domenica 2 ottobre 2022

Domenica 2 ottobre 2022: Gli Angeli Custodi. Festa dei nonni: e io ricordo te...

          quasi un inizio      

Non dormo, ho gli occhi aperti per te.

Guardo fuori e guardo intorno.

Com’è gonfia la strada

di polvere e vento nel viale del ritorno…

Quando arrivi, quando verrai per me

guarda l’angolo del cielo

dov’è scritto il tuo nome,

è scritto nel ferro

nel cerchio di un anello…

(Vinicio Capossela, Ovunque proteggi)

Non dormo. Soffro d’insonnia da sempre. Ricordo che da bambina contavo i battiti del cuore nel buio che mi faceva paura e non sapevo andare oltre le dita delle mie manine e allora ricominciavo perché i battiti erano tanti e le mie mani erano solo due e non riuscivo ad andare oltre il dieci. Tu mi avevi insegnato a contare sulla punta delle dita, dapprima per indicare i miei anni: uno due tre… poi, per sapere il numero dei giocattoli: uno, la bambola; due, il cavalluccio; tre, il ferro da stiro; quattro, la cucina; cinque, il pianoforte…

Prendevi le mie manine e aprivi ad ogni numero un ditino perché fosse più semplice contare, perché fosse più chiaro il numero raggiunto. Non mi potevo sbagliare. Il pugnetto chiuso era il numero zero. Poi, ecco tirare fuori il pollice e poi l’indice e poi il medio, l’anulare e il mignolo

(cùssə ad arà cùssə a spruà cùssə ad accattà rə ppànə cùssə ad accattà rə mmìrə e cùssə? Friulì friulà friulì friulà…)

(questo ad arare questo a potare questo a comprare il pane questo a comprare il vino e questo? Friulì friulà friulì friulà)

e mi sfregavi il mignolino tra le tue dita e io imparavo e ti sorridevo appagata e mai stanca di ripetere il gioco per apprendere di più e meglio…

Non dormivo e gli occhi in quel buio centuplicavano i fantasmi che si assiepavano sul mio letto e occupavano ogni angolo della mia cameretta, togliendomi il respiro. Per addormentarmi contavo, ma gli occhi non si chiudevano. Avevo bisogno della tua voce perché sapevo che sapeva fare la magia di accendere tutte le luci della mia anima e un canto di gioia mi saliva alle labbra prima di sognarti o di prendere forza e coraggio da te.

                     Sempre presente nelle ore delle ansie e dei tumulti 

Non così quando pioveva. Allora era il suono cadenzato della pioggia a cullare i miei occhi. E la tua voce era un’eco che danzava tra le gocce del cielo, che veniva giù, e i miei pensieri colmi di te. Sempre così la pioggia. Anche oggi che non sono più bambina.

Non dormo ma la pioggia mi calma. Mi porta da lassù fili d’acqua cui aggrapparmi per non naufragare e per tentare ogni volta la risalita. Mi porta la tua voce. Che mi offre un ombrello sempre più rabberciato, ma sicuro di rifugio e protezione.

                                  La pioggia m’intenerisce e mi rallegra

La pioggia ha un vago segreto di tenerezza

una sonnolenza rassegnata e amabile,

una musica umile si sveglia con lei

e fa vibrare l'anima addormentata del paesaggio.

 

È un bacio azzurro che riceve la Terra,

il mito primitivo che si rinnova.

(…)

È l'aurora del frutto. Quella che ci porta i fiori

e ci unge con lo spirito santo dei mari.

Quella che sparge la vita sui seminati

e nell'anima tristezza di ciò che non sappiamo.

