Avverto
fortissimo il desiderio di ricordare oggi, ancora una volta e spero non sia l’ultima,
il mio tenerissimo amico Giorgio Bàrberi Squarotti, pubblicando una lettera (di
soli tre anni fa), che ritengo preziosa per me e la nostra meravigliosa
amicizia, ma anche per un altro amico del cuore, Nicola Pice, e naturalmente
per la SECOP, nostra coraggiosa e sempre più importante Casa editrice. E, senza
alcuna profanazione tanto è bella da meritare di essere condivisa, eccola nella
sua interezza:
“Amica carissima,
ho attraversato qualche settimana
faticosa per piccoli miei fastidiosi malanni che hanno comportato visite e
controlli che si sono conclusi piacevolmente. Qui fa molto caldo e l’afa pesa:
si può fare ben poco. Ho dovuto smettere di scrivere.
La tua lettera è un dolcissimo
conforto e un prezioso premio per quello che ancora riesco a fare, parlando e
colloquiando con coloro con cui vengo in contatto.
Io sono molto curioso delle forme
mutevolmente infinite della vita, che amo con tutti gli affanni, tutti i
dolori, gli orrori, le gioie, le grazie nella luce della speranza, la virtù
teologale a cui sono appassionatamente legato.
Per questo continuo a scrivere un poco
per me, per il piacere e l’ammirazione della Parola, e con gli altri che mi
tengono compagnia come la luce e il verde delle stagioni migliori. E tra tutti
scelgo te, che sai portarmi le parole del cuore scritte con il cuore.
Ti
sono grato dell’invio della grandiosa e ricchissima antologia poetica
(universale e rigorosamente storica), che ha organizzato e documentato il
professore Nicola Pice. È un’impresa valorosissima. Oltre alle ottime e
persuasive scelte il pregio dell’originalità assoluta è costituito dalle
interpretazioni critiche sempre profonde, nuove, geniali.
Dopo il 25 sarò nel mio paese delle
Langhe, Monforte d’Alba. Sono molto stanco, e ho bisogno di quiete e di
contemplazione per reggere all’età e soprattutto ai problemi famigliari.
A presto. Con i più affettuosi saluti. Giorgio”.
Mi piace commentarla, questa lettera, perché
Giorgio Bàrberi Squarotti, è qui non solo il critico letterario che tutti ben
conosciamo, ma il poeta delle “forme mutevolmente infinite della vita”, e di
queste perdutamente innamorato con le gioie e i dolori che ogni umana esistenza
comporta, perché filtrate dalla “luce della speranza, la virtù teologale a cui
sono appassionatamente legato”.
Ed è soprattutto l’amico che si
confessa con grande semplicità e franchezza, affrontando argomenti difficili da
affidare ad una semplice amica: la salute, gli affanni, i problemi famigliari,
la stanchezza, l’ansia di sentirsi pienamente appagato nel suo paese,
inerpicato nel cuore delle sue amate e sempre contemplate e cantate Langhe.
Stupendo l’avverbio che definisce la
sua vitalità ancora ricca di fremiti ed esplosioni d’incanti: “appassionatamente”.
E stupende sono le affermazioni: “per il piacere e l’ammirazione della Parola”…
“come la luce e il verde delle stagioni migliori”. Sintonia perfetta: anche lui,
come me, ha sempre scelto la bellezza e la pienezza delle parole dettate dal
cuore. Ma se non ricordo male anche Dante aveva fatto nella sua poetica del
dolce stil novo la stessa scelta (vedi Purgatorio XXIV canto: I’ mi son un che, quando/ Amor mi spira,
noto, e a quel modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando).
Mi sembra di essere immeritatamente
(io davvero formichina!) in ottima compagnia, tenendomi alla larga dai vari
sperimentalismi che hanno mortificato la Parola, svuotandola di significato per
privilegiare il significante, spesso senza senso. Senza nulla togliere al
fascino del nonsense di tanta poesia e
tanta prosa inglese (vedi le opere di Lewis Carroll), e non solo.
Nasce, a mio parere, da quella sua
curiosità appassionata della vita la totale adesione, con parole di esaltata
ammirazione, all’Antologia poetica sulle finestre, curata da Nicola Pice.
Giorgio Bàrberi Squarotti, infatti,
dopo aver parlato della sua ammirazione per la Parola, dettata dal cuore, e
della sua instancabile curiosità, che lo porta a contemplare ancora la vita
nelle sue innumerevoli forme, esordisce con “Ti sono grato”.
Quale espressione più bella e sentita?
Diventa conforto e consolazione tra tanta indifferenza e supponenza. Mi è
capitato che mi sia mancata una parola di riconoscenza, un semplice “grazie”, dai
tanti autori alle prime armi (e non solo), a cui ho offerto col cuore le mie parole
per i loro libri da pubblicare, mentre registro la dolcissima gratitudine di un
amico, uomo e scrittore e poeta di luminosa GRANDEZZA
per lunghissima esperienza letteraria e profondissima cultura e umanità. Ma, come si sa, l'umiltà è direttamente proporzionale alla grandezza delle persone. E si potrebbero fare tanti esempi.
Naturalmente, la gratitudine va estesa
alla “grandiosa e ricchissima antologia poetica (universale e rigorosamente
storica) che ha organizzato e commentato il professore Nicola Pice”. Senza la
validità critico-letteraria “originale e assolutamente geniale” della sua opera
non ci sarebbe stata neppure la preziosa e lunga annotazione alla mia lettera.
Chi ha avuto la fortuna di ricevere un
commento critico da parte di Bàrberi Squarotti, o di intrattenere con lui un
lungo carteggio, sa che aveva la squisita gentilezza di rispondere a tutti,
entro tempi brevi, e la generosità di incoraggiare ciascuno con poche, sapide,
attente frasi, scritte con la sua grafia minuscola, al limite della leggibilità.
Sempre rispettoso del lavoro altrui.
In questa lettera, invece, si notano
il suo entusiasmo e la sua ammirazione. Merito della lunga e meticolosa ricerca
operata da Nicola Pice e della sua capacità critica “originale e geniale”, che
indubbiamente gli deriva anche dai suoi studi classici, in cui si è sempre
immerso con passione e devoto impegno.
Ora, mio carissimo Nicola, dopo aver riportato
con gioia quanto scritto tre anni fa dal grande critico, mi coglie una certa
amarezza nel constatare che lo splendido input di Giorgio Bàrberi Squarotti a
far conoscere a vasto raggio la tua bellissima Antologia si è perso nel
silenzio di tre anni sicuramente ricchi per te, e per tutti noi, di altri
impegni culturali anche molto gratificanti, senza più dare seguito alla viva
luce di quel suo FARO acceso sulle tantissime poesie da te scelte con tanta
cura. Vorrei farti una proposta, che spero anche l’editore colga al volo: perché
non riprendiamo tra le mani quel tuo gioiello per riproporlo ancora all’attenzione
di quanti non l’hanno letto perché magari non ne conoscono neppure l’esistenza?
I buoni libri non hanno scadenze. Non sono
mai datati. Non passano, dopo soli tre mesi, lo spazio di una stagione appena,
nel dimenticatoio come oggi avviene, purtroppo. Complici forse anche i
distributori, che hanno fatto propria la teoria commerciale dell’“usa e getta”,
a cui ormai devono sottostare tutti i prodotti immessi sul mercato dei consumi.
Un buon libro non si deteriora come il
cibo. Anzi può diventare cibo per l’anima da assaporare nell’immediato e da riassaporare
meglio a distanza di tempo. Non passa di moda come un paio di stivali, ma sa
percorrere strade anche sterrate perché inconsuete e imprevedibili per tutti
gli orizzonti che possono disvelare.
Un buon libro è per sempre, come un
diamante. Mettiamolo in vetrina. Può darsi che chi lo guarda si possa
innamorare. E scoprire che è bello leggere e condividere quelle meravigliose emozioni
che solo i poeti sanno scoprire e “sentire” guardando dallo spazio, anche angusto,
della propria finestra di casa…
A riprova di quanto detto ecco una
poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti, diversa da quella antologizzata da Nicola
ma fortemente legata alla curiosità del poeta e alla possibilità di scoprire un
intero universo, da percorrere con gli occhi, per penetrare nel mistero immenso
e multiforme della vita.
Una strabiliante molteplicità di
finestre e di sguardi.
Il poeta dalla sua finestra guarda, attraverso
un’altra finestra, una giovane vedova all’interno della sua casa. Ne osserva l’abbigliamento,
i tratti del volto, le movenze, le azioni; ne studia desideri e stati d’animo. Poi,
insieme osservano dalle loro finestre, senza che gli sguardi di entrambi s’incrocino,
il mondo che è fuori in tutta la sua luminosità ed estensione. Un mondo esterno
che si anima, si dinamizza, pur conservando una sua staticità contemplativa. E,
poi, ancora i gesti della vedova, registrati dal poeta, che ritorna a guardare
nell’interno di quel salotto chiaro, deserto e accogliente della sua casa. In attesa.
E un intero racconto sulla giovane vedova,
di cui scopriamo tutto, si dipana attraverso quegli sguardi indagatori. La vita
stessa si fa lungo racconto della vita. Bastano due finestre dirimpettaie. Tanta
visionarietà. Tanta fantasia.
Giorgio Bàrberi Squarotti,
imprendibile poeta di mille innumerevoli mutevolissime realtà, che si sfrangiano
con i tanti enjambement tra sogno e
verità, più attesi che vissuti.
LA VEDOVA
La
vedova molto giovane ancora
ha,
leggero, un amplissimo cappello
nero
e un nastro che scende fino al dorso,
leggiadramente
mossi dalla brezza
che
dal balcone entra nella stanza
luminosa,
ove sono agili sedie
di
vimini, un divano bianco, basso,
uno
specchio argentato che cancella
con
il suasivo inganno il lutto e l’ombra
della
memoria, e la fa sorridente,
nuda
com’è, dorata, nell’attesa
di
un amore futuro. Lentamente
minuziosa,
riordina le ciocche
brune,
chiari rifà i grandi occhi che hanno
(forse)
pianto, ravviva le gote
troppo
pallide, segna di carminio
le
labbra tese, per il gioco minimo
della
mattina solitaria, liscia
le
cosce e i fianchi e anche il ciuffo sottile.
Alza
il capo alla fine, con stupore.
Vede,
oltre, affaccendati giardinieri
che
potano ligustri e rose e meli,
una
bambina passa, che sospinge
un
cerchio rosso, c’è un canale e specchia
l’annuncio
del passaggio di una barca
decorata
di fiori e frutti opimi,
ancora
più lontano due pavoni
sono
immobili in un prato, sul margine
estremo
della luce verde c’è
(o
s’intravede) già molto ingiallita
di
licheni una lapide, aguzzando
per
oziosa abitudine ricerca
la
data e il nome, miope com’è
non
vede che confusi segni, e infine
solleva
un po’ il cappello sulle chiome
che
si sono confuse, se le aggiusta
leziosa,
assorbe il vento nuovo, aspetta.
“Ti sono grata”, Giorgio, mio carissimo e rimpianto amico.
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