellismo contro ogni forma di sopruso fisico ed etico fino a dare il
fianco alla terribile macchina del fango a stritolarlo con i suoi meccanismi
perversi e uncinanti l’anima.
Pura e Ribelle, la sua anima, fino a perderci la salute, ma
non la fede. Fino a perdere la serenità, ma non la speranza in un mondo
migliore.
Questo il suo inno alla libertà e a Dio, a cui aveva
preferito gli oppressi e i vinti, svettante nel vento a portarlo, con la croce
del suo stesso Cristo messo in croce, in alto sempre più su dove l'altra sera
lo ha inseguito il fiume delle nostre
lacrime, esplose in un buio acceso di stelle.
Bravissimo l’attore Luigi D’Elia in una straordinaria
narrazione, di cui in parte è anche autore; narrazione, che ha coinvolto e
sconvolto, in silenzioso ascolto, il numeroso pubblico.
Questo genere di teatro, solo apparentemente povero, ha in
realtà un legame ancora più intenso e vibrante con la letteratura, perché non
nasce mai da un copione già scritto per la drammaturgia, ma si crea e si
realizza con le mani, la mente, il cuore di chi abilmente cuce e ricama insieme
le parole, i versi e le frasi di testi letterari, così ben definiti
"lasciti" dei maestri ( in questo caso, tratti proprio dai libri di
Don Milani) dagli ottimi organizzatori e dalle estenuanti ricerche sul campo
compiute dagli autori.
Sì questo è un Teatro diverso perché non prevede posture, ma
predilige la forma dialogica con il pubblico, interpellato ad ascoltare una
storia proprio come se si trovasse di nuovo dinanzi ad un cantastorie d'altri
tempi...
Grazie per l'emozione, di cui non si è spenta ancora l'eco.
E grazie ancora a Don Lorenzo Milani che mi ha insegnato ad
essere un'insegnante che ha cercato di prendersi cura, negli anni, dei suoi
studenti con Tenerezza, Amore e con tanta Poesia disseminata tra le Parole.
Angela De Leo
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