La nostalgia terribile di una vita perduta,

il fatale sentimento di esser nati tardi,

o l'illusione inquieta di un domani impossibile

(…)

E son le gocce: occhi d'infinito che guardano

il bianco infinito che le generò…

(Federico G. Lorca, stralci della poesia “Pioggia”)

Piove. Il cielo viene giù e, come da bambina, sporgo le mani oltre i vetri, che mi portano l’autunno in casa, per afferrarlo nelle gocce trasparenti e leggere che raccontano forse storie di lacrime o solo pioggia che cade, sussurro di parole lontane. Ripropongono un tentativo di rossoazzurro perpendicolare che è più un desiderio che un colore. Cadono gocce di cielonuvole sulle mie labbra assetate e sul viso proteso al fresco incanto. Cadono sul giallo bruciato del giardino che è un colore vero d'alberi di foglie di siepi. Fanno salire dal basso profumo di terra... ricordo lontano... il cortile... un inno di gelsi rossi e di rose che mi esalta e mi rincuora.

La pioggia, a volte, può essere Musica d’arpe con mani d’angeli, Ritmo di marce di bimbi nel gioco del loro andare alla conquista del mondo, Voce antica in un richiamo d’altro tempo oltre il tempo

(cielo a pecorelle pioggia a catinelle… rosso di sera bel tempo si spera rosso di mattina la pioggia s’avvicina… ed erano modi di dire

rosso di sara beltempo si spara… e diventava un dramma

quando piove e tira vento fra’ martin resta in convento… ed era racconto

marzo pazzerello se c’è il sole prendi l’ombrello… già proverbio con avvertimento… non saltare sotto la pioggia ché ti bagni tutta… ansia e preoccupazione e ammonimento…

pio-ve pio-ve acqua di limo-ne… quasi un gioco quasi cantilena quasi voci di strada che entravano in casa e allagavano stanze e contagiavano allegria…

e piove piove sul nostro amor… fu canzone e palpito del cuore e fu addio…)

Mi piace la pioggia. Mi fa sentire meno sola. Accompagna la mia nostalgia. S’intrufola nella malinconia degli occhi e nei terrapieni del cuore a fatica costruiti. Poi tace e le stillanti foglie brillano di diamanti e rubini che il cielo sparge a piene mani. Splendore di luce rossodorata, ora che l’autunno si frantuma nel canto di questo tramonto… e il passato ritorna a legarmi ai giorni andati che mai più saranno e che pure sono...

Sempre così la pioggia... sempre così i tramonti pennellati d’autunno in una follia di venti e di foglie ad avvolgere l’anima...

                               Nella pioggia io ero... sono... rinasco...

                                              Tanti anni fa

Una sera, seduta sul mio balcone, al quarto piano, respiravo l’autunno che si sbriciolava tra le mani di un bimbo colme di chicchi d’uva. Aveva labbra rosse e zuccherine, il bimbo, quasi un piccolo clown a sua insaputa. Si confondeva con i colori di settembre: l’oro antico dei capelli, il bruno intenso degli occhi, il rosa bruciato del visetto che tratteneva l’ultimo sole e le orlate nuvole leggere che assiepavano il cielo contro il tramonto. Una camiciola verde spento, quasi una foglia sospesa, a scoprire le gambette nude e scure. Il richiamo di sua madre precedette le ombre della sera, la corsa delle macchine lungo la strada, i passi di uno sconosciuto all’angolo di casa.

Poi, venne la pioggia. Sottile. Fitta. Saltellante e leggera. Intrisa ancora di sole.

La foglia autunnale di carne riccioli incoscienza fece un piccolo volo e scomparve dietro la voce amata. Rimasi sola. A guardare la strada. La faccia anonima di quelle case a più piani a limitarmi il cielo di sangue, trafitto di pioggia e da mille antenne. L’ultimo volo di sparute rondini verso la libertà d’altri orizzonti. E non seppi più se fosse un tramonto cosmico o personale sotto “le lacrime degli angeli” sui miei capelli, sul vestito, tra le mie mani stupite ancora di stupori.

