domenica 22 gennaio 2023

Domenica 22 gennaio 2023: la FELICITA', un percorso di rose e di spine in cui bisogna credere... (fine)

Oggi, contrariamente a quanto detto ieri, devo interrompere per un po’ il flusso della felicità che siamo andati insieme a registrare perché ho bisogno di parlare di gennaio in altri termini. Per me è un mese difficile da ricordare con serenità. Culle e urne a connotarlo. E oggi ho bisogno di fare una pausa per parlare di lei, nonna Angelina, la mia nonna materna di cui porto il nome. Il 22 gennaio di 55 anni fa ci lasciò per andare a raggiungere il nonno e la nidiata dei suoi tanti figli volati tra gli angeli tutti prematuramente. La fede aveva salvato entrambi i miei amatissimi nonni dall’immane dolore. E noi non li abbiamo mai sentiti recriminare. Mai. Per salvaguardare la nostra infanzia e la nostra gioia di vivere. Il nonno era il nostro sole, con la sua fantasia, le fiabe, gli aneddoti divertenti, i racconti di guerra, i ricordi. La nonna era il suo satellite. E una preghiera per tutti, vivi e defunti, le fioriva quotidianamente tra le labbra. In miei due nonni si completavano a vicenda e sui loro volti, nei loro gesti leggevamo tanto amore a tenerli uniti per oltre cinquant’anni. La nonna era più concreta del nonno nella sua semplicità, ma aveva contagiose lunghe risate, e tenere commozioni improvvise. Negli ultimi anni era quasi sempre seduta nella sua poltrona e d’inverno cadeva in una sorta di sopore che ci preoccupava ed era proprio lei a rassicurarci.  Mi piacerebbe parlare di lei a lungo. Ma in un blog non è consentito. Mi sembra giusto, però, dedicarle ancora oggi questi versi che scrissi per lei nel primo volume del mio romanzo Le piogge e i ciliegi, pubblicato, insieme al secondo, alcuni anni fa. Si tratta di una trilogia. L’ultimo volume è ancora in cantiere. Sono, comunque, versi che ripropongono ancora oggi tutto l’amore che ho nutrito e nutro per lei: Luna di pane tra nuvole lago/ s’affaccia bianca dal balcone di nebbia/ del passato/ Stupore…/ Tra candidi lembi di lino/ le mani di mia nonna ad afferrare/ con dita silenziose la morbida luna/ quasi ostia consacrata/ nella notte lievitata di resurrezione/ a deporla/ con cura di madre/ nella conca di farina acqua e sale/ Fatica innocente in gara con le sue/ le mie manine/ che occhi avevano a imitare carezze/ pugni e una croce/ E bolle d’aria volavano al cielo delle travi/ mia prigionia e mia libertà/ A treccia con gesti d’artista lei pettinava/ la massa e ne ricavava pani/ per la tavola nera lunga e stretta/ del garzone di forno e riso di bicicletta/ su labbra d’eterna canzone/ Festoso mezzogiorno di fragrante/ profumo che nella casa fioriva/ il suo ritorno/ Non chiedermi com’era…/ Cento lune e mille morti passarono/ Mille lune e cento pani sulla tavola/ e vino nel bicchiere/ Da tanto ho perso le chiavi della mia stanza/ Era il profumo della mai dimenticanza… (“Pane di luna luna di pane”)

Ma oggi ho preso anche l’impegno di completare il nostro confronto sulla felicità nella misura in cui sappiamo riconoscerla e vivere nelle piccole o grandi esperienze di vita quotidiana. È giusto che io rispetti quanto affermato ieri. Dunque, sappiamo che la felicità esiste. E questo già di per sé mi procura felicità. E sappiamo che è in grado di vincere anche il dolore e questo si evince anche dalla storia dei miei nonni: una storia di immenso amore a vincere immensi dolori.

Vediamo, intanto, qualche altra conferma. Parto da lontano, da “Felicità familiare”, uno scritto del 1859 di Leone Tolstoj: Ho vissuto molto, e ora credo di aver trovato cosa occorra per essere felici: una vita tranquilla, appartata, in campagna. Con la possibilità di essere utile alle persone che si lasciano aiutare, e che non sono abituate a ricevere. E un lavoro che si spera possa essere di una qualche utilità; e poi riposo, natura, libri, musica, amore per il prossimo. Questa è la mia idea di felicità. E poi, al di sopra di tutto, tu per compagna, e dei figli forse. Cosa può desiderare di più il cuore di un uomo?

E sappiamo benissimo che Leone Tolstoj è stato un filantropo, un grande scrittore, un pedagogista, a cui dobbiamo alcune teorie che hanno svecchiato la scuola tradizionale e i modelli educativi e coercitivi di un tempo per una educazione fondata sulla libera espressione del discente. Fu egli stesso educatore e maestro, ma purtroppo nelle sue scuole, moltiplicatesi su tutto il territorio russo sulla falsariga della scuola “Jasnaja Poljana”, da lui fondata per i figli dei contadini delle sue terre, all’insegna della libertà di apprendimento, appunto, ottenne più polemiche e sconfitte che successi. Ma non si scoraggiò mai, forte della fede in un Dio sentito nel profondo cuore dell’uomo e dell’amore unico ed eterno per e della famiglia.

Altro esempio alto di felicità raggiunta occupandosi degli altri è quello di Christian Bobin, scrittore e poeta francese, vincitore di molti importanti premi in Francia, conosciuto e letto per la sua “poetica del silenzio e delle rose”, degli “istanti puri” legati agli incontri con gli altri e all’insegna dell’amore per il mondo che ci circonda. Ecco stralci tratti da un suo scritto: … Un giorno ti sdrai, ti siedi o cammini, e tutto ti viene incontro senza fatica, non c’è più da scegliere, tutto quello che viene porta il segno dell’amore. Forse la solitudine e il silenzio non sono nemmeno indispensabili per degli istanti così puri. L’amore da solo basterebbe…; Noi cerchiamo tutti un’unica cosa in questa vita: essere colmati - ricevere il bacio di una luce sul nostro cuore grigio, conoscere la dolcezza di un amore senza tramonto. Essere vivo è essere visto entrare nella luce di uno sguardo che ama: nessuno sfugge a questa legge, nemmeno Dio. (da L’insperata, Animamundiedizioni)

E di Papa Francesco, una visione un po’ diversa dell’amore, sempre però legata alla felicità che solo il prenderci cura degli altri possiamo raggiungere: l’amore è inquieto. L’amore non /tollera l’indifferenza.// L’amore è compassione.// Compassione significa mettere il cuore/ in gioco; significa/ misericordia./ Giocare il proprio cuore verso/ gli altri: è questo l’amore.// L’amore è mettere il cuore in gioco/ per gli altri.

Mi piace, a questo punto, anche la poesia “ALBA” di Alessandra Corbetta di Como, postata da Vincenzo Mastropirro sulla sua pagina. Vincenzo, fraterno amico, grande flautista e imperdibile musicista, cha musicato anche molti versi di Alda Merini, tanto cara a tutti noi: 

Se ti addormenti sulla mia ombra/ non spegneremo nessuna fiammella,/ i fiammiferi basteranno per un altro inverno/ e queste piaghe che invecchiano le mani/ seguiranno il corso del latte// Urge la pazienza della lievitazione lenta,/ serve sforzarsi per sottrarsi agli abbracci!// Fuori dalla finestra ci aspetta una resurrezione:/ colore di ambra e alba senza fine/ la preghiera che mi sentirai dire/ piegata sulle tue ginocchia.

È, come è facile notare, una splendida testimonianza di un presente, vissuto all’ombra/luce dell’altro/a, con immagini molto tenere e suggestive. È inutile sottolineare la evidente generosità di Vincenzo Mastropirro, a me molto caro anche per le sue dolci/amare poesie in una sempre più frequente commistione tra dialetto e italiano a darci suggestioni molto forti e originali. Vincenzo è non solo   compositore, ma anche docente di musica e magico concertista col suo meraviglioso flauto dolce. Ne parlerò ancora nel nostro blog.

Ed ecco pure una pagina della bravissima Antonella Coletti che tanto ammiro, con una sua poesia dedicata ad un’altra sensibilissima scrittrice-poetessa, che mi porto nel cuore, Rita Vecchi:

Tutto ti appartiene,/ e tu sali e ridiscendi, oh memoria/ d’anni luminosi che fan più pura/ l’essenza dei tuoi pensieri./ E ancora ti desti con il piede attutito/ d’una fiamma che scaldi le tue trecce/ di bimba./ E io penso… che se andassimo insieme/ lungo un solo sentiero,/ verso una sola via di questo mondo/ che ci porti a un solo più compassionevole/ mondo, lasceremmo/ un unico solco,/ Restano pagine ancora “della tua danza/ divina” e del tuo riserbo/ restano palpebre scavate/ sguardi lucidi e schivi su inviolabili/ vette. Restano sussulti di voci/ friabili, accese… su lividi muti

Come non amare questi versi così pieni di memoria e di grande sintonia tra le due poetesse da ipotizzare una sola voce lungo le strade di un mondo “più compassionevole”? più ricco d’amore oltre i “lividi muti”?

Di Maria Pia Latorre questa simpaticissima e molto acuta filastrocca, in rime e assonanze baciate, dedicata ai bambini e agli alberi. Il titolo “Il bambino e l’albero”:

- Da quando sei qui prima di me?/ Mi racconti qualcosa di te?/ - Che bello poterci parlare/ Ma tu mi stai ad ascoltare?/ Le mie braccia sono appoggio/ Mille specie trovano alloggio/ Nel mio tronco la potenza/ Sulla mia chioma a passo di danza/ Dammi tempo qualche mese/ E troverai altre sorprese/ Gemme, fiori, bacche e frutti/ Questi i doni che offro a tutti/ Se poi scavi nel profondo/ Nella terra dove affondo/ Verran fuori meraviglie/ Ben nascoste tra le foglie/ Tane, nidi, formicai/ Che salveranno orsi e ghiacciai/ Già ti chiedi: come mai?/ Sta’ a sentire e capirai/ Non mi voglio dare arie/ Sono storie millenarie:/ Tutto quanto vien da me/ L’aria e tutto quel che c’è.

Sono “storie millennarie”, appunto, di amore, generosità, condivisione, forte unione tra i bambini e il verde degli alberi nel sogno di una eterna primavera.

E lasciamoci con questo sogno tra le dita. Ci farà compagnia nel nostro andare… grazie a tutti. Angela

   

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