Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)
È
un giorno importantissimo per il mondo intero: l’importanza dell’istruzione e
dell’educazione quale diritto fondamentale per ogni bambino a qualsiasi
longitudine e latitudine del nostro pianeta. E,
così, i ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara
difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di
detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e
demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e
da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca
di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo
amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io
alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in
cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi
nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di
socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi,
realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze
di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli
alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in
tutte le direzioni della vita. Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia
attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver
mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno,
singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e
la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni.
Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un
trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella Scuola di
ogni ordine e grado e… persino per Dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì,
certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze
pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti
per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di
svecchiare l’Istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e
concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo
molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il
periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado
fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore. Non ho mai
voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché
convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni
con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di
socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado,
casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti
nella mia classe, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la
stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n.
118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non
ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che
l’inclusività ancora oggi comporta. Innanzitutto occorre avere la
consapevolezza che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte
dell’insegnamento) dalla “matetica” (scienza e arte dell’apprendimento) per
poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più
opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno,
comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i
percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto
raggio. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più
inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Credo, infine, di dover partire dall’“avverbio di tempo adesso” perché, come scrive A.M. Mariani
nel suo libro L’agire scolastico -
Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, esso rivela un
impegno immediato di chi desidera educare e lo fa soprattutto nella scuola.
Perché rivela entusiasmo, ma nello stesso tempo la preoccupazione di non
procrastinare l’intervento educativo che potrebbe percorrere strade più
accidentate in futuro. Perché “adesso” è “l’unica frazione di tempo in nostro
potere”. Ma mi sembra inevitabile partire dalle due istituzioni educative
fondamentali per la crescita e lo sviluppo del bambino: la Famiglia e la
Scuola. Quest’ultima è l’Istituzione che
ha l’intenzionalità pedagogica e le competenze metodologico-didattiche,
compresi i mezzi e le attrezzature per svolgere il proprio compito nel migliore
dei modi; la famiglia e l’intera comunità in cui opera sono coinvolte per
offrire agli educandi più ampi orizzonti di ricerche, scoperte, conoscenze,
saperi, applicabili in qualsiasi circostanza e situazione nella comunità di
appartenenza. Attualmente, del resto, si assiste a un nuovo fenomeno di
abbandono scolastico dovuto spesso alle nuove tecnologie della comunicazione,
alle nuove composizioni familiari, che definiscono una diversa dispersione della
personalità e una nuova crisi esistenziale dei più giovani scolari e studenti. Definiti,
purtroppo, non di rado, dai loro insegnanti “incapaci, demotivati, ingombranti
e stupidi”. A tale riguardo, mi ritorna alla mente la grande lezione di Don Lorenzo
Milani, il prete scomodo della scuola di Barbiana, che, con i suoi ragazzi
diseredati, puntò il dito contro la classe insegnante con la Lettera ad una professoressa in cui, tra
l’altro, affermava che la scuola dei suoi tempi era “come un ospedale che cura
i sani e rifiuta i malati” e che, dunque, aveva “un solo problema, i ragazzi
che dis-perde” (L. Milani e la Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, (prima pubblicazione maggio 1967, un
mese prima della sua morte), Libreria Editrice Fiorentina 2017). E, infatti, la scuola, come si veniva
profilando in quegli anni, aveva profondamente deluso Don Milani e le
motivazioni più profonde è facile scoprirle proprio in quella “Lettera”,
prodotta con tutti i ragazzi di Barbiana che “facevano scuola” col “prete
scomodo” anche di sabato e di domenica, senza soluzione di continuità, per
affermare i diritti dei meno abbienti, attraverso “il possesso e l’utilizzo
della “parola-scrittura”, fondamentale per rendere uguale il figlio
dell’operaio al figlio del medico o dell’ingegnere. La pedagogia dell’emancipazione
di Don Milani fu etico-politica per una società in cammino verso la democrazia
e l’uguaglianza. Non a caso, la sua preoccupazione costante fu la scuola
statale di quegli anni. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto – egli sosteneva
- quanto far parti uguali fra disuguali”. Sono passati circa sessant’anni da
allora, ma ancora oggi la scuola è rimasta, per alcuni versi, ancora lontana
dalla vera inclusione per evitare ogni possibile esclusione, nonostante oggi si
parli di “nuovi saperi” in rapporto a nuove “scienze dell’educazione”, come la
sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia culturale,
l’etnometodologia, la statistica, che hanno prospettato nuovi modelli
scientifici” di insegnamento-apprendimento
in una nuova scuola che si va sempre
più facendo promotrice di cambiamento in questa società, come ho detto prima,
in continua e rapidissima trasformazione
in tutte le sue istituzioni. Oltre alle nuove costellazioni familiari, per
esempio, ci troviamo di fronte a studenti appartenenti ad altre culture, per l’intensificarsi
dei flussi migratori, con notevoli problematiche a livello di istruzione,
educazione, inclusione nella scuola e nella comunità sociale, con nuove dinamiche
inconsce” nei “processi cognitivi, gli atteggiamenti affettivi, le relazioni
sociali ecc.”, come sostiene il prof. Cosimo Laneve nel suo libro La didattica fra teoria e pratica. Diventa
sempre più importante allora una scuola accogliente per tutti con la
possibilità di scoprire il valore del gruppo per l’apporto di ciascuno nella
realizzazione dei molteplici progetti laboratoriali, oggi sempre più frequenti
nei diversi “campi dei saperi”. Il tutto deve servire oggi a evitare la nuova
dispersione scolastica e la “disperazione” delle nuove generazioni di fronte al
devastante futuro che sembra profilarsi all’orizzonte dei tempi bui che stiamo
vivendo tra nuovi terribili
conflitti mondiali, nuovi totalitarismi, nuovi interrogativi a cui
è difficile rispondere tante sono oggi le contraddizioni della complessità del
nostro tempo. Probabilmente tutto si tinge di grossi dubbi e vane certezze in
un processo continuo di cambiamento e trasformazione nelle “variegate realtà
della vita umana” (D. Capperucci). La
maggiore speranza, a mio parere, della nostra riumanizzazione è affidata alla
scuola e a quanti vi operano con coraggio, buona volontà, nobiltà di intenti. E
concludo con alcuni versi che accendono i nostri cuori alla Speranza, che mai
deve abbandonarci
… il cielo
infinito,
ciò
nondimeno
del
tutto presente
nella
fugace pozzanghera
(Yves
Bonnefoy)
A presto. Grazie. Angela/lina
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