domenica 5 ottobre 2025

Domenica 5 ottobre 2025: GIORNATA MONDIALE DEGLI INSEGNANTI...

Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)

È un giorno importantissimo per il mondo intero: l’importanza dell’istruzione e dell’educazione quale diritto fondamentale per ogni bambino a qualsiasi longitudine e latitudine del nostro pianeta. E, così, i ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi, realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in tutte le direzioni della vita. Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno, singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni. Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella Scuola di ogni ordine e grado e… persino per Dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì, certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di svecchiare l’Istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore. Non ho mai voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado, casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti nella mia classe, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n. 118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che l’inclusività ancora oggi comporta.  Innanzitutto occorre avere la consapevolezza che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte dell’insegnamento) dalla “matetica” (scienza e arte dell’apprendimento) per poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno, comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto raggio. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Credo, infine, di dover partire dall’“avverbio di tempo adesso” perché, come scrive A.M. Mariani nel suo libro L’agire scolastico - Pedagogia della scuola per insegnanti e futuri docenti, esso rivela un impegno immediato di chi desidera educare e lo fa soprattutto nella scuola. Perché rivela entusiasmo, ma nello stesso tempo la preoccupazione di non procrastinare l’intervento educativo che potrebbe percorrere strade più accidentate in futuro. Perché “adesso” è “l’unica frazione di tempo in nostro potere”. Ma mi sembra inevitabile partire dalle due istituzioni educative fondamentali per la crescita e lo sviluppo del bambino: la Famiglia e la Scuola.  Quest’ultima è l’Istituzione che ha l’intenzionalità pedagogica e le competenze metodologico-didattiche, compresi i mezzi e le attrezzature per svolgere il proprio compito nel migliore dei modi; la famiglia e l’intera comunità in cui opera sono coinvolte per offrire agli educandi più ampi orizzonti di ricerche, scoperte, conoscenze, saperi, applicabili in qualsiasi circostanza e situazione nella comunità di appartenenza. Attualmente, del resto, si assiste a un nuovo fenomeno di abbandono scolastico dovuto spesso alle nuove tecnologie della comunicazione, alle nuove composizioni familiari, che definiscono una diversa dispersione della personalità e una nuova crisi esistenziale dei più giovani scolari e studenti. Definiti, purtroppo, non di rado, dai loro insegnanti “incapaci, demotivati, ingombranti e stupidi”. A tale riguardo, mi ritorna alla mente la grande lezione di Don Lorenzo Milani, il prete scomodo della scuola di Barbiana, che, con i suoi ragazzi diseredati, puntò il dito contro la classe insegnante con la Lettera ad una professoressa in cui, tra l’altro, affermava che la scuola dei suoi tempi era “come un ospedale che cura i sani e rifiuta i malati” e che, dunque, aveva “un solo problema, i ragazzi che dis-perde” (L. Milani e la Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, (prima pubblicazione maggio 1967, un mese prima della sua morte), Libreria Editrice Fiorentina 2017). E, infatti, la scuola, come si veniva profilando in quegli anni, aveva profondamente deluso Don Milani e le motivazioni più profonde è facile scoprirle proprio in quella “Lettera”, prodotta con tutti i ragazzi di Barbiana che “facevano scuola” col “prete scomodo” anche di sabato e di domenica, senza soluzione di continuità, per affermare i diritti dei meno abbienti, attraverso “il possesso e l’utilizzo della “parola-scrittura”, fondamentale per rendere uguale il figlio dell’operaio al figlio del medico o dell’ingegnere. La pedagogia dell’emancipazione di Don Milani fu etico-politica per una società in cammino verso la democrazia e l’uguaglianza. Non a caso, la sua preoccupazione costante fu la scuola statale di quegli anni. “Perché non c’è nulla che sia ingiusto – egli sosteneva - quanto far parti uguali fra disuguali”. Sono passati circa sessant’anni da allora, ma ancora oggi la scuola è rimasta, per alcuni versi, ancora lontana dalla vera inclusione per evitare ogni possibile esclusione, nonostante oggi si parli di “nuovi saperi” in rapporto a nuove “scienze dell’educazione”, come la sociologia, la psicologia, la psicoanalisi, l’antropologia culturale, l’etnometodologia, la statistica, che hanno prospettato nuovi modelli scientifici” di insegnamento-apprendimento in una nuova scuola che si va sempre più facendo promotrice di cambiamento in questa società, come ho detto prima, in continua e rapidissima  trasformazione in tutte le sue istituzioni. Oltre alle nuove costellazioni familiari, per esempio, ci troviamo di fronte a studenti appartenenti ad altre culture, per l’intensificarsi dei flussi migratori, con notevoli problematiche a livello di istruzione, educazione, inclusione nella scuola e nella comunità sociale, con nuove   dinamiche inconsce” nei “processi cognitivi, gli atteggiamenti affettivi, le relazioni sociali ecc.”, come sostiene il prof. Cosimo Laneve nel suo libro La didattica fra teoria e pratica. Diventa sempre più importante allora una scuola accogliente per tutti con la possibilità di scoprire il valore del gruppo per l’apporto di ciascuno nella realizzazione dei molteplici progetti laboratoriali, oggi sempre più frequenti nei diversi “campi dei saperi”. Il tutto deve servire oggi a evitare la nuova dispersione scolastica e la “disperazione” delle nuove generazioni di fronte al devastante futuro che sembra profilarsi all’orizzonte dei tempi bui che stiamo vivendo tra nuovi terribili conflitti mondiali, nuovi totalitarismi, nuovi interrogativi   a cui è difficile rispondere tante sono oggi le contraddizioni della complessità del nostro tempo. Probabilmente tutto si tinge di grossi dubbi e vane certezze in un processo continuo di cambiamento e trasformazione nelle “variegate realtà della vita umana” (D. Capperucci). La maggiore speranza, a mio parere, della nostra riumanizzazione è affidata alla scuola e a quanti vi operano con coraggio, buona volontà, nobiltà di intenti. E concludo con alcuni versi che accendono i nostri cuori alla Speranza, che mai deve abbandonarci

                                                                  … il cielo

                                                                      infinito,

                                                               ciò nondimeno

                                                           del tutto presente

                                                      nella fugace pozzanghera

                                                            (Yves Bonnefoy)

A presto. Grazie. Angela/lina

  

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