Tre giorni fa abbiamo festeggiato con l’Epifania il mistero dei Magi in cammino verso la grotta di Betlemme per offrire i loro doni (oro, incenso e mirra) a Gesù Bambino. Il Re dei re, nato povero in una grotta e depositato con amore da Maria, sua madre, in una mangiatoia perché fosse riscaldato dal fiato di due animali da lavoro: il bue e l’asinello. E abbiamo approfondito il bellissimo significato e l’infinito senso del DONO, di cui ho parlato sulla mia pagina FB. “Dono” che qui, sul blog, si accende come fiore d’inverno al sorgere dorato della nuova alba del Nuovo Anno, che ci vede nuovamente insieme a fare scongiuri e a sperare in un cielo migliore. Ed è il dono stesso che presuppone un “io” (che compie il gesto del donare), un “tu” (che riceve quel pensiero) e una parola magica “grazie” (che trasforma immediatamente l’io e il tu in “NOI”).
E, allora, mi sembra
giusto riportarmi al libro di Simone
Cristicchi, da cui siamo partiti, alcuni mesi fa, per scoprire che la
parola, che segue a quelle già evidenziate nel percorso che insieme stiamo
facendo alla conquista della felicità, è proprio il pronome personale “NOI”,
declinato al plurale. Già, dopo il talento e le riflessioni su questo dono che,
in varia misura, ciascun essere umano riceve alla nascita da madre natura o dal
buon Dio, subito Simone procede con alcuni esempi di persone con talenti
particolari che sarebbero rimasti perlopiù sconosciuti se, in qualche modo, non
fossero stati scoperti e comunicati agli altri, che magari non avevano avuto la
stessa intuizione ma possedevano le competenze giuste per prendersene cura e
sostanziarli di nuovi apporti. In pratica, anche il talento ha bisogno di un
“NOI” per esprimersi al meglio di sé. Da soli si fa poca strada. Insieme si
moltiplicano orizzonti e percorsi.
Il suo paragrafo
intitolato “Noi” ha un esergo: Tutta la
felicità nel mondo deriva dal pensare agli altri; tutte le sofferenze nel mondo
derivano dal pensare solo a sé stessi. (Shantideva).
Simone scrive: Ci capita spesso di passare dall’Io al Noi
per un evento di breve durata, forse più abbandonandoci alla sua potenza che non
domandandoci cos’è che l’ha provocata e come potremmo prolungarla. Ci sentiamo
uniti magari allo stadio, davanti a una partita degli Azzurri, durante un
concerto, o cantando dai balconi, com’è accaduto nella prima ondata della
pandemia. E dopo? Che succede dopo? Siamo soddisfatti, compiaciuti, ma non
tentiamo di ricreare quella sensazione di insieme. Eppure siamo stati noi a
generarla. Senza “ognuno”, non esisterebbe “tutti”. È come se avessimo le
chiavi, ma ci dimenticassimo di usarle. Come se avessimo la cura, ma non
riuscissimo a diagnosticarci la malattia, cioè l’individualismo. Il noi emerge
come un istinto di sopravvivenza durante le catastrofi, viene fuori naturale,
significa che in fondo lo sappiamo che non ci si salva mai da soli. Soltanto se
si passa alla dimensione ristretta del nostro Io a quella cosmica del Noi, si
può capire quanto siamo strettamente connessi, quanto abbiamo bisogno gli uni
degli altri per essere felici. Dal momento in cui nasciamo, non viviamo di solo
pane, ma di relazioni umane, di carezze, di parole. Ognuno è responsabile della
nostra felicità e noi siamo responsabili della felicità di ognuno. Io credo che
ci si senta un noi quando si capisce di appartenere alla grande famiglia
dell’Umanità e che il diverso è comunque un fratello, chiunque esso sia; che
ogni forma di vita su questo pianeta ha senso di esistere; che ognuno di noi,
centravanti o riserva in panchina, deve dare il suo contributo alla squadra.
Non c’è azione individuale che non si ripercuota sulla collettività. Non c’è
sofferenza personale che non intacchi in qualche modo gli altri. Diceva Gandhi:
“Tu e io non siamo che una cosa sola. Non posso farti del male senza ferirmi”.
Cristicchi continua
con altri esempi, altre sottili riflessioni sul senso di fratellanza che ci
accomuna in particolari momenti della nostra vita o della storia dell’umanità.
Diamo il meglio di noi, però, solo nei momenti peggiori, ma velocemente
dimentichiamo. Eppure quando siamo insieme non abbiamo paura perché ci sentiamo
più forti degli eventi di gran lunga più forti di noi. Dunque, ci abbandoniamo
alla fiducia che gli altri suscitano in noi e che noi proviamo per gli altri.
La fiducia è un sentimento bellissimo fino a quando non viene tradita. È questo
che dobbiamo evitare con tutte le nostre forze se vogliamo salvarci tutti ed
essere felici insieme. A questo punto mi sembra giusto riportare uno scritto
emblematico del poeta e pensatore zen Thich
Nhat Hanh, rivisitato dal mio amico, docente universitario di bioetica, Francesco Bellino: guardando questa pagina, ci si accorge subito che dentro c’è una
nuvola. Senza la nuvola, non c’è pioggia; senza la pioggia, gli alberi non
crescono; e senza alberi non si può fare la carta. La nuvola è indispensabile
all’esistenza della carta. Si può dire allora che la nuvola e la carta
inter-sono, perché senza nuvola non c’è carta. Guardando più a fondo,
comprendiamo che la pagina che stiamo leggendo dipende da tante cose, dal sole,
dal taglialegna, dal grano e dal pane che il taglialegna ha mangiato, dai suoi
genitori. In questo foglio di carta ci siamo anche noi. Quando lo guardiamo, il
foglio diventa un elemento della nostra percezione. La nostra mente è lì
dentro. Nel foglio di carta è presente ogni cosa: il tempo, lo spazio, la
terra, la pioggia, i minerali, la luce del sole, la nuvola. Ogni cosa co-esiste
nel foglio. “Questo foglio, così sottile, contiene tutto l’universo” (Thich
Nhat Hanh). La nostra realtà fisica e spirituale è fatta di
inter-esistenza. Siamo strettamente interconnessi gli uni agli altri. Né
dobbiamo temere di perdere la nostra unicità in questo processo continuo di
inter-connessione. E a questo proposito bellissima è la pagina riguardante la
rete di Indra, tra induismo e buddhismo, che ci rivela il segreto
dell’universo. Racconta di una rete di
fili infinita presente in tutto il Cosmo. I fili orizzontali corrono attraverso
lo spazio, i fili verticali attraverso il tempo. Ad ogni incrocio di fili c’è
una persona con una perla di cristallo; ogni perla riflette la luce proveniente
da ogni altra perla e dall’intero universo. Tutte le persone vengono illuminate
simultaneamente. Altra versione riguarda una tela multidimensionale che, al
mattino presto, si ricopre di gocce di rugiada. E ogni goccia di rugiada
contiene il riflesso di tutte le altre gocce di rugiada. E in ogni goccia di
rugiada riflessa, i riflessi di tutte le altre gocce di rugiada in quel
riflesso. E così all’infinito…
Insomma, tutto brilla
di luce propria riflettendo la luce di ogni altro da sé. Bellissima immagine di
interdipendenza in tutto il Creato. E, dunque, non esiste più l’IO, ma
esclusivamente il NOI. Dal particolare si passa all’universale. Ed è questa la
legge che tiene coeso l’universo e lo rigenera continuamente in un continuo
atto d’AMORE. “Amor che move il sole e l’altre stelle” (Paradiso, XXXIII, v.
145), l’ultimo della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Nei miei auguri per il
Nuovo Anno ho parlato di “cordate” proprio nel senso di riscoprire la
reciprocità, la solidarietà, la condivisione, l’empatia: sono tutte forme che
rendono visibile e concretamente operativo l’AMORE. E tutti, nessuno escluso,
ne traiamo vantaggio e ben-essere, psico-fisico, socio-culturale, spirituale
nella meravigliosa famiglia dell’umanità. Purché ci sia AMORE, l’unico collante
che dovrebbe tenerci uniti e in grado di perseguire, come fine ultimo, la PACE.
Utopia? Forse. Anche perché, come più volte ho sostenuto, l’utopia non è ciò
che non si realizzerà mai, ma ciò che non è stato ancora realizzato. E qui
riscopriamo anche la SPERANZA. Uno sguardo lungo verso il futuro a comprendere
le nuove generazioni. Nostro atto di
FEDE nella VITA.
E vorrei concludere
per oggi con un esempio luminoso che da qualche tempo ha coinvolto anche me su
FB: il nutrito gruppo di CIRCOLARE POESIA, capitanato dall’infaticabile Mattia Cattaneo e validamente sostenuto
da tanti poeti (David La Mantia, Maria Concetta Giorgi, Giovanni Sepe, Michele
Carniel, Ginevra DellaNotte, Ritapoesie Ritabù, le mie carissime amiche
poetesse Mariateresa Bari, Maria Pia Latorre, Roberta Lipparini, e tantissimi
altri…), accomunati dal desiderio di scrivere poesie e comunicarle in una
circolarità che è sinonimo di continuo confronto e di vera reciprocità. Ma tanti
sono anche i poeti della nostra Casa editrice (SECOP edizioni, affiancata dalla FOS edizioni) che scrivono e pubblicano poesie con lo stesso
intento: Francesca Petrucci, Elina Miticocchio, Eli Stragapede, Vito de Leo,
Federico Lotito con Luciana De Palma, Alberto Tarantini, Zaccaria Gallo, e
tanti altri ancora…
La prossima volta ci
saranno anche alcune delle loro poesie a testimoniare questa bella realtà dei
nostri giorni…
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