martedì 14 aprile 2020

Domenica 12 aprile - Domenica di Pasqua

Tratto da Le Piogge e i Ciliegi - La storia di un uomo straordinario (Capitolo IV - Pag.105)

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Poi la festosa Pasqua

Le campane a gloria della mezzanotte e le mille chiese del nostro paese a salutare “la Rəsòscətə”, (la Resurrezione di Cristo), e la nostra gioia per l’avvenuta riconciliazione tra Dio e gli uomini. Noi c’inginocchiavamo per ringraziarLo. La nonna batteva i pugni sul tavolo per scacciare il diavolo e fare entrare Cristo risorto. E ci baciavamo tutti in segno di rinnovato amore. Con tenera riconoscenza. A pranzo, tu benedicevi l’abbondante tavolata e “u bənədìttə” (il benedetto) col ramo d’ulivo e l’acqua santa, che prendevamo dalla pila della chiesa e portavamo a casa in una bottiglietta
(e mai il timore di un’infezione a sfiorarci e mai una malattia a colpirci per la nostra incoscienza, ben sapendo di tutte le mani, più sporche che pulite, a calarsi quotidianamente in quella pila per il segno della croce in ingresso e in uscita dalla chiesa!). 
Il benedetto era (e forse è) la specialità del pranzo pasquale nel nostro paese: uova sode tagliate a metà, arance con la buccia tagliate a fette (piccoli soli ad illuminare il giorno del perdono), ricotta dura e salata, salumi vari. E il ragù e l’agnello e la frutta secca e quella di stagione, e i dolci di Pasqua e il rosolio. E la lettera sotto il piatto come a Natale e tanta tanta ingenuità tra le mani negli sguardi nel cuore. Ci sentivamo davvero più buoni. Riconciliati con il mondo intero e con la vita
(e… buona pasqua a pasqualino/ buona pasqua a nicolino/ buona pasqua anche a torino/ ah sì bè/ buona pasqua pure a te!/… vedi poi che in fondo in fondo/ fa la pace tutto il mondo/ fa i capricci/ fa i pasticci/ ma alla fine devi dir…
ah, sì bè/ buona pasqua pure a me!

Carosone dalla radio cantava anche per noi…) 
Il giorno dopo era ancora un giorno di festa, condito di verde spensieratezza. Si andava in campagna per vivere “u pascəcónə” (la Pasquetta) con parenti e amici e lunghe tavolate con altri cibi tradizionali, l’immancabile “vrədéttə”
(non credo sia traducibile in italiano, forse “il brodetto”, ed era una sorta di pastina in ragù d’agnello allungato in brodo con dentro carne sfilacciata e uova rapprese e piselli…)
e altro buon vino e chiacchiere e risate.
Tu raccontavi...
Poi, giunse il tempo della Pasquetta con gli amici. E tu e nonna restavate a casa perché non era più, per voi due, tempo dei lunghi passi tra l’erba, delle inerpicate sui sassi, delle scampagnate faticose. C’era ormai la stanchezza di giorni lunghi da portare su spalle più curve e su gambe sempre più malferme. 
(‘na ròutə da rəpàrà u səllénə da səstəmà u manùbriə da addrezzà e u cambanìddə ca dəchiàrə allàrmə còmə a ‘na campàna ròttə e stənàtə… cə nə məttémə tùttə ‘nzìmə jìndə a la màchənə pə fànnə abbəvèscə nàn jèssə jùnə bbùnə…)
(una ruota da riparare il sellino da sistemare il manubrio da raddrizzare e il campanello che dichiara allarme come una campana rotta e stonata…
se ci mettono tutti insieme nella macchina del restauro di tanti vecchi non ne viene fuori neppure uno sano…)
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