Ebbi cent’anni e nostalgia di ritornare bambina, quasi ad esorcizzare il buio che sentivo incombere sui frastagliati terrazzi e tra i miei pensieri, e che da anni aveva ingoiato la tua presenza. Sentii crescermi dentro un’ansia d’altri tempi. Era nostalgia di te. Mi mancavi più della mia infanzia.  Avevo bisogno di riproporti ai miei giorni, presente come l’alba dei miei bimbi, foglie tenere, trattenute nella serra luminosa e pavida della mia casa e, perciò, con meno voli della foglia sparita nel buio portone della sua casa. I miei figli non avrebbero mai ballato come me e te sotto la pioggia. Non sarebbero mai scesi per strada a saltare sulle righe tra le mattonelle. Non avrebbero mai sentito la tua carezza sui loro volti di zucchero e porcellana.

                                        Un abisso li separava da te

Sentii l’urgenza di scriverti per riportarti a me. Per chiederti di tornare e cominciai con la penna dei ricordi sul foglio stropicciato del presente: Nei percorsi del cuore ogni volta ricomincio da te, alfa e omega della mia vita. Solo in te è forse possibile ritrovarmi ancora. Riscoprirmi pagina bianca da scrivere. Da raccontare… E, nel raccontare te, racconterò la mia storia e quella di molti altri che ho incontrato guardato conosciuto amato ignorato subìto allontanato dimenticato ricordato. Racconterò… e tu ci sarai in un eterno presente dopo ogni tuo ritorno.

 Non raccontai. No. Quando rientrai in casa era già un'altra storia. Altro tempo. Persa in quel foglio stropicciato della mia vita di...

        Donnamogliemadre.insegnanteformatrice.scrittricepoetessasaggista

a tempo perso, nei ritagli d’insonnia che facevo miei e mi pressavano con altre urgenze di progetti da realizzare, programmi da rispettare, illusioni ancora da vivere.

                Granello di polvere in sospensione nell’aria senza posarsi mai

Trascorsero così anni e anni ancora, nel vortice di nuovi impegni, nuove storie, nuovi incontri, nuove chimere, nuovi progetti.

Nuove piogge a frantumare i miei cieli di ciliegi e mandorli e ulivi e canti di sirene che mi giungevano dal mare in un abbraccio di acque e di parole.

Parole. Le parole da dire, da inventare, da scrivere, da correggere. Quasi la vita fosse un continuo errore da evidenziare da evitare.

                                          Da riproporre… Da dimenticare...

                           Anni al massacro quotidiano di ossa mente cuore...

Anni e ancora anni con baci e abbracci, più pensati che dati, ai miei figli: spalle bambine misurate dalle mie mani col metro del loro farsi sempre più tracimanti e imprendibili in giorni bambini di giochi e fiabe, in giorni adolescenti di scuola, scoperti tra macchie di rossi mestrui e prime ombre di nero sul mento, nelle camere separate del sonno e dei sogni, delle voci a raccontarmi, in brevi ore, le paure, l'attesa e i primi amori.

E ninne nanne per la piccolina a scacciare lupi neri a creare dolci intese

(fai la ninna/ fai la nanna/ ninnananna bambina/ fai la ninna/ fai la nanna/ fai la nanna mio tesoor/ sì fai la nanna o mio tesooor

patatà patatì patatina come te…/ bambina piccolina/ patatina/ col naso piccolino/ patatino/ tu come nelle favole/ sei nata sotto un cavolo/ in un mattino limpido/ sei nata tu…/ patatà/ patatì/ patatina come te…

chi asciugava i pianti miei / mamma buona era lei,/ chi in cucina cucinava/ mamma cuoca canticchiava,/ io la sera nel lettino,/ mamma nanna a me vicino,/ mamma compagna poi,/non mancava mai…

non si va in cielo non si va in cielo/ in pininfarina/ in pininfarina/ perché in cielo perche in cielo/ non c’è la benzina non c’è la benzina…

era una casa tanto carina/ senza soffitto e senza cucina,/ non si poteva andare a letto/ in quella casa non c’era in tetto,/ non si poteva far la pipì/ perché non c’era vasino lì…)

In silenzio, la sera, prima del chiudersi di occhi ansiosi sul buio della veranda, e un vago senso di paura allo sfinirsi delle nostre voci rapide e fugaci per il mio giorno stanco e senza incontro...

(cosa ci raccontiamo stasera? del tuo cuore che batte per il ragazzino occhi di sole?...

dei tuoi sogni di colori e segni sul foglio e parole da inventare? ne hai disegnati ancora con matita e fantasia?...

c’era una volta e c’era… c’era una bambolina di cera che faceva compagnia ad una bimba che dorme con le sorelle sempre nuove e sempre quelle…

oh quante belle figlie madama dorè o quante belle figlie… e io ne voglio una madama dorè e io ne voglio una… che cosa ne vuoi fare madama dorè che cosa ne vuoi fare? la voglio maritare madama dorè la voglio maritare

e ora cercate di addormentarvi cercate di pensare alle cose belle che vi piacciono al mare alle stelle ai fiori alle coccinelle e le farfalle alle persone che vi vogliono bene alle cose che vi fanno ridere e a quelle che vi fanno sognare agli angioletti…)

          Solo la pioggia a farmi compagnia. Di tanto in tanto. La pioggia

(tac tac tac… tactactac… tctctctctctctctctc… tactactactac… tac tac tac…tac tac…tac…tctttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttctctctctctctctctctctatc…t…)

                                                      Tu, sempre

Ma, prima della pioggia a irrorarmi pensieri e cuore, più che il suo scrosciare sull’asfalto, ho ancora un bimbo da salutare con occhi di sonno nella sua foresta tropicale di alberi e liane e un improbabile fiume e un sottobosco di leoni e tigri e giraffe a fargli compagnia

(e il mio bimbo solo soletto nel rossoarancione del suo letto attende la sua mamma fai la ninna fai la nanna e ha occhi grandi di coraggio per inseguire scoiattoli e pantere in un fantastico viaggio tutte le impaurite sere e tarzan che viene e che va su liane o sugli autobus di città in un bosco di gnomi e maghetti che dormono tutti nei loro letti e tanti indiani fatti prigionieri che corrono corrono su veloci destrieri ad afferrare il dolce sonno dopo ogni mio ritorno dormi bimbo mio bello fai la nanna dormi che è tanto stanca la tua mamma…

questo è l’occhio bello questo è suo fratello questa è la chiesina questo è il campanello… drin drin drin drin drin… drin drin drin drin drin…

Qualcuno male informato/ o più bugiardo del diavolo/ dice che tu sei nato/ sotto la foglia di un cavolo…// Queste notizie sono prive di fondamento/ ti ha fatto la tua mamma e devi essere contento!...

la macchina del capo ha un buco nella gomma,/ la macchina del capo ha un buco nella gomma/ la macchina del capo ha un buco nella gomma/ripariamo ripariamo con la ciùingomma…) 

                                           E intanto la pioggia…

(tttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttttt)

e sentirmi protetta da quel cielo che precipitava giù a creare una cortina di fili trasparenti e di suoni slargati e di voci attutite e di umori di asfalto bagnato senza profumo di terra sui miei giorni veloci, stanchi, vuoti di me, dei miei figli, del mio uomo, di mia madre, di te.

le piogge primaverili che cadono

sono lacrime, forse?

volteggiando i fiori di ciliegio

scompaiono

e non c’è uomo

che non li rimpiangerà…

(da Man’yoshu, antica raccolta

di poesie giapponesi)

Pioggia di parole a coprire la pioggia d’acqua. E il cielo in cascata liquida a coprire il ricordo delle ciliege. Le ciliege neppure più un ricordo. Quasi.

                                E, oggi, ricomincio. Riprendo a raccontare.

E, come sempre, mi trovi qui tra le mie carte e le mie nuvole. In una nuova casa che ha finestre d’aria e sandali che affondano nel verde di un giardino d’alberi e di rose, lantane e gelsomini e grappoli d’azzurro-pervinca in caduta libera sotto un arco di glicini in fiore.

Mi trovi qui, rannicchiata tra braccia invisibili che vorrei forti sui miei vuoti da colmare... vuoti da colmare... anche con un tempo che non può tornare, ma non può essere dimenticato... Raccontare per non dimenticare… Perché i miei nipoti e pronipoti sappiano che la loro storia non è cominciata con i giorni conosciuti, ma con tutti quelli ignorati e da altri vissuti prima che loro si affacciassero al mondo.

Perché i giovani conoscano la Storia non dai libri, ma da chi ha lasciato orme di sogni e di dolore lungo le strade che oggi percorrono.

Orme che hanno segnato lunghe scie traslucide, come bava di lumaca, sui muri della dimenticanza e dell'indifferenza. Lunghe scie negli occhi di chi ha ancora uno sguardo diviso tra ieri e domani. E il passato attraversa il presente per farsi futuro. E nel presente affondano/affiorano i ricordi.

No, non si può dimenticare. Non si deve dimenticare. Sarebbe come edificare nuovi progetti di vita sul vuoto di un abisso che solo Mary Poppins può sorvolare agganciata al manico di un ombrello in volo. Ma è una fiaba.

Il vuoto e un ombrello volante non ci sono mai stati nella storia vera degli uomini...

E parto, come so, dalle piogge di parole, d'acque e di stelle cadenti. Che quel vuoto hanno colmato in terrapieni da percorrere per poter crescere e diventare forte e resiliente

(non mollare mai guardati allo specchio e scopri nei tuoi occhi i sogni che devi ancora realizzare negli orecchi l'eco dei passi che ti hanno preceduto e li hanno preparati tra le mani aghi e fili di pioggia per lavare ferite ricucire progetti ricamare nuovi arcobaleni senza la pioggia non c'è arcobaleno non lasciarla cadere come sabbia dalle tue mani non disperdere tutti i colori della vita per rifugiarti nel grigio dell’indifferenza non mollare mai non m…)

Parto dalle parole che mi hanno cullato e insegnato a camminare e a scoprire il piccolo mondo della nostra casa per andare oltre.

Dalle foglie bambine di fremente tenerezza che mi hanno incantato.

                                                      Parto da te

(aveva un vecchio cappello, la giacca logora. L'acqua gli passava attraverso le scarpe. E le stelle attraverso l'anima...)1) 

                                             Tu, inseguitore di sogni...

Sogni che mi hanno nutrito e mi vivono dentro ancora... Sì, comincio da te. Che continui ad essere sogno e realtà.

                                            Ad esserci e a proteggermi.

Comincio da te, ma con te è tutto un mondo ormai sparito che rivive nella memoria e si fa presente, palpitante e vero ai nostri giorni.

Tu incarni e universalizzi il senso dell’“Uomo”. Nella sua accezione più bella.

Uomo-spiga di sole e luna di pane, girandola d’arcobaleni, svolazzo di cieli, sorriso di onde, riserva di granai, misura di bilance, chiarezza di pianure, altezza di monti, abbraccio di ponti, crocevia di genti.

L’Uomo che vorremmo/dovremmo riscoprire oggi perché questo nostro tempo abbia altro tempo e altre storie, antiche e sempre nuove, per ricominciare… Sì, ricominciare.

E per farlo parto dal nostro incontro nel primo giorno del mondo.

Io conobbi te. Tu me…

(ritornano di pioggia e di vento

le tue magiche parole che sotto

il piombo di giorni di sgomento

raccolgo in un canto d’amore

 e del sogno che non può morire).

(stralcio di “Scroscia a maggio la pioggia”,

da L’ora dell’ombra e della riva, Secop, 2015)

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  1. Victor Hugo, “Ho incontrato per la via”,                 

da Frasi e Aforismi (Amore).

 (NB: da A. De Leo, Le piogge e i ciliegi, Secop edizioni 2017, Corato-Bari, I vol., I capitolo) 

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