martedì 6 febbraio 2024

Martedì 6 febbraio 2024: ALTRE CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO POETICO E NON SOLO...

E così stamattina ricevo questa bellissima sorpresa, sempre dalla mia carissima Giulia, e, aiutata da Nicola, mio nipote-angelo custode della mia vita in carrozzella, riporto qui il suo affettuosissimo messaggio: Carissima Angela, io mi ritengo fortunata quando tra una cosa e l'altra riesco a leggere una tua pagina qui, sul tuo blog. Oggi la tua pagina non è solo "dilettevole" ma è una vera e ricca lezione universitaria. IL VERSO, IL TEMPO, LA METRICA, le figure sintattiche e retoriche, l'importanza delle parole spesso inafferabili, insomma hai dato a tutti noi che scriviamo una spinta verso una poesia che sia frutto del cuore ma anche di tutti quegli elementi indispensabili a "costruire" la struttura dei versi. E tanto ci basti in un mondo che si riempie di poeti (o presunti tali) con una serietà clownesca, dimenticando che la semplicità e la forza emotiva di un verso possa dar vita ad un capolavoro, uno dei tanti della grande poesia italiana o straniera. Grazie Angela

Beh, cosa chiedere di più al nostro blog? Per me è molto importante questa condivisione di idee, commenti, esperienze di scrittura creativa, sintonie nei nostri modi di pensare, essere e comportarci. Le scelte che facciamo. I ricordi che ci riportano indietro negli anni alla “superba e fiera” giovinezza. Il disincanto che ci procura questo nostro tempo così difficile da vivere anche per l’inflazione dei “poeti della domenica” che pullulano nei social. Ringrazio Giulia per aver messo “il dito nella piaga”. Ne riparleremo appena avremo completato il resto delle caratteristiche del “linguaggio poetico”.

Intanto, tutti i vostri commenti mi hanno dato conforto. Non tutto è inutile sulla strada della conoscenza, sia pregressa che futura. Di Luigi Lafranceschina, per esempio, seguito sempre un po’ a distanza per via della sua serietà nel prefiggersi categoricamente posti di responsabilità e di oggettiva mediazione tra i colleghi, in una scuola da me mai amata, mi hanno conquistato letteralmente i ricordi universitari e di giovane professore di Lettere nel Liceo Linguistico.  E ci metto la mano sul fuoco sul suo impegno quotidiano! Di Anna Mininno mi è piaciuta tantissimo la sua forte e chiara e bella scelta di essere libera di seguire la vera poesia in fondo alla sua stessa anima nella sua compiutezza. E Anna sta scrivendo poesie davvero degne di ammirazione e apprezzamento, al di là di tutte le “regole” di questo mondo. E mi commuovono i messaggi di grande fiducia nelle mie riflessioni sul linguaggio poetico di Anna Maria Staffieri, che ho fortunatamente incontrato sulla mia strada; Mariantonietta Bellezza, che condivide con me una vita di bellissimi ricordi; Mariateresa Bari, che non ha bisogno delle mie parole o di suggerimenti; di Maria Pia Latorre, che può perfettamente sostituirmi con una o più marce in più; Francesca Petrucci, mia consuocera, che mi ha fatto ridere di cuore con la sua battuta; Maria Diblasio sempre entusiasta e attenta a ogni richiamo letterario e del cuore; e poi la mia carissima Elina Miticocchio con un nuovo fascio di incantate/incantevoli poesie tra le mani.

Ma ora riprendiamo con gli ultimi accorgimenti “tecnici” della scrittura poetica, così ci togliamo il pensiero:

-    Ci sono, poi, altre figure retoriche perlopiù miste come: il poliptoto, che fa ricorso alla stessa parola che in declinazioni o coniugazioni diverse cambia sia di suono che di significato o lo mantiene (la “rosa” nel “roseto” fiorì; rara “rosa” cambiò il suo volto di “rose”, e così via).

-    La personificazione: dare un’anima agli oggetti perché abbiano voce e comportamenti umani. Superflui gli esempi.

