martedì 9 luglio 2019

Torino, 9 luglio 2016: Amica carissima,... ti sono grato... di Giorgio Bàrberi Squarotti

Avverto fortissimo il desiderio di ricordare oggi, ancora una volta e spero non sia l’ultima, il mio tenerissimo amico Giorgio Bàrberi Squarotti, pubblicando una lettera (di soli tre anni fa), che ritengo preziosa per me e la nostra meravigliosa amicizia, ma anche per un altro amico del cuore, Nicola Pice, e naturalmente per la SECOP, nostra coraggiosa e sempre più importante Casa editrice. E, senza alcuna profanazione tanto è bella da meritare di essere condivisa, eccola nella sua interezza:
“Amica carissima,
ho attraversato qualche settimana faticosa per piccoli miei fastidiosi malanni che hanno comportato visite e controlli che si sono conclusi piacevolmente. Qui fa molto caldo e l’afa pesa: si può fare ben poco. Ho dovuto smettere di scrivere.
La tua lettera è un dolcissimo conforto e un prezioso premio per quello che ancora riesco a fare, parlando e colloquiando con coloro con cui vengo in contatto.
Io sono molto curioso delle forme mutevolmente infinite della vita, che amo con tutti gli affanni, tutti i dolori, gli orrori, le gioie, le grazie nella luce della speranza, la virtù teologale a cui sono appassionatamente legato.
Per questo continuo a scrivere un poco per me, per il piacere e l’ammirazione della Parola, e con gli altri che mi tengono compagnia come la luce e il verde delle stagioni migliori. E tra tutti scelgo te, che sai portarmi le parole del cuore scritte con il cuore.
Ti sono grato dell’invio della grandiosa e ricchissima antologia poetica (universale e rigorosamente storica), che ha organizzato e documentato il professore Nicola Pice. È un’impresa valorosissima. Oltre alle ottime e persuasive scelte il pregio dell’originalità assoluta è costituito dalle interpretazioni critiche sempre profonde, nuove, geniali.
Dopo il 25 sarò nel mio paese delle Langhe, Monforte d’Alba. Sono molto stanco, e ho bisogno di quiete e di contemplazione per reggere all’età e soprattutto ai problemi famigliari.
 A presto. Con i più affettuosi saluti. Giorgio”.
Mi piace commentarla, questa lettera, perché Giorgio Bàrberi Squarotti, è qui non solo il critico letterario che tutti ben conosciamo, ma il poeta delle “forme mutevolmente infinite della vita”, e di queste perdutamente innamorato con le gioie e i dolori che ogni umana esistenza comporta, perché filtrate dalla “luce della speranza, la virtù teologale a cui sono appassionatamente legato”.
Ed è soprattutto l’amico che si confessa con grande semplicità e franchezza, affrontando argomenti difficili da affidare ad una semplice amica: la salute, gli affanni, i problemi famigliari, la stanchezza, l’ansia di sentirsi pienamente appagato nel suo paese, inerpicato nel cuore delle sue amate e sempre contemplate e cantate Langhe.
Stupendo l’avverbio che definisce la sua vitalità ancora ricca di fremiti ed esplosioni d’incanti: “appassionatamente”. E stupende sono le affermazioni: “per il piacere e l’ammirazione della Parola”… “come la luce e il verde delle stagioni migliori”. Sintonia perfetta: anche lui, come me, ha sempre scelto la bellezza e la pienezza delle parole dettate dal cuore. Ma se non ricordo male anche Dante aveva fatto nella sua poetica del dolce stil novo la stessa scelta (vedi Purgatorio XXIV canto: I’ mi son un che, quando/ Amor mi spira, noto, e a quel modo/ ch’e’ ditta dentro vo significando).
Mi sembra di essere immeritatamente (io davvero formichina!) in ottima compagnia, tenendomi alla larga dai vari sperimentalismi che hanno mortificato la Parola, svuotandola di significato per privilegiare il significante, spesso senza senso. Senza nulla togliere al fascino del nonsense di tanta poesia e tanta prosa inglese (vedi le opere di Lewis Carroll), e non solo.
Nasce, a mio parere, da quella sua curiosità appassionata della vita la totale adesione, con parole di esaltata ammirazione, all’Antologia poetica sulle finestre, curata da Nicola Pice.
Giorgio Bàrberi Squarotti, infatti, dopo aver parlato della sua ammirazione per la Parola, dettata dal cuore, e della sua instancabile curiosità, che lo porta a contemplare ancora la vita nelle sue innumerevoli forme, esordisce con “Ti sono grato”.
Quale espressione più bella e sentita? Diventa conforto e consolazione tra tanta indifferenza e supponenza. Mi è capitato che mi sia mancata una parola di riconoscenza, un semplice “grazie”, dai tanti autori alle prime armi (e non solo), a cui ho offerto col cuore le mie parole per i loro libri da pubblicare, mentre registro la dolcissima gratitudine di un amico, uomo e scrittore e poeta di luminosa GRANDEZZA per lunghissima esperienza letteraria e profondissima cultura e umanità. Ma, come si sa, l'umiltà è direttamente proporzionale alla grandezza delle persone. E si potrebbero fare tanti esempi.
Naturalmente, la gratitudine va estesa alla “grandiosa e ricchissima antologia poetica (universale e rigorosamente storica) che ha organizzato e commentato il professore Nicola Pice”. Senza la validità critico-letteraria “originale e assolutamente geniale” della sua opera non ci sarebbe stata neppure la preziosa e lunga annotazione alla mia lettera.
Chi ha avuto la fortuna di ricevere un commento critico da parte di Bàrberi Squarotti, o di intrattenere con lui un lungo carteggio, sa che aveva la squisita gentilezza di rispondere a tutti, entro tempi brevi, e la generosità di incoraggiare ciascuno con poche, sapide, attente frasi, scritte con la sua grafia minuscola, al limite della leggibilità. Sempre rispettoso del lavoro altrui.
In questa lettera, invece, si notano il suo entusiasmo e la sua ammirazione. Merito della lunga e meticolosa ricerca operata da Nicola Pice e della sua capacità critica “originale e geniale”, che indubbiamente gli deriva anche dai suoi studi classici, in cui si è sempre immerso con passione e devoto impegno.
 Ora, mio carissimo Nicola, dopo aver riportato con gioia quanto scritto tre anni fa dal grande critico, mi coglie una certa amarezza nel constatare che lo splendido input di Giorgio Bàrberi Squarotti a far conoscere a vasto raggio la tua bellissima Antologia si è perso nel silenzio di tre anni sicuramente ricchi per te, e per tutti noi, di altri impegni culturali anche molto gratificanti, senza più dare seguito alla viva luce di quel suo FARO acceso sulle tantissime poesie da te scelte con tanta cura. Vorrei farti una proposta, che spero anche l’editore colga al volo: perché non riprendiamo tra le mani quel tuo gioiello per riproporlo ancora all’attenzione di quanti non l’hanno letto perché magari non ne conoscono neppure l’esistenza?
I buoni libri non hanno scadenze. Non sono mai datati. Non passano, dopo soli tre mesi, lo spazio di una stagione appena, nel dimenticatoio come oggi avviene, purtroppo. Complici forse anche i distributori, che hanno fatto propria la teoria commerciale dell’“usa e getta”, a cui ormai devono sottostare tutti i prodotti immessi sul mercato dei consumi.
Un buon libro non si deteriora come il cibo. Anzi può diventare cibo per l’anima da assaporare nell’immediato e da riassaporare meglio a distanza di tempo. Non passa di moda come un paio di stivali, ma sa percorrere strade anche sterrate perché inconsuete e imprevedibili per tutti gli orizzonti che possono disvelare.
Un buon libro è per sempre, come un diamante. Mettiamolo in vetrina. Può darsi che chi lo guarda si possa innamorare. E scoprire che è bello leggere e condividere quelle meravigliose emozioni che solo i poeti sanno scoprire e “sentire” guardando dallo spazio, anche angusto, della propria finestra di casa…
A riprova di quanto detto ecco una poesia di Giorgio Bàrberi Squarotti, diversa da quella antologizzata da Nicola ma fortemente legata alla curiosità del poeta e alla possibilità di scoprire un intero universo, da percorrere con gli occhi, per penetrare nel mistero immenso e multiforme della vita.
Una strabiliante molteplicità di finestre e di sguardi.
Il poeta dalla sua finestra guarda, attraverso un’altra finestra, una giovane vedova all’interno della sua casa. Ne osserva l’abbigliamento, i tratti del volto, le movenze, le azioni; ne studia desideri e stati d’animo. Poi, insieme osservano dalle loro finestre, senza che gli sguardi di entrambi s’incrocino, il mondo che è fuori in tutta la sua luminosità ed estensione. Un mondo esterno che si anima, si dinamizza, pur conservando una sua staticità contemplativa. E, poi, ancora i gesti della vedova, registrati dal poeta, che ritorna a guardare nell’interno di quel salotto chiaro, deserto e accogliente della sua casa. In attesa.
E un intero racconto sulla giovane vedova, di cui scopriamo tutto, si dipana attraverso quegli sguardi indagatori. La vita stessa si fa lungo racconto della vita. Bastano due finestre dirimpettaie. Tanta visionarietà. Tanta fantasia.
Giorgio Bàrberi Squarotti, imprendibile poeta di mille innumerevoli mutevolissime realtà, che si sfrangiano con i tanti enjambement tra sogno e verità, più attesi che vissuti.
LA VEDOVA
La vedova molto giovane ancora
ha, leggero, un amplissimo cappello
nero e un nastro che scende fino al dorso,
leggiadramente mossi dalla brezza
che dal balcone entra nella stanza
luminosa, ove sono agili sedie
di vimini, un divano bianco, basso,
uno specchio argentato che cancella
con il suasivo inganno il lutto e l’ombra
della memoria, e la fa sorridente,
nuda com’è, dorata, nell’attesa
di un amore futuro. Lentamente
minuziosa, riordina le ciocche
brune, chiari rifà i grandi occhi che hanno
(forse) pianto, ravviva le gote
troppo pallide, segna di carminio
le labbra tese, per il gioco minimo
della mattina solitaria, liscia
le cosce e i fianchi e anche il ciuffo sottile.
Alza il capo alla fine, con stupore.
Vede, oltre, affaccendati giardinieri
che potano ligustri e rose e meli,
una bambina passa, che sospinge
un cerchio rosso, c’è un canale e specchia
l’annuncio del passaggio di una barca
decorata di fiori e frutti opimi,
ancora più lontano due pavoni
sono immobili in un prato, sul margine
estremo della luce verde c’è
(o s’intravede) già molto ingiallita
di licheni una lapide, aguzzando
per oziosa abitudine ricerca
la data e il nome, miope com’è
non vede che confusi segni, e infine
solleva un po’ il cappello sulle chiome
che si sono confuse, se le aggiusta
leziosa, assorbe il vento nuovo, aspetta.
“Ti sono grata”, Giorgio, mio carissimo e rimpianto amico.

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