Presto, gli grido, fuggi!
Quelle sue munizioni arrugginite
Possono ancora uccidere!
(Emily Dickinson)
Oggi è giorno di riflessione su alcuni fatti che la cronaca ci ripropone di anno in anno sulla violenza riservata alle donne fino a diventare FEMMINICIDIO. Efferato fatto di sangue e di violenza estrema, perlopiù perpetrato tra le quattro mura domestiche. Ma oggi viviamo in una società oltremodo violenta e, nello stesso tempo, oltremodo indifferente all’altro. Ai casi della vita.
Ho dovuto attraversare il silenzio di circa una settimana per ritrovare il senso delle parole e dare voce ad uno sgomento senza fine per quanto è accaduto e accade in questa nostra società dai mille volti e forse neppure uno. Per esempio, nel 2020, alle ore 13, a Ombrano, nelle vicinanze di Crema, una donna decise di protestare contro un mondo che molto probabilmente non riusciva più ad accettare, dandosi fuoco in un parco appena fuori città. Circa venti passanti si fermarono per assistere alla sua disperata protesta senza muovere un dito, anzi filmando col telefonino la “scena” quasi fosse un film e non una tragica realtà. Solo un signore scese dalla sua macchina per prestarle soccorso, aiutato da un paio di ragazzi che accorsero con un estintore. Invano. Non ci fu modo di salvarla. Vano anche l’intervento del 118 che, chiamato d’urgenza dal pietoso soccorritore, non ritenne opportuno neppure portarla in ospedale, avendone constatata la morte.
Ma la stessa sindaca di Crema rimase sconcertata e fortemente provata dalla terribile vicenda, non solo per l’indifferenza dei suoi concittadini, quanto e soprattutto per la loro assoluta mancanza di umanità.
Uno su venti l’assurda statistica che la mente registra ancora oggi, dopo giorni e anni di muto rifiuto di pensare, per una sopravvivenza istintiva alla penetrazione profonda e dolorosa di questa sconcertante verità. Sono tragedie che accadevano anche nel mio tempo vissuto tantissimi anni fa. Tra gli anni Cinquanta-Sessanta del mio paese antico: Bitonto, in provincia di Bari, in Puglia. Ricordo ancora la storia terribile dei bambini gettati nel pozzo nella città vecchia, da cui eravamo scappati a gambe levate perché non più serena e tranquilla come i miei nonni l’avevano vissuta una cinquantina d’anni prima. Quella dolorosa vicenda si coprì di mistero e di sentito dire, ma non ebbe certamente la risonanza che avrebbe avuto oggi dalle televisioni di tutto il mondo e dai diversi social dei nostri giorni, che hanno sdoganato tutto, soprattutto le brutture e la violenza.
Quel giorno ne avvertii la fiamma ustionante nelle viscere che si ribellavano a tanto strazio. Fu una realtà talmente inaccettabile da farmi urlare al cielo lo sdegno e la paura: sdegno per la nostra società alla deriva, dominata ormai da un linguaggio che non appartiene più agli uomini, ma alla tecnologia digitale che ci ha resi sempre più schiavi della comunicazione virtuale a discapito di quella reale; paura perché, attraverso la dipendenza patologica da smartphone e tablet con l’iper-connessione continua, sempre più si sta producendo tra gli adolescenti, ma anche tra adulti e anziani, un progressivo “isolamento sociale” e “distacco dalla realtà”. Con conseguenze davvero pericolose per la nostra stessa salute fisica e mentale. E addirittura tragiche. Macchine tra le macchine siamo diventati purtroppo.
- E l’acutezza della mente non disgiunta dalla sensibilità del cuore? - mi chiedo.
- Appiattite se non del tutto azzerate, come tanti comportamenti ormai evidenziano e dimostrano - e non sembra più il caso di liquidare il fenomeno con qualche vignetta o battuta per evitare di sottolineare gli aspetti negativi di questo nostro tempo alla deriva. Certo, ci sono innegabili aspetti positivi, di cui bisogna tener necessariamente conto nell’utilizzo, ai nostri giorni, di questi nuovi mezzi di comunicazione. Diventa, comunque, sempre più urgente qualche amara o drammatica riflessione: come salvarci dallo scempio della nostra anima cristallizzata in una sorta di glaciazione dell’anelito spirituale nella totale desertificazione del cuore? E lo chiedo anche a tutti noi. Mi riferisco ai tanti femminicidi, che oggi accadono di continuo, a volte sotto i nostri occhi, il più delle volte ne abbiamo contezza attraverso i telegiornali. E qui scatta la “notizia”: tutti ne parlano, tutti hanno una loro opinione e si allarga a dismisura il “siparietto” di chi narcisisticamente ama la vetrina con foto della vittima di turno, persino canzoni orribili e terribili, tik tok osceni. Sarebbe meglio il silenzio per lasciare che le vittime “riposino in pace”. Ma molto spesso era ed è proprio in famiglia che avvengono tali devastanti misfatti. Io vorrei essere lontana mille secoli da queste brutture che sembrano appartenere solo a questo nostro tempo, anche se non è così. La storia dell’uomo si ripete all’infinito, in epoche diverse e con scenari diversi.
Ma voglio spezzare una lancia in favore di chi ha scritto una poesia, ha fatto un disegno, proposto una prosa sofferta, nei riguardi della vittima di turno, con assoluto candore e sincera commozione, postandola su FB, nuova Agorà di ogni sentimento e risentimento, che sfiora, sempre più via web, la sacralità della gioia e del dolore. L’episodio terribile di Crema non è isolato né riguarda una sola città. Basta osservare la realtà che ci circonda o leggere, guardare, ascoltare gli avvenimenti della cronaca quotidiana per inorridire, ma penso che sia più giusto avere mente e mani e cuori protesi a cambiare in meglio il mondo. Con l’unica risorsa possibile: l’AMORE. I miei nonni a me lo hanno insegnato quotidianamente con amore. Dicevano: Un bambino atteso, amato e allevato con cura non potrà mai diventare un ragazzo violento o un uomo senza scrupoli.
Certo, è vero, ma non posso oggi sottovalutare le influenze ambientali e sociali e il cattivo esempio che ne deriva. Ma niente, a mio parere, è più forte dell’AMORE, quello autentico che non lascia spazio alla mistificazione e, nelle personalità più fragili, alla penetrazione di comportamenti alienanti e fuorvianti.
La donna di Crema fu identificata. Per la polizia, che stava facendo indagini sulla sua dolorosa vicenda, ebbe un nome e un’età. Ma per tutti noi è rimasta senza volto e senza storia. Molto giovane, anche se non più giovanissima, ha reso visibili, col suo gesto disperato, sicuramente un dolore nascosto, ma forse anche una mancanza, un’assenza, una delusione, un tradimento, una difficoltà economica divorante, una solitudine subìta e non accettata, di cui non sapremo mai. La sua coscienza obnubilata da un peso troppo grande sul cuore per impedire persino alla sua anima di volare oltre ogni miseria umana? Non lo sapremo mai, miei carissimi interlocutori. Almeno noi non lo sapremo mai. Ma è la nostra coscienza che dovrebbe risvegliarsi, e ribellarsi fortemente alla narcosi della realtà virtuale e farsi lucida e attenta custode della nostra realtà “reale” e della nostra umanità. Quella autentica, vera, legata ai valori di sempre, per rinascere infinite volte e magari permettere nuovi tenerissimi voli alle anime deboli o spezzate e distrutte. Abbiamo tutti bisogno di tenerezza, che lo si voglia ammettere o meno. “Nessuno si salva da solo”, ha scritto Margaret Mazzantini, una scrittrice che ammiro molto. Frase riproposta da Papa Francesco nelle sue straordinarie omelie in Santa Marta. Un Papa meraviglioso che mi ha riportato sempre più sulla “retta via”. Se uno su venti, infatti, sente ancora il senso della sacralità della vita, c’è ancora speranza che il rigagnolo si faccia fiume, mare, oceano. Non può essere troppo tardi. Sono le gocce, una ad una, a formare le distese delle azzurre acque e a sollecitare il nostro stupore, che ci permette di ritrovare il miracolo del sentiero fiorito della nostra spiritualità tra il bianco spumeggiare improvviso delle onde e farsi nuova sorgente di Innocenza e di Vita. Forse, Preghiera. Dovremmo, però, vincere le innumerevoli contraddizioni che stanno alla base della nostra stessa esistenza. Estremi che ci affascinano e ci spaventano nella stessa natura. Sono realtà così composite e complesse, a sempre più vasto raggio, che non vanno ignorate o criticate, ma lette, studiate, accolte o rigettate senza clamori, proclami, fanfare e suoni di tamburi. Con oculatezza, serenità di giudizio, umana pietà, ma anche umana giustizia. Tanta umiltà. L’arroganza dei nostri giorni è un’altra piaga dei nostri giorni. Ritengo che in passato fosse meno praticata. Ma potrei sbagliarmi. Occorre confidare nel cambiamento. Ogni trasformazione è inevitabile e necessaria. Sperando sempre di riscoprire le vie del CUORE.
Grazie. A presto. Angela/lina
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