-    L’ipallage: consiste nell’attribuire ad una parola ciò che si riferisce ad un’altra parola della stessa frase o dello stesso verso (“dare i venti alle vele” al posto di “dare le vele ai venti”).

-    L’iperbato: rovesciamento delle parole molto simile all’anastrofe: i nascenti del sole raggi.

-    L’iperbole: intensificazione del significato di una espressione: bello come un dio.

-    Figura olofrastica: parola che sostituisce un’intera frase: andiamo in barca… “il mare!”.

-  Sillessi o sillepsi: concordanza a senso e non grammaticale: la gente andavano lontano.

-    Figura logofanica da logofania: pensiero che si fa ascoltare (vedi soliloquio). In prosa somiglia alla metalessi: figura retorica rara, di sostituzione. L’autore si sostituisce al pensiero del personaggio per puntualizzare alcuni aspetti che vuole evidenziare al lettore.

L’elenco potrebbe continuare a lungo…

Spetta, comunque, alla sensibilità del poeta, al suo ritmo interiore, al “suo” tema la scelta delle varie figure retoriche per rendere al meglio la bellezza di un verso, la suggestività di una poesia. Di qui il “suo” stile: del tutto personale e originale!

Occorre, ora (dopo aver fatto la scoperta dell’“acqua calda”, non senza noia e fatica per “cose trite e ritrite”), passare dal linguaggio poetico con tutte le sue “regole” (perché, se è vero che la poesia è una “folgorazione” che nasce da una emozione, è anche vero che, per fissare su carta quella emozione, occorre seguire degli “accorgimenti tecnici” che connotano il “modo di fare poesia”, come si è detto: i versi, le strofe, la metrica, la rima, la scelta delle parole e la loro sistemazione, le figure retoriche di suono, di significato…), e così via, non soltanto focalizzare queste “tecniche” quanto “praticarle”, per affinare il nostro particolare modo di scrivere in prosa e in versi.

Non a caso, si può parlare, con queste nostre riflessioni quasi quotidiane, nel nostro blog, di reciproca “educazione” alla scrittura creativa. E, in questo caso, è quasi un insieme di teoria e pratica del “fare poesia”: “Se ascolto, dimentico; se vedo, ricordo; se faccio, imparo”. Ma non ricordo più la fonte. Non ricordo più chi l’abbia detto, ma ritengo che si possa sottoscrivere questa semplice affermazione. Spesso annoto su foglietti di carta ciò che mi piace e che, il più delle volte, col passare del tempo, perdo.

Forse possiamo insieme prendere lo spunto da La mia piccola officina delle storie di Bruno Gilbert di ispirazione oulipiana per aggiungere un pizzico di creatività a quanto possiamo scrivere quotidianamente e senza alcuna pretesa di letterarietà. O forse anche sì.

Officina: laboratorio dove si opera, si produce. Dal francese “ouvrier”: produrre, lavorare. Nel nostro caso, “produrre strutture letterarie”.

Il testo si rifà a Cent mille miliard des poemes di Raymond Queneau (si ricavano poesie per oltre 200 milioni di anni!)

Regole: si parte da una poesia che viene modificata con parole diverse, lettere, o sillabe, scambiate, modificate, eliminate, aggiunte, per giungere ad una nuova poesia.

-    Si possono utilizzare le rime, purché non banali né rare.

-    Si deve avere un tema o una continuità tematica.

-   Si deve conservare la stessa struttura con particolari interscambiabili per modificare eventualmente il significato.

-   Si deve partire con la stessa costruzione grammaticale: 1= dove?; 2= quando? (complemento di luogo o tempo); 3= chi? (soggetto); 4= azione (predicato verbale); 5= che cosa? (complemento oggetto). Es. Di notte la lucciola illumina il cielo. (da notare: alla banalità del costrutto sintattico si contrappone la scelta delle parole per dare respiro poetico alla frase!). Si combinano, poi, le parole tra di loro per ottenere altre frasi: storie assurde, realistiche, poetiche, surreali, fantastiche, ecc. Frasi catturanti e accattivanti per stimolare l’immaginazione.

Bellissime le tecniche usate da Gianni Rodari nella sua Grammatica della fantasia.

Poi ci sono tanti modi diversi di esercitare la creatività, scrivendo poesie particolari:

-    Il “logogrifo”: cercare all’interno di una parola tante altre che vengono formate con le stesse lettere della parola data.

-    Il “tautogramma”: un testo con le parole che cominciano tutte con una lettera stabilita. Si possono inserire anche le rime per un effetto ludico.

-    L’ “acrostico”: una parola scritta in verticale in stampatello maiuscolo e ogni lettera diventa l’iniziale di un’altra parola, a cui si può aggiungere qualche connettivo logico intermedio per dare maggior senso alla frase a cui si potrebbe giungere.

-    Il “nonsense” e il “limerick” di origine inglese (Lewis Carroll e Edward Lear): il nonsense è un breve componimento poetico basato sull’assurdo (con o senza rima, ma con molto ritmo). Si pensi ad alcune filastrocche sul tipo del nostro “girotondo” che si faceva (o si fa) da bambini; il limerick, invece, dalla città irlandese Limerich in cui nacque e si diffuse ad opera di Lear, è un componimento di 5 versi con schema metrico AABBA e di ispirazione scherzosa, con contenuto assurdo e inverosimile, basato sulla seguente struttura: 1° verso= Chi? (indicazione di un protagonista, ma anche di un luogo; 2° verso= Cosa fa? (definizione o qualità del protagonista); 3° e 4° verso= Che succede? (azione e sviluppo dell’azione); 5° verso= conclusione ed epiteto finale (si riprende dal primo verso). In Italia i massimi scrittori e poeti di nonsense e di limerick sono Gianni Rodari, Nico Orengo, Toti Scialoja

-    L’ “haiku”: gocce di poesia. Composizione poetica di origine giapponese (XVII-XVIII sec.), caratterizzata da estrema brevità; delicata e lieve come un battito d’ali, contiene di solito un Kigo, ossia un elemento legato alle stagioni, alla natura, al paesaggio, secondo i canoni del buddhismo zen. Roland Barthes lo definisce: “Una visione senza commento… un istante intrattenibile”.

-     L’ “hai-kaizzare” la poesia (da “Hai-Kai”), componimento giapponese del XVI sec., formato da 36-50-100 versi: l’hai-kaizzazione consiste nel cancellare le parole di una poesia, conservando soltanto quelle finali di ogni verso, con cui si formano nuove poesie (R. Quenau, Segni, cifre, lettere, Einaudi, Torino 1981).

-    Il Gioco dei “pizzini”: foglietti bianchi con su scritto: “Lui” o “lei”, “con chi o cosa”, “dove sono”, “cosa fanno”, “come finisce”, “cosa dice la gente”.

-     I “calligrammi”o “poesie disegnate” (IV-IIIsec. a. C.): il poeta greco Teocrito scrisse il poemetto La Siringa, in cui la disposizione dei versi richiama la forma dell’antico strumento musicale fatto di canne (una sorta di flauto di pan). Ma è stato Guillaume Apollinaire con la sua “poesia visiva”, diffusasi nel Novecento, a definire tali componimenti “calligrammi”: Calligrammes. Poemes de la paix e de la guerre. Armand Bourgade, alla fine dell’Ottocento, scrisse un poema di 300 versi, alto 60 cm., con la forma della Tour Eiffel. Anche Lewis Carroll e l’italiano Mauro Faustinelli hanno scritto calligrammi. Non poesia fatta di suoni, dunque, ma di segni (non va colorata per non sovrapporre i due linguaggi visivi!).

-    I “papiers décupés” di Henri Matisse: poesia con colori espressi, evocati, interni.

-    La “percettibilità della forma” di Viktor Sklovskij: peculiarità del testo poetico, ottenuta con l’accordo tra ritmo, forme e scelte semantiche (o tratti semantici).   



Continua naturalmente domani!

Angela

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