E vediamo di scoprire insieme questo suo diario così suggestivo e così intimo e scoperto attraverso le parole della bravissima Chiara Cannito, che mi ha affiancato giovedì scorso nella presentazione della Silloge, facendo un lavoro certosino di ricerca, attraverso le poesie, che ha sottolineato e letto con vera passione, gli argomenti su cui ha voluto porre alcune domande all’Autrice. Partendo, senza averlo concordato tra noi due dalla copertina e dal titolo del libro. Rossella è stata ben lieta di rispondere, e di approfondire alcune tematiche a lei care, riguardanti soprattutto il suo amore per i classici greci e latini e per il Teatro, forma d’Arte a lei molto congeniale. Il serrato dialogo tra Chiara e Rossella ha avuto nella voce recitante di Giovanni Botticella, caro amico della nostra Autrice, un felice riscontro, facendoci ulteriormente scoprire la bellezza dei versi presi in considerazione un po’ da tutte noi. Io, personalmente avevo scelto “De profundisis” (p. 43) perché si parla di portare alla superficie ciò che siamo nella nostra profondità più intima e più vera. Del resto, “De profundis” ci ricorda il Salmo 130 della Bibbia (famosissimi i versi “… L’anima mia attende il Signore/ più che le sentinelle l’aurora./ Israele attende il Signore,/ perché presso il Signore è la misericordia/ e grande presso di lui la redenzione…”). Ma è anche il titolo di una tra le più sofferte opere di Oscar Wilde, una Lettera che scrisse a “Bosie” (Lord Alfred Douglas), il suo amante, dal carcere di Reading, nel 1897, disperato e distrutto tre anni prima di morire, dopo essere stato condannato per “indecenza” e “atti osceni tra adulti di sesso maschile”. È una lettera struggente con richiesta di perdono al Signore, faro e luce della sua Redenzione. In “De Profundis” io ravviso lo stesso tema della speranza nel perdono, da dare, da ricevere, attraverso il “divino” che vive in noi, come in tante altre poesie che Rossella ha scritto e ama scrivere sul dolore profondo e sulle possibilità infinite di potersi redimere. Infatti, in “De Profundis” siamo in inverno, e tutto si fa bianco come un sogno, e tutto è silenzioso come il tormento del cuore, tutto è immobile e tutto precede un unico movimento per dare un addio a un amore di breve durata, che però ha lasciato una lunga scia di sofferenza, che Rossella ha avuto il coraggio di superare per amore dell’amore, di sé stessa e della vita. E tutto questo scoperto e definito anche da Chiara a chiare lettere come solo lei è in grado di fare. Ottimo anche l’intervento, una vera e propria incursione, del carissimo amico Antonio Stragapede, che ha rivolto a Rossella una domanda a bruciapelo sulla coerenza della sua poesia con la sua vita o il contrario, auspicando una presentazione tra settembre e ottobre, se non ricordo male, da lui realizzata in veste di interlocutore. Rossella Piccarreta, divertita, ha accettato con entusiasmo. Ma con entusiasmo ci ritroveremo in autunno anche con chiara Cannito per parlare ancora di Poesia. Con tanta POESIA.
Ma, non a caso, la primavera ritorna
(“Rondini e vento”, p. 60) ad ogni primavera, inseguendo il flusso di luce che
la parola rischiara e coinvolge. Il dono della parola che ri-crea, ricreando, la
stessa coscienza della parola. Il Logos illumina tutte le coscienze: dalla
cellula più piccola del nostro corpo alla più semplice parola che pronunciamo.
In pratica, il Logos è pensiero che si traduce in parola. Siamo tutti presenti
alla coscienza nella consapevolezza del Logos che illumina. Percepito, dunque,
come luce intensa, dorata, che illumina, guarisce, o ri-crea, o ri-vive
collegandola al primo istante in cui fu creata la vita. E la poesia la
trasmette intrecciandola in una relazione universale che ri-parte dalla
poetessa e la ricollega a tutti con tutto il Creato. La parola, pertanto,
guarisce tutti e tutto… acciacchi ... problemi esistenziali ... limiti di ogni
genere ... Basta un “soffio di vento”. Bastano “le rondini nei capelli” e le
“formiche tra i piedi”… Basta fare silenzio ed è facile avvertire il cuore “che
anela/ al vuoto sacro/ di un tempio (p. 61). Ed è qui che Rossella Piccarreta scopre
“la santità delle radici”, che è stata scelta e letta anche da Chiara e
commentata dall’Autrice. “Corrispondenza di amorosi sensi” tra noi? Sì,
corrispondenza di amorosi sensi! Pensiamo a un albero, le cui radici affondano
nell’humus della propria terra, ma ha il tronco e rami e foglie che si elevano
verso il cielo e dalla loro cima disvelano nuovi orizzonti, nuove prospettive,
moltissime nuove possibilità di incontri. E noi siamo completamente in quegli
incontri perché siamo completamente negli sguardi degli altri. Altrimenti non
saremmo, quasi non fossimo mai esistiti. È qui che Rossella Piccarreta scopre
la sacralità del corpo, e la sanità della sua anima alla mensa dei suoi
antenati che la vollero danzatrice in un Teatro greco e baccante in onore di
Dioniso, il dio del piacere, dell’ebbrezza, della follia, della fuga negli
Inferi e del suo riemergereper rinascere al miracolo della prima gemma sul ramo
(“Evoè”, p.73). Non a caso in questo suo annotare le stagioni e i giorni e i
mesi e gli anni, in continue cadute e scoramenti e in continue rinascite e
riprese, l’Autrice fa, ad un certo momento della sua vita, il punto della
situazione, scoprendo, per esempio, in “Così” (p. 84) un momento di serenità,
di pace, di armonia. Con sé stessa. Con gli altri. Ma non dura molto. La sua
anima inquieta la porta continuamente a vivere tra incontri e addii, tra la
fine e un nuovo inizio. Al buio di una notte insonne, alla luce di un giorno
ancora tutto da vivere. (leggere la poesia di Albert Camus: Nel bel mezzo dell’odio/ ho scoperto che vi
era in me/ un invincibile amore. // Nel bel mezzo delle lacrime/ ho scoperto
che vi era in me/ un invincibile
sorriso. / Nel bel mezzo del caos/ ho
scoperto che vi era in me/
un invincibile
tranquillità. // Ho compreso, infine,/
che nel bel mezzo dell’inverno,/ ho scoperto che vi era in me/ un’invincibile estate // E che ciò mi rende felice./ Perché
afferma che non importa/ quanto duramente il mondo/ vada contro di me / In me c’è qualcosa di più forte/ qualcosa di migliore / che mi spinge subito indietro).
Rossella
Piccarreta giunge, così, a un grido di speranza per la natura offesa, il genere
umano violentato da tanta violenza e da tanta ignoranza, sopraffazione,
perdizione: “Restiamo umani!”. Per ritrovarsi sempre come “Alice nel paese
delle Meraviglie”, nell’abito amato che più le appartiene. E ritorno, per un
attimo, in una commistione di già detto e di alcune riflessioni ancora da dire,
all’immagine di copertina e alle labbra
rosse, chiuse o appena dischiuse, come segni di impavida offerta della propria
carne che sarebbe oscena, secondo vecchi canoni etici ormai desueti, se non
avessero, nello stesso tempo, la sacralità della chiusura in un mistero di sé
stesse, della comune femminilità: intima e preziosa, ma anche, nuda, spavalda,
coraggiosa, intera, intensa, come il cambiamento della rinascita richiede. Ma le
letture di questo inquietante e innocente dipinto possono essere tante e tutte realizzate
attraverso frammenti delle esperienze di bene e di male vissute dall’Autrice in
ogni pennellata, in ogni “spatolata” di dinamica eleganza, nel gioco di luci e
di ombre per renderci complici di raffinatezza e di forte impatto estetico e
misterico. Di perdizione e salvezza. Di qui anche la bellezza del titolo nella
sua ossimorica sacralità.
Conclude
meravigliosamente Mariella Medea Sivo con la sua Postfazione, insolita,
attenta, ricca di richiami colti e appassionate e appassionanti deduzioni, che
non fanno una grinza. A partire dal gioco dei “se fosse”, tutto da leggere per
assaporarlo fino in fondo perché nessuno, fino ad oggi, ha saputo giocarlo come
lei. Persino quando scopre nei versi della Piccarreta la magia del silenzio
come “forma estrema di autodifesa e di ribellione” perché, alla fine, “tenace è
il suo autobiografismo, sicché la sua opera è come un diario steso per fissare
il corso dei pensieri e delle emozioni”. E qui combaciamo perfettamente, io e
Mariella, nello scoprire non solo una Silloge di poesie, ma il diario che la
accompagna lungo gli impervi sentieri della sua vita. Lo stesso diario è un
modo dell’Autrice di praticare il Kintsugi,
l’antica arte giapponese, che mirabilmente ripara oggetti di ceramica o
porcellana rotti, per decorare le crepe con polvere d’oro e d’argento, come
simbolo di continua rinascita. Anche attraverso la bellezza di ogni
frantumazione e riparazione. Araba fenice, Rossella, che sempre risorge dalle
sue ceneri.
Non
a caso, facendo in chiusura una “virata a U”, il suo primo libro, datato il
2015 per i caratteri della Nuova Palomar, si intitola (R)ESISTENZA, sottolineando il suo smisurato amore per la vita che
si ribella persino al Karma o Destino che dir si voglia. E lo fa, ancora oggi,
con l’estrema appassionata forza e lo straordinario coraggio che la POESIA le
dà...
Ancora grazie. Ancora grazie. Ancora
buone vacanze. Ancora e ancora Angela/lina
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