sabato 20 dicembre 2025

Sabato 20 dicembre 2025: Anche il Natale è un eterno ritorno (seconda e ultima parte)...

 E riprendo oggi con i ricorsi del Santo Natale di tanti anni fa...

<Zio Michele era stato anche un impenitente donnaiolo e la nonna era convinta che, anche per quei suoi gravi peccati di gioventù, oltre a perdere un occhio per la sifilide, avrebbe perso anche l'anima e che, perciò, mai e poi mai avrebbe potuto evitare il fuoco eterno, neppure con le sue preghiere o con quelle della loro mamma, sempre in pena per quel figlio scavezzacollo e mangiapreti, e ormai alla presenza misericordiosa di Dio e della Vergine. Per questo nonna lo guardava con occhi di preoccupato tenero rimprovero, sperando in una sua improvvisa conversione. E attese, invano, fino alla morte dell’amato fratello, che al suo funerale pretese che la banda suonasse “bandiera rossa” fra lo scorno di quanti vi parteciparono. E con tanti limoni da offrire ai presenti…

(al limooonə!!!)

(Nonna Rita, negli anni passati, per salvare quel giovane figlio in preda a “un male che non si poteva dire” in un ospedale del Nord, nonostante fosse analfabeta e non avesse mai messo piede fuori dalla porta di casa, aveva preso il treno da sola per riportarlo in famiglia e poterlo far curare “dalle sue parti”, dove le sarebbe stato più facile essere quotidianamente presente al suo capezzale. Dovette combattere la sua personale battaglia contro il parere di tutti i medici e con tante croci lasciate su pezzi di carta che non sapeva leggere, ma lo riportò con sé e gli stette accanto fino alla sua totale guarigione.

“Una donna coraggiosa e forte”, si diceva di lei. Non a caso, “si chiama Rita e porta il nome della santa dei casi impossibili”, si diceva di lei. E lei aveva dimostrato che niente è impossibile ad una madre e ad una donna forte e coraggiosa!).

Zia Maria, invece, a differenza di sua suocera, aveva la forza della leggerezza e del sorriso sempre pronto e coinvolgente. Era una persona deliziosa: solare, allegra, generosa, chiacchierina. Con malizia e lievità. Nonostante il marito fedifrago e comunista, e il figlio, Vincenzo, che seguiva le orme del padre nell’adesione totale al Partito di Giuseppe Stalin e di Palmiro Togliatti

(addà vənì baffónə…) (deve venire baffone…)

Piccola, rotondetta, sempre ordinata e ben vestita, zia Maria aveva grandi occhi vivaci, simili a quelli della “boòpide Giunone”, e una risata lunga e contagiosa che raramente metteva la parola fine prima di accesi scintillii d’ilarità. Evidenziava sempre il lato umoristico delle parole o delle situazioni con rapida ironia, trascinando tutti i presenti a ridere con lei. E tu sai benissimo quanto fosse contagioso “u strìgnə” (lo strigno, la gioiosa irrefrenabile risata) di quella benedetta donna che rideva di cuore soprattutto con mamma e con nonna Angelina.

Mòuə so’ rə cìnghə menótə də strìgnə” (ora sono i cinque minuti di folli risate), dicevi tu.

Più disincantate di lei, le sue due figliole: Rosaria, sorridente e luminosa con i suoi riccioli biondi e guance di pesca; Rita, silenziosa e notturna come i suoi neri capelli.

Nella loro casa incontravamo spesso una sorella di zia Maria di nome Lauretta (zia Lauretta per tutti) più bruttarella ma tanto allegra e spiritosa anche lei. Amava raccontare di sé e dei suoi tanti mariti, l'ultimo dei quali era ancora vivo e vegeto. Bello e aitante e innamoratissimo della sua Lauretta. Insieme formavano una coppia prodigiosa. Di magica luce nei cieli bui e tempestosi di quegli anni. (…) 

Zia Maria e zia Lauretta avevano il dono della risata. Frutto di una infanzia difficile con dentro il cuore la pena di una mamma volata troppo presto in Cielo, e della necessità di stringere tra le loro piccole braccia quel comune grande dolore, che si stemperava nella complicità di un sorriso impertinente, suscitato dalla caduta di un vecchietto per strada, da un ombrello strappato dal vento dispettoso alle mani di una donna disperatamente aggrappata al suo manico, o dagli imprevedibili casi umoristici della vita, che loro due sapevano cogliere al volo e sapientemente rimestare. E tu lo sai, papà, perché eri spesso testimone delle loro risate a più non posso per ogni piccola vicenda che esulava dalla norma.

Delle due fantastiche donne ho già scritto un simpatico, sapido e commosso racconto. 1)

(Penso che la scrittura sia un dono divino: fissa nel tempo lacrime e sorrisi.

È simile a una foto. Questa, però, eterna volti e corpi, l'involucro di noi.

La scrittura perpetua l'anima. Doppia immortalità. Dono meraviglioso sempre. Come non dire grazie al buon Dio per la sua totale gratuità? Ma noi uomini spesso manchiamo di gratitudine verso il nostro Creatore per i tanti doni, quasi sempre ignorati o ritenuti scontati perché ce li portiamo addosso dalla nascita, quindi ci appartengono di diritto. Oppure, pensiamo presuntuosamente che siano dovuti ai nostri meriti personali tanto che non ci scomodiamo mai a dire un grazie né a Lui né a quanti i nostri talenti apprezzano e li rendono visibili con bontà e generositàMa anche questo è un altro discorso su cui si potrebbe scrivere un trattato. Titolo? La difficile riconoscenza…)

Anche la nonna, cognata beneamata di zia Maria sapeva ridere, come ho più volte ricordato, ma mi piace ribadirlo perché do molta importanza all’efficacia salutare di una generosa risata. E così pure mamma, dopo il ritorno del marito dalla guerra, o quando era lei a fare ritorno nella nostra casa per riabbracciare genitori e figlie. Spesso la nostra casa si riempiva delle loro contagiose risate, stelle comete di scoppi improvvisi con le loro lunghissime code luminescenti a illuminare i nostri Natali.

(E anche io e Anna Maria abbiamo ereditato questa capacità: ancora oggi abbiamo brevi risate di complicità, squarci di sole nella monotonia di giorni grigi o arrabbiati. Pure Ombretta ