giovedì 20 novembre 2025

Giovedì 20 novembre 2025: Giornata Mondiale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza (con poesia)...

Sradicati pensieri al vento
che trascina nuvole il buio

della notte il germoglio della luna
- mandorlo fiorito nel cielo -
Cadono petali da quel fiore
di madreperla che si disfa piano
E la pagina del mio diario segreto
    (a.d.l. poesia inedita)

Il 20 novembre del 1989 venne istituita la Giornata Mondiale dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza, ma a tutt’oggi assistiamo allo scempio di quanto affermato dalla Convenzione ONU. “L’infanzia è negata. Questa è la realtà. I bambini sfruttati dal mondo del lavoro, l’infanzia violentata e uccisa dagli adulti, dalle madri, dai padri, dall’indifferenza, dalle leggi male interpretate, dalla società, dalla guerra…” (Florisa Sciannamea)  

È, dunque, davvero una giornata molto importante, oggi più che mai, e tutti sappiamo il perché. Non riusciamo più a contarli i bambini e i ragazzi trucidati selvaggiamente, ma, oltre a condividere le parole di Florisa, io penso anche allo strazio senza più lacrime di tantissime madri in croce con negli occhi la disperazione e la propria morte. Sul dolore, però, per nostra fortuna, fiorisce, come sempre, la parola che salva e consola, e sboccia il mistero della Poesia…

Ma… Prima di parlare di poesia, mi sembra opportuno ricordare una grande scrittrice e pedagogista svedese Ellen Key che ai primi del Novecento (1906) pubblicò un saggio Il secolo del bambino (ripubblicato di recente in Italia), in cui era proprio il Novecento alla base della “scoperta del bambino” come protagonista della sua crescita e della sua storia. Ispirando persino una pedagogista come Maria Montessori, che con il suo metodo mise al centro dell’educazione il bambino stesso in termini di “autoeducazione” in un ambiente preparato a “sua misura” per favorire un “apprendimento autonomo”, facendo tesoro anche della sua “mente assorbente”…. Purtroppo, però, a distanza di oltre un secolo sappiamo che tutti i buoni auspici naufragarono ben presto a causa di ben due devastanti guerre mondiali, che videro proprio i bambini vittime di un terribile massacro, che si sta nuovamente verificando ai nostri giorni. E sembra che nel nostro cuore si ripeta quanto ebbe a scrivere il filosofo e sociologo Theodor W. Adorno e, cioè, che dopo la Shoah nessuno avrebbe più avuto il coraggio e la forza di scrivere una sola poesia. E, invece, si continuò a farlo. E anche oggi la poesia vince il silenzio e l’orrore. Ecco perché anch’io continuo a scrivere poesie. Eccone alcune, tratte dalla mia silloge inedita Tra canto e incanto le voci e il firmamento, perché tutte le stagioni della mia vita le ho vissute e continuo a viverle scrivendo versi che mi connotano e mi danno la forza di non arrendermi, nonostante la disperante società planetaria in cui viviamo, pronta a spegnere sogni, illusioni e voli… ma tantissimi anni fa venne l’infanzia a cercarmi per tingere ogni giorno il mio mondo di sorrisi, aquiloni, allegria… E parto:

Da tutto ciò che sono e non sono

uno schizzo di risata

per farne un quadro di me, appena nata

alla vita in un mondo da scoprire

non ancora certa di sopravvivere alla luna

che sovrastava nuvole e silenzi,

e pacificava la sera priva di stelle.

Insieme sognavamo una luna

sempre più alta, bianca, distante

per ricavarci un cuore di panna

e zucchero filato

come da bambina volevo

per i miei bimbi che dovevano ancora

                           vibrarmi nell’anima…

… così venne il giorno nuovo

         delle infinite attese

         tra un silenzio di luce

         e un silenzio di nuove albe

              (occhi solari

                   di bambina appena nata    

                       respiravano cielo)

E c’era il silenzio del nuovo giorno

 Era il silenzio nuovo del nuovo giorno.

Penombra di canto e silenzio di sorrisi

lasciavano parlare il cuore dei bambini

che coltivavano un amore grande che sapeva

di luce anche quando la sera ci sfiorava

la carezza della vita appena nata.

Prodigio del sogno accarezzato e preghiera

sussurro del giorno che cominciava

a raccontarci il mistero della nascita

al canto della natura che non teme la solitudine

dei balconi e tanti bimbi ad imbrigliare il cielo.

Allora fui bambina anch’io di riccioli e di baci

all’ombra di un’altra bimba e gli occhi tristi

di mia madre perduti dietro sirene e notturni rifugi

di guerra e rombo degli aerei a rendere viva

l’assenza di mio padre prigioniero e lontano

per quattro anni e un solo amore.

Ero allegria di bianchi spruzzi nel silenzio del mare,

ero mare vela gabbiano tutto e niente

nella fragilità dei miei fragili anni in fiore…

                (canto di maggio vibrante di luce e di mistero)

I miei cieli d’infanzia

Si frantuma in zolle di quasi primavera

l’esile filo d’erba della bambina con le trecce

che fece nido in un germoglio di mandorlo

rosa come il vestito di foglie e di grano

nella casa dei gatti e delle tortorelle.

Gabbia d’usignoli e mani di nonno e pianto

di bambina al primo volo sull’albero rosso

che di rosso tinse piedini e lacrime.

Scarpe di seta con ricami di farfalle

e roselline di prato a innamorare il cortile

e primi sogni d’allodola all’alba.

E fanfare in festa con gelato a cono tra le dita.

La cassa armonica suonava con la banda e i violini

e luminarie ad accendere occhi di mille colori.

Verdi, Puccini Donizetti, voci del cuore

che ignoravo e i fuochi d’artificio a illuminare

il cielo di mezzanotte e la carrozza di cristallo.

Principessa senza principe e un cavallo alato

- Pegaso di bianco vestito e profumo di mare

prima che di alghe s’impregnasse il cuore -

Ebbi canto nelle braccia di mia madre

Nacquero papaveri e gelsomini nel giardino d’ogni incanto

con i laghetti che ridevano di secchi colmi d’acqua

in cui si specchiava il cielo fiorito di primavera e stelle mattutine.

Io ebbi rifugio nelle braccia di mia madre prima che il tramonto

incendiasse la sera e l’usignolo avesse voce di violino

in gara con i grilli sul balcone.

Il nonno piantò un ramo di rose, di preghiera la nonna riempì

le ombre della sua malinconia.

Nelle loro mani la mia prima alba in fuga verso la chiesa

e campane a festa ad accogliere il mio vagito al fonte battesimale...

(grandi i miei occhi negli occhi grandi

  di mia madre, ma tenera carezza dei nonni

             mi penetrò nel cuore             

   fino al canto che ancora oggi mi sorride

                        ad ogni nuovo giorno)

Poi gli anni in volo mi portarono l’adolescenza e i primi amori in un batticuore che mi sorprende ancora…… esplosione solare il boato del cuore, che accende colori, significati e storie di un’adolescente ribelle che ama la luna e le sue magie, le sue follie, una tenerezza di prato, angolo di cielo che si confonde con il mare nello splendore dei primi amori… con passi danzanti di poesia…

Canto d’erba

canto d’erba la mia voce

incontro al giorno sognato

e mai vissuto.

Avevo trecce di spighe dorate

e occhi grandi e languidi

che si specchiavano nei tuoi

- rinnegarci e cercarci la nostra storia

  di quasi primavera

   quando un refolo di vento scompiglia i capelli

              e la paura di volare -

Ebbre sere

ebbre risate colme di noi

alle sere dei calici levati

in un incontro di lune

(indomita adolescenza

           Eterna

 tra i nostri pensieri

 annodati di progetti e di stelle)

d’uva e di miele di canti e di parole

e… granelli di mare…

sogni di rose e di spine

sul margine insalutato del giorno.

Lungo la nostra primavera

Solare il mio sorriso dietro i vetri

di primavera

dove uccellini innamorati

si raccontavano la nostra storia

prima di nascondere il capino sotto l’ala

(ali di corallo avevamo noi due

 prima delle ombre della sera

 sul nostro amore innocente

          come sorgente di fiume…)

I miei occhi nei tuoi occhi

ho amato i tuoi occhi fino all’ultimo sogno

di adolescente al primo ballo

nella coppa delle mani

il nostro amore

ancora intatto trasparente leggero

 guerriero indomito su cavallo alato

  Pegaso e il suo incanto bianco

  tra trine di mare alla battigia…

Voglio danzar con te

Stringerti forte a me

Voglio parlar d’amor

Come mi detta il cuor

Cosa dirò non so

Cosa farò chissà

Inebriata innamorata

Voglio danzar con te -

Era il mio canto irrequieto

come le nuvole a creare rami

di foglie e mandorli in fiore

per i miei passi di cielo

a disfarsi di petali in caduta libera

senza mai più riconoscerti.

Dietro i vetri il treno corre

Dietro i vetri il treno corre - meraviglia di occhi

adolescenti e rose tra le mani e fiori gialli

baciati dal sole - fuga e libertà irrompono

sui sentieri d’erba a gettarsi nel mare

- cavalli di bianca spuma - sono nel fischio

del treno, entro nelle onde compagne di viaggio

di trasognata allegria (e la danza del cuore a tenermi compagnia).

  Butterfly

Foglia vibrante di ali e storie di farfalle

Incendi del primo amore in trame

Luminose di seta e d’incanti

Ridono sogni da vivere nell’arcobaleno

Di tenere fanciulle in fiore

(canto della bellezza inno al Creato)

Butterfly (2)

Notturni cieli adamantini e cristalli di prati fioriti.

Incendi d’amore tra le prime stelle.

E sfogliare voli nei giorni dell’attesa.

Lapislazzuli e fiumi d’oro nella trama dei giorni

che esondano di sogni incantati (nella fragorosa risata della vita)

E per oggi va bene così. Con versi un po’ bizzarri come sono i giorni della scoperta del piccolissimo mondo della nostra casa e dei primi amori che fioriscono appena mettiamo i primi passi fuori. Spero che abbiate con me vissuto l’incanto dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in compagnia dei ricordi, che ci trasportano in tempi non proprio semplici, ma, nella mia antica casa, a portata di cuore. L’unico che può salvarci… Angela/lina

giovedì 13 novembre 2025

Giovedì 13 novembre 2025: ancora sulla POESIA de "IL SUD HA VINTO" di LINO PATRUNO...

 … nell’unità si ricompone

tutto il visibile, tutto il dicibile.

Restano le differenze ma scompaiono, (…).

Niente può uscire dal tutto,

amore semplicemente è essere,

essere parte di questo insieme…

(Cesare Viviani, stralcio della poesia

“Silenzio dell’universo”)

Dopo una simpatica e arricchente chiacchierata con Lino Patruno, autore, come sappiamo, de IL SUD HA VINTO (SECOP edizioni, 2025), vorrei ancora parlare della sua poesia a cominciare dalla copertina, di cui di solito non si parla, mentre è, a mio parere, un “biglietto da visita” molto importante: sintetizza, insieme al titolo, il “cosa” contiene, e il “come” è stato affrontato e raccontato. Intanto, c’è un abbagliante colore verde, che fa da sfondo al bianco del titolo a caratteri cubitali a segnare un trionfo. Sullo sfondo si intravedono dei gradini che portano verso una colonna che propone la tipica costruzione di un muretto a secco, circondato da alberi, presumibilmente ulivi che sono inno e risorsa della nostra terra, filari di viti, ed erba a delimitare uno spazio, un appezzamento di terreno, tipicamente del Sud. Potremmo già parlare di poesia? Certamente. Di simbologia? Anche. Di ironia? Sì, se si tiene conto del retro-copertina, attraversato da una fascia di un giallo esclatante con la scritta in nero: “Questo libro non contiene olio di palma”. Uno sberleffo ironico ad una propaganda pubblicitaria che ha imperversato a lungo nel nostro Paese.

Ma sicuramente c’è ancora tanta altra poesia nelle pagine del Libro.  E questa mi è balzata agli occhi dopo la chiacchierata con l’Autore, nelle sue consuete vesti di giornalista. Ebbene, sua grande preoccupazione è quella di scrivere in maniera chiara per agevolare la lettura soprattutto a quelli meno attrezzati culturalmente. Preoccupazione encomiabile per uno scrittore dalla stratosferica conoscenza della lingua italiana, in tutte le sue varie forme e dimensioni anche settoriali e non. Io   ravviso in tale preoccupazione l’umiltà di Lino Patruno, e questa è poesia. La sua generosità è poesia. Il suo scrivere in neretto ciò che va evidenziato, per favorire la comprensione del suo pensiero a quanti si appresteranno a leggere il Libro, è poesia. La scelta oculata e sottile degli eserghi di ogni capitolo è poesia. Le tante metafore, spiegate con altre parole, in maniera silenziosa e attenta, per renderle chiare e leggibili, sono poesia nella poesia. Le virgolette basse a “spina di pesce” sono poesia quando fanno riferimento all’altrui pensiero per evidenziare una coralità che, nel bene e nel male, sta lì a potenziare o a delegittimare quanto da altri scritto. La logica del vivere e non del sopravvivere è poesia. Bisognerebbe leggere il capitolo nono (“Controesodo: eccoli, i tornati al Sud”) per averne conferma. Oppure, le frasi di autori famosi riportate a conclusione dell’ultimo capitolo a pag. 384.

Ecco, mi avvio alla conclusione, ma non posso fare a meno di evidenziare ancora la poesia riposta nelle innumerevoli direzioni delle storie, tantissime, dei tanti personaggi famosi e famosissimi   raccontanti e di quelle dei tantissimi sconosciuti che vengono nominati per la prima volta. Le direzioni molteplici “portano dappertutto” le loro storie, che segnano tracce indelebili per quanti lettori possano aver voglia di scoprirle, magari anche per emularle. Tutti noi, del resto, abbiamo bisogno di esempi, modelli migliori per diventare migliori. In una rigenerazione che si posiziona tra mente-cuore-anima per non sentirci mai soli e sperduti in un mondo, quello attuale, in cui è facile perdere la fede e la speranza in un futuro migliore. Insieme è più facile e bello lottare. Le sfide non si possono fare da soli, presuppongono sempre l’altro… Un avversario? Non solo, anche uno o più compagni per lottare insieme. "Cum panem" significa "Condividere il pane" alla mensa quotidiana. Grazie, Lino Patruno, per avercelo insegnato! A presto… Con tanta gentilezza e condivisione. Grazie. Angela/lina.

lunedì 3 novembre 2025

Lunedì 3 novembre 2025: La Poesia nel Libro IL SUD HA VINTO di LINO PATRUNO...

La poesia è l’intera storia

del cuore umano

        scritta

su una capocchia di spillo

(William Faulkner)

Del Saggio di Lino Patruno molto si è parlato e si continua a parlare durante le molteplici presentazioni nei vari paesi del nostro SUD, ma credo che nessuno abbia notato la poesia che percorre e attraversa le sue pagine. Provo ad evidenziarla: tutto il Libro è ricco di metafore, che sono alla base dell’“Arte poetica”. Poi, a ben leggere, sin dal primo capitolo esso è percorso da un ritmo incalzante nella continua reiterazione di alcune parole o di intere espressioni che si risolvono, alla fine, in ritmo interiore, un ritmo che suggerisce al poeta o allo scrittore la posizione giusta delle parole o delle espressioni, perché non se ne perda il senso profondo e il significato più esteso, che spesso diventa vera e propria “signific-azione”, cioè l’agire sul significato per dilatarlo, estenderlo, vivificarlo. È quanto fa continuamente Lino Patruno, esperto nell’Arte della Comunicazione, come Giornalista di lunghissima e meritatissima fama, e come Docente universitario, proprio in queste discipline.

Ecco qualche esempio lampante: la reiterazione “Il Sud ha vinto” <nonostante tutto> (p. 5) ha il ritmo incalzante, appassionato, avvincente di cui ho parlato prima. E a pagina 7 ecco un’altra più forte reiterazione con “Terrorismo”, “Terrorismo”, “Terrorismo”, che moltiplica a dismisura l’atmosfera di ingiunzione ad inchinarsi a “chi impugna la dittatura dei dati più che l’onestà del calcolo”. Ed ecco, sempre a pagina 7, la prima splendida metafora “Nessuno vuole scalciare alla luna”, a cui segue una spiegazione fortemente coerente col punto di vista dell’Autore sul Sud <non- ancora-Nord>. Un Sud, dunque, alla pari con il Nord già nell’utilizzo delle lettere maiuscole S=N.

E che dire delle Citazioni come Esergo a inizio di ogni capitolo? Veri capolavori di coralità poetica. Citazioni che, comunque, si ripropongono all’interno delle pagine, in cui sono citati tanti grandi scrittori (per tutti uno: Italo Calvino), con una sequela di altri nomi egregi che hanno scritto la storia della Letteratura italiana e mondiale del passato fino ai nostri giorni. Tra i saggisti, ancora, ecco il compianto Prof. Domenico De Masi, un sociologo illuminato e da me conosciuto personalmente parecchi anni fa, per via della bella amicizia con la sua ex moglie, con le figlie e la nipote, di cui per discrezione evito di fare i nomi. Poi, ancora tanta poesia, senza se e senza ma, quando Lino Patruno continua con l’elogio della “lentezza” vissuta al Sud anche attraverso le parole di un altro validissimo sociologo, il Prof. Carlo Bordoni, con cui è facile parlare di “Ozio creativo”. Ecco, la creatività! Tutto il capitolo secondo ne è impregnato con tanti nomi illustri, dai più lontani ai più vicini a noi in senso spazio-temporale (da Papa Francesco a Corrado Augias, passando con disinvoltura da Seneca a Nietzsche, da Masud Kan a Sigmund Freud, scomodando persino il nostro Presidente Mattarella, e così via) con il “mantra” devozionale per ogni titolo dei paragrafi: “E quindi ha vinto il Sud con la sua lentezza”.

Dicasi altrettanto del terzo capitolo, i cui paragrafi continuano imperterriti a osannare l’ozio, non come il “padre dei vizi”, ma come fonte inesauribile di creatività per “imparare l’arte della vita”. E così pure il quarto capitolo che si avvale di tantissimi nomi di scrittori, registi, attori, cantanti, italiani e stranieri in uno zibaldone da capogiro, tanto si viene catturati dall’immenso taccuino degli appunti della stratosferica cultura del Nostro. Si rimane catturati e incantati da un groviglio di lantane senza fine dei nostri giardini o di quello delle mangrovie sotterranee e lontane, quando Patruno afferma che il Sud è “a fortissima imitazione”. E qui la citazione di Lino Banfi, Sergio Rubini, Checco Zalone è d’obbligo, come pure quella di Marcello Veneziani, Franco Cassano, Michele Mirabella e di tantissimi altri (compreso l’immenso e inarrivabile recanatese Giacomo Leopardi), perché hanno reso il Sud degno di ammirazione e imitazione in quanto ciascuno col proprio talento e la propria cifra stilistica ha reso visionario e realistico il sogno di tanti di noi, che rimaniamo ancorati al Sud, pur avendo la possibilità di andare lontano. E in tutto questo io ravviso una straordinaria tenerissima poesia. Poi, ecco i capitoli che inneggiano alle industrie del Sud. Sono meno poetici, ma oltremodo convincenti e con tanti nomi di industriali industriosi che ci appartengono e ci fanno onore. Ma l’ottavo e il nono capitolo ci riportano alle metafore (un cigno non nero) e alla poesia felicissima della “Ritornanza”. Si pensi ai versi della canzone di Bob Dylan alla fine dell’ottavo capitolo. Versi stampati a caratteri cubitali nel nostro cuore. E dall’undicesimo capitolo in poi incontriamo nuovamente la poesia di quelli che restano, “i resistenti” per “fede etico-politica” ad un Sud che amano visceralmente e che li spinge a lottare per renderlo migliore. Fra mille difficoltà, mille recriminazioni, mille fraintesi. Occorre imparare l’arte della resistenza ad oltranza per non cedere alla tentazione della resa. Arrendersi significa “morire lentamente”, spegnere la luce del sogno e dell’utopia e quest’ultima - ma non ricordo più chi l’abbia detto - “non è ciò che non si può realizzare, ma ciò che non è stato ancora realizzato”.

A questo punto, vorrei fare io un elogio particolare a Lino Patruno per lo straordinario dono che ha ricevuto dal buon Dio e che ha anche conquistato in decenni di lavoro quale comunicatore tout court, come giornalista e docente universitario, in quanto con estrema facilità e altrettanta arguzia si districa tra “calamità” e “calamita”, riferendosi alla considerazione del Sud, da parte dei più, ieri e oggi (vedi p. 378) e così per tanti altri accorgimenti linguistici (basta leggere il Libro per scoprirli e farne tesoro con un oh di meraviglia). E meraviglia suscitano le innumerevoli storie che Lino racconta rapidamente, quasi con nonchalance ma con sottesa attenzione, cura e passione. Noi siamo fatti di storia e di storie. Baricco ce lo ha insegnato: “la narrazione è una parte intrinseca della realtà”. Non a caso “una storia è il campo di energia prodotto nell’animo di ognuno di noi dall’imprevista vibrazione di una tessera di mondo”. E in Lino Patruno io ravviso tutto questo e molto altro ancora che è conferma della sua visione poetica della scrittura come della esperienza esistenziale di ciascuno di noi per riscoprirci “umani”.

E oggi mi fermo qui. Con l’augurio che la Poesia ci accompagni sempre come tenera carezza in un mondo di violenze, sopraffazioni e ingiustizie. Mondo, che ci vuole disumani e indifferenti.

Con lo sguardo e il cuore rivolti al nostro prossimo incontro. Angela/lina                                                                 

mercoledì 29 ottobre 2025

Mercoledì 29 ottobre 2025: A un passo da OGNISSANTI e dalla COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI...

Se piangessi, tu verresti a riprendermi.

Ma io ho bisogno del mio dolore

per poterti capire.

(Alda Merini)

Sono giorni molto particolari questi ultimi di ottobre che corrono verso novembre in tutta fretta per festeggiarci, ciascuno di noi, in assoluta coralità (non soltanto in Italia, ma in Serbia, Lituania, Macedonia, Polonia, Svezia, Ungheria, Finlandia, Moldavia, Romania, Slovacchia e Slovenia, Croazia e ancora Austria, Belgio, Spagna, Francia, Cile, Perù, Senegal, Ruanda, Lituania ecc.). Poi, però, ci fa battere forte il cuore la Commemorazione dei Defunti, perché riprendiamo un dialogo mai spento con i nostri cari e loro si premurano di risponderci ancora e ancora. Io comincio dai miei nonni materni, con cui ho vissuto fino alla giovinezza, con alcuni anni di intervallo, come ben sapete. Ma prima di cominciare con loro ecco una riflessione in forma di poesia:

2 novembre

Ogni giorno si nasce e si muore

come nasce e muore ogni giorno

in una manciata di ore

che del mai vissuto

trattengono il respiro.

Illuminiamoci di mille lucciole

e miliardi di stelle

in questa notte buia che sa di pianto.

Fasciamoci dei raggi del sole

che ignorano la luna e il suo canto.

Avanziamoci nel cuore

come treno che attraversa il sogno

e si ferma al penultimo binario

per non dirsi mai addio.

(cerchiamo almeno una volta al giorno

  d’immergerci nella luce che è inno alla Vita

 per conservare le voci di tutti i nostri cari

          volati tra le stelle a illuminare

  il nostro ritorno tra le loro braccia d’amore)

 SEI SILENZIO E CANTO

              (a mio nonno Mincuccio)

Sei silenzio e canto

orma che incanta occhi stanchi

sul confine indistinto delle cose

Luce lontana che squarcia il cielo.

Sei latte d’innocenza che mi nutre ancora

e gesto di tenerezza che sazia di spine

il roseto mai spento di petali a primavera

in un tramonto di vene che dilata il mare.

Sei acuto imbroglio d’abbandono

e dolore sei più d’ogni altro dolore.

Io con te esploratrice di terre bambine

assetata d’incanti ora smemoria e canto.

Sei ala d’aquilone a raccontarmi l’azzurro,

tormento e perdita d’ogni altro incontro.

Tornano fiabe di ciliegi innamorati

in panieri di rossi respiri colmi d’amore.

C’è sempre una preghiera a raccomandarti

alle stelle che mi parlano ogni notte di te.

E la tua voce ancora a farmi compagnia:

richiamo di confidenze e rose nel cortile

(nei momenti di buio sgomento

    mai assenti le tue mani fiorite di prodigi)

Te ne andasti

                      (a nonna Angelina)

Te ne andasti così in un soffio leggero

come la tua anima bella a raggiungere

il tuo amore perduto da un anno appena

ma tanto lontano.

Ma lui venne a prenderti per portarti con sé

come promesso, e tu ansiosa lo aspettavi.

Lo vedevi alla soglia di ogni dimenticato dolore.

All’alba suonarono alla porta:

           - Nonna, sussurrò -

           - Non c’è più - dissi

E dentro ero già preghiera.

In fretta mi vestii e ti raggiunsi nella casa

del gelso e delle rose un tempo anche la mia.

Con la tua voce a indicarmi la retta via,

che litigava con la mia allegria.

E ora dormi con la tua pelle di rosa chiara

e sogni ormai oltre il cortile e le stelle

e i canti dei tuoi tanti bimbi a farti festa.

     Sei tornata alla Casa del Signore

         (io nella tua casa, da te)

Sono diciassette senza

            (a Primo ancora e sempre)

- Sono diciassette - mi ripeto questa notte -

diciassette dall’ultimo tuo sguardo

in quella notte senza una voce,

solo un grido ad invocare l’anima

senza respiro e a farmene dono:

- ti ho amato sempre ti ho amato tanto -

Nell’incredulo silenzio che sopravvenne

mi ritrovai incredula carezza e pianto

trattenuto, il tuo capo abbandonato

sul mio petto con la tenerezza

dell’ultimo saluto

per un viaggio senza ritorno.

                  Io senza.

Senza te senza me senza esistenza.

Furono le voci ad afferrare le lacrime

a strangolarle in gola. Andavi via.

Lasciandomi sola.

Senza stelle e senza preghiere.

                    Senza.

Vuoto dentro e intorno.

Tu ballavi nei miei occhi allucinati,

ballavi tu nell’attesa di andare

o rimanere sulle mie ciglia umide,

sui miei terrapieni scoscesi, indifesi.

Tu ballavi, mentre ali di angeli

ti portavano via, e non c’era scelta

da fare, costretto ad andare…

 E io mi arrendevo al fremito in volo

di gambe mani volto, lasciandoti solo.

Fu attesa disperata del tuo non ritorno,

nella nuova alba a lasciarmi senza.

(e oggi canto la tua presenza

 a me accanto come ogni altro giorno

  e colmo i bicchieri di te della tua ironia

       perché non sei andato mai via)

Ti sono grata oggi

                     (a mio padre)

Ti sono grata oggi - e lo sai - del tuo restituirmi

nel tempo il volto doppio delle cose,

la ferita irrimarginabile della ruga tra gli occhi,

grandi di malinconia, alla sconfitta dei giorni

che furono solo miei.

E grata ti sono della parola, canto libero

conquistato a fatica, e la risata ad abbattere

muri negli sguardi - estranei e vicini -

di quanti seppero a specchio corrispondermi,

con amore, l’amore offerto e ricevuto con amore.

Sconfitto è oggi il rimpianto di abbracci mai dati

mai avuti, cercati in sogno e restituiti

come debito o credito di un mare sempre atteso

sempre agognato e mai posseduto

(come volo di gabbiano alto su orizzonti mai

   perduti a raccontarmi le stelle dove da tanto

   abiti e scoprirti sulla mia pelle

                                     e radicato nel cuore)

 

E oggi desidero, ancora una volta, festeggiare mia MADRE e tutte le MADRI che ci vivono nel cuore, e non importa che ci siano accanto o ci abitino continuamente dentro, occupando tutti gli spazi dell’anima…

NON IMPORTA

Se non cammino più per raggiungerti a casa,

non importa.

Tu mi abiti nel cuore e ferme tieni con le tue mani

i manici della mia sedia con ruote e ci parliamo,

con labbra di mandorli e ciliegi in fiore, del passato

mai passato. Tu sempre presente e mai assente,

come me, ai tuoi occhi e mai al tuo amore.

Insieme ridevamo negli intoccati giorni di noi

in compagnia dei miei sogni da realizzare,

i tuoi nascosti sotto lo zerbino di casa

per ritrovarli intatti e aprire,

con la chiave del cuore, la porta dei sussurri

e dei nostri canti e incanti:

“vieni c’è una strada nel bosco…”, “suona solo

per me, o violino tzigano…”, “vorrei baciar i tuoi

capelli neri…”, “no, non è la gelosia…”

babbo ti dedicava

e io ti baciavo con la gioia di saperti bella e amata

tra il sole e l’inquietudine della pioggia che amavo

e ci ascoltava, ma da te mi separava con scrosci

e lacrime e profumi di rose che salivano dalla terra

e verticali arrivavano al Cielo dove oggi ti ritrovo

in una preghiera o forse tra le stelle, non importa.

L’importante e incontrarci ora e sempre

nell’amore che non muore e mi fa camminare

e correre e danzare per venirti incontro

a raccontarti di me e delle mie fragilità

in te mai riscontrate per i singhiozzi ingoiati

dal pozzo di ogni lacrima da me ignorata

e dal canto ritrovato nel profumo delle tue vesti

e del tuo corpo in festa.

Mio nascondiglio alla memoria d’ogni dolore

il pane quotidiano del tuo seno alla mensa

del nostro ultimo abbraccio che fu anche il primo.

(i lillà sono in fiore e i nontiscordardimè

   danzano tra i gelsi rossi del nostro cortile)

14 maggio

             (a mia sorella Anna Maria)  

E fu richiamo il tuo sussurro

nella telecamera che il tuo tormento

mi portava dalla stanza del dolore.

In lacrime Nicoletta riprendeva

il tuo flebile sorriso e al mio strazio

di Speranza disperata lo porgeva

nella complicità di saperti viva,

di volerti VIVA per portarti nella casa

da te amata, e dei vasi di ciliegi vagheggiati

col sogno di tornare a sorriderci ancora.

Non tornasti rondine contro vento

e spogli rimasero di te il cortile e il sogno.

(ma tu torni ad ogni alba ritrovata

  a vivere con noi dove sei sempre stata).

E parlerei di voi e con voi per millenni ancora nello straziato ricordo anche di quanti ho amato e perduto: Nicola e Pinuccio, Nelio e Rina con Michele, nonna Uccia e nonno Mario, zia Giulia, zia Tita e zio Armando. Zio Uccio e sua moglie. E zia Maria con zio Michele e Rosaria e Rita e Vincenzo. La grande Silvana e la sua amica Anna.  Gabriella la poetessa, mia coetanea. Selvaggia, la mia giovanissima e tenerissima “gazza”. Bruno e Corrado, Cris e Nico, Rosa dai biondi capelli e Rosa dai fulvi capelli, con Rina a farle compagnia. Giovanni, l’immenso poeta e fotografo di fama mondiale. Rossella. Dragan. E miliardi di altri, di cui si perdono le date, ma non l’Essenza di essere stelle luminose nel firmamento a vincere il buio di tutte le notti, accendendo fiaccole nel cuore.

A presto. Angela/lina 

mercoledì 15 ottobre 2025

Mercoledì 15 ottobre 2025: ottobre, novembre e dicembre: tre mesi di culle e di urne nel calendario del cuore...

Sono passati ben 10 giorni dal nostro ultimo incontro e finalmente ritorno a scrivere, ritorno a voi miei affezionati e pazienti lettori, che mi accettate così come sono: prolissa, piena di lungaggini superflue, emotiva, spero empatica, pronta a mettere in comune i sentimenti, quel nostro sentire corale che ci fa vibrare insieme e ci rende complici di un mistero più intenso di quello delle stelle, che stanotte mi hanno dettato queste parole. Abbiamo storie diverse, ma un comune sentire in quanto ogni nostra parola è viva e ci sollecita a raccontarci in un confronto a più voci: ognuna col proprio suono, il proprio ritmo interiore a renderci unici e liberi e veri. Oggi, per esempio, ho voglia di parlarvi di questi ultimi tre mesi dell’anno perché sono mesi che preludono all’inverno e ai ricordi sempre più forti tra chi è nato in questi mesi e chi ho perduto, per condividere con tutti voi le gioie e i dolori che non sono soltanto miei, ma di tutti noi, per non sentirci mai soli. A ottobre sono nati i miei due fratelli: Pino, il maggiore, il 3 ottobre del 1948, e il 10 dello stesso mese, Mimmo, nel 1950. Siamo ormai tutti vecchiotti e malandati, ma ci vogliamo ancora un mondo di bene. Ma il 4 ottobre è nata la figlia maggiore di Pino, Marica che oggi ha una figlia, Aurora, nel fiore degli anni e con tanti interessi e tanti progetti realizzati e ancora da realizzare. Sono le nostre proiezioni nel futuro che vedremo con i loro occhi. Ma il 4 ottobre è nato il mio grande amico serbo Dragan Mraovic, che abita da qualche anno tra le stelle. E sempre ad ottobre è nato il mio meraviglioso amico Cris Chiapperini, <stupendo poeta sulla carta e nell’anima e noto attore di teatro e televisione. Cris, ancora oggi, tra le stelle, illumina il firmamento quale grande poeta e grande attore. E non può essere altrimenti. Ben lo sanno i suoi amici attori, da Lino De Venuto, straordinario Van Gogh sulla scena di tanti prestigiosi Teatri, a Vito Signorile, che ancora emoziona e accende e riscalda, con la sua voce, la sua antica e nuova “Casa”: l’Abeliano. I baresi, e non solo, sanno di cosa parlo…> (tratto dal mio libro LA COCCINELLA DALLE SETTE PUNTE (SECOP edizioni 2023), in cui si possono leggere alcune poesie di Cris, inviatemi dalle sue due amatissime figliole e mie carissime amiche Caterina e Rossella, con altri preziosi aneddoti, che lo connotano magnificamente, come padre, amico, poeta.   E ho perso una persona di straordinaria cultura e altrettanta umanità: Bice Leddomade, docente di Psicologia dell’Età evolutiva negli anni ’70-’80 del secolo scorso. Con lei ho vissuto una esperienza formativa molto arricchente per un lavoro sulla dislessia, che mi ha vista sua collaboratrice fino a che una caduta non mi impedì di raggiungerla al terzo piano del nostro Ateneo a Bari. Ma, al di là di questa collaborazione, che io consideravo e considero un grande privilegio, Bice mi è molto cara perché fu lei ad accogliere per prima tra le sue mani un fascio di poesie che io non osavo far leggere a nessuno. Si illuminò. Mi sorrise con i suoi indimenticabili occhi verdi e mi disse che erano poesie da pubblicare senza perdere altro tempo. Lei stessa portò il fascicoletto al prof. Michele Dell’Aquila, ordinario di Letteratura Italiana nella facoltà di Magistero dello stesso Ateneo. Nacque così il mio primo libro di prose e poesie ANCORA UN FIORE (1982). Abbiamo mantenuto i contatti a lungo, poi, come spesso accade, subentrano altre urgenze di varia natura (familiari, professionali, e così via) per cui, a poco a poco, anche i rapporti più belli finiscono per subire i colpi del tempo. La notizia della sua morte un colpo al cuore, che non smetterà mai di amarla e di esserle grato. Accanto a lei desidero ricordare la grande Rita D’Amelio, docente di Letteratura per l’Infanzia, anche lei presso la Facoltà di Magistero dell’Ateneo barese. E anche con lei, negli stessi anni, c’è stato un bellissimo rapporto di amorevole materna amicizia. Severa con gli studenti, molto tenera con lo staff dei professori al suo seguito. Amava farsi chiamare “zia Rita” e ci dava amore e fiducia. Spesso voleva essere accompagnata da me per le vie di Bari e persino in banca, dove depositava parte del suo stipendio. Ed io le ero grata per tanta stima e fiducia. Poi, andò in pensione per sopraggiunti limiti di età, ma continuammo a sentirci a lungo per telefono e per lei era una gioia sentire la mia voce. Ma, a causa della sua galoppante ipoacusia, cominciò ad essere diffidente. Ad ogni chiamata si rifugiava nel rifiuto a rispondere fino a quando io non osai più chiamarla per non procurarle ulteriore paura e tremore. Poi… gli anni sono passati. Il 23 novembre del 2018, uscendo dall’Università (dove eravamo stati ospiti io e il mio carissimo amico e poeta Nico Mori della bravissima, luminosa, sorridente, attenta alle esigenze di ogni suo studente, della prof. Valeria Rossini - mia ex alunna delle scuole medie -, docente associata di Pedagogia, per presentare il mio romanzo Le piogge e i ciliegi, dedicato a mio nonno, presso l’Aula Magna del Magistero alla presenza dei suoi tanti studenti - mattinata davvero memorabile -) lessi il necrologio della prof. Rita D’Amelio, salita al Cielo. Tanti ricordi e tante lacrime. Si concludeva così un bellissimo periodo della mia vita professionale, amicale, affettiva. Dicembre, infine, si apre  con la nascita (2 dicembre 1973) di mia nipote Isabella, figlia della mia amatissima sorella Anna Maria e del suo sfortunato giovane sposo Nicola Parisi; nascita della mia meravigliosa mamma Melina nel lontano  3 dicembre 1919; il 20 dicembre la nascita del mio carissimo amico Biagio; il 23 quella dell’amatissimo poeta e scrittore Nico Mori; il 27 la nascita del meraviglioso, umile, generoso e grande poeta e fotografo di fama mondiale Giovanni Gastel della nobile famiglia Visconti di Milano. Ma devo ricordare tra rinnovate lacrime il volo tra le stelle di Cris e di Sevaggia C Serini, a cui dedico queste parole: alla mia dolcissima GAZZA che mi abita nel cuore da quando ho conosciuto il suo immenso Cuore. Anima di Cielo che svolazza nel mio giardino da quando due anni fa mi sorprese il suo andarsene in silenzio per non darmi pena come una figlia tenera e devota fa con la sua mamma per non morire in due. E lei vive in me più VIVA che mai. Alla mia immensa Selvaggia con tanto AMORE.

E oggi mi fermo qui per non coinvolgervi ancora di più tra le mie lacrime, che non posso fare a meno di versare per le tante perdite, tutte presenti nel cuore. A presto, Angela/lina

 

domenica 5 ottobre 2025

Domenica 5 ottobre 2025: GIORNATA MONDIALE DEGLI INSEGNANTI...

Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)

È un giorno importantissimo per il mondo intero: l’importanza dell’istruzione e dell’educazione quale diritto fondamentale per ogni bambino a qualsiasi longitudine e latitudine del nostro pianeta. E, così, i ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi, realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in tutte le direzioni della vita. Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno, singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni. Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella Scuola di ogni ordine e grado e… persino per Dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì, certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di svecchiare l’Istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore. Non ho mai voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado, casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti nella mia classe, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n. 118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che l’inclusività ancora oggi comporta.  Innanzitutto occorre avere la consapevolezza che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte dell’insegnamento) dalla “matetica” (scienza e arte dell’apprendimento) per poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno, comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto raggio. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Credo, infine, di dover partire dall’“avverbio di tempo adesso” perché, come scrive A.M. Mariani nel suo libro L’agire scolastico - Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, esso rivela un impegno immediato di chi desidera educare e lo fa soprattutto nella scuola. Perché rivela entusiasmo, ma nello stesso tempo la preoccupazione di non procrastinare l’intervento educativo che potrebbe percorrere strade più accidentate in futuro. Perché “adesso” è “l’unica frazione di tempo in nostro potere”. Ma mi sembra inevitabile partire dalle due istituzioni educative fondamentali per la crescita e lo sviluppo del bambino: la Famiglia e la Scuola.  Quest’ultima è l’Istituzione che ha l’intenzionalità pedagogica e le competenze metodologico-didattiche, compresi i mezzi e le attrezzature per svolgere il proprio compito nel migliore dei modi; la famiglia e l’intera comunità in cui opera sono coinvolte per offrire agli educandi più ampi orizzonti di ricerche, scoperte, conoscenze, saperi, applicabili in qualsiasi circostanza e situazione nella comunità di appartenenza. Attualmente, del resto, si assiste a un nuovo fenomeno di abbandono scolastico dovuto spesso alle nuove tecnologie della comunicazione, alle nuove composizioni familiari, che definiscono una diversa dispersione della personalità e una nuova crisi esistenziale dei più giovani scolari e studenti. Definiti, purtroppo, non di rado, dai loro insegnanti “incapaci, demotivati, ingombranti e stupidi”. A tale riguardo, mi ritorna alla mente la grande lezione di Don Lorenzo Milani, il prete scomodo della scuola di Barbiana, che, con i suoi ragazzi diseredati, puntò il dito contro la classe insegnante con la Lettera ad una professoressa in cui, tra l’altro, affermava che la scuola dei suoi tempi era “come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati” e che, dunque, aveva “un solo problema, i ragazzi che dis-perde” (L. Milani e la Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, (prima pubblicazione maggio 1967, un mese prima della sua morte), Libreria Editrice Fiorentina 2017). E, infatti, la scuola, come si veniva profilando in quegli anni, aveva profondamente deluso Don Milani e le motivazioni più profonde è facile scoprirle proprio in quella “Lettera”, prodotta con tutti i ragazzi di Barbiana che “facevano scuola” col “prete scomodo” anche di sabato e di domenica, senza soluzione di continuità, per affermare i diritti dei meno abbienti, attraverso “il possesso e l’utilizzo della “parola-scrittura”, fondamentale per rendere uguale il figlio dell’operaio al figlio del medico o dell’ingegnere. La pedagogia dell’emancipazione di Don Milani fu etico-politica per una società in cammino verso la democrazia e l’uguaglianza. Non a caso, la sua preoccupazione costante fu la scuola statale di quegli anni. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto – egli sosteneva - quanto far parti uguali fra disuguali”. Sono passati circa sessant’anni da allora, ma ancora oggi la scuola è rimasta, per alcuni versi, ancora lontana dalla vera inclusione per evitare ogni possibile esclusione, nonostante oggi si parli di “nuovi saperi” in rapporto a nuove “scienze dell’educazione”, come la sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia culturale, l’etnometodologia, la statistica, che hanno prospettato nuovi modelli scientifici” di insegnamento-apprendimento in una nuova scuola che si va sempre più facendo promotrice di cambiamento in questa società, come ho detto prima, in continua e rapidissima  trasformazione in tutte le sue istituzioni. Oltre alle nuove costellazioni familiari, per esempio, ci troviamo di fronte a studenti appartenenti ad altre culture, per l’intensificarsi dei flussi migratori, con notevoli problematiche a livello di istruzione, educazione, inclusione nella scuola e nella comunità sociale, con nuove   dinamiche inconsce” nei “processi cognitivi, gli atteggiamenti affettivi, le relazioni sociali ecc.”, come sostiene il prof. Cosimo Laneve nel suo libro La didattica fra teoria e pratica. Diventa sempre più importante allora una scuola accogliente per tutti con la possibilità di scoprire il valore del gruppo per l’apporto di ciascuno nella realizzazione dei molteplici progetti laboratoriali, oggi sempre più frequenti nei diversi “campi dei saperi”. Il tutto deve servire oggi a evitare la nuova dispersione scolastica e la “disperazione” delle nuove generazioni di fronte al devastante futuro che sembra profilarsi all’orizzonte dei tempi bui che stiamo vivendo tra nuovi terribili conflitti mondiali, nuovi totalitarismi, nuovi interrogativi   a cui è difficile rispondere tante sono oggi le contraddizioni della complessità del nostro tempo. Probabilmente tutto si tinge di grossi dubbi e vane certezze in un processo continuo di cambiamento e trasformazione nelle “variegate realtà della vita umana” (D. Capperucci). La maggiore speranza, a mio parere, della nostra riumanizzazione è affidata alla scuola e a quanti vi operano con coraggio, buona volontà, nobiltà di intenti. E concludo con alcuni versi che accendono i nostri cuori alla Speranza, che mai deve abbandonarci

                                                                  … il cielo

                                                                      infinito,

                                                               ciò nondimeno

                                                           del tutto presente

                                                      nella fugace pozzanghera

                                                            (Yves Bonnefoy)

A presto. Grazie. Angela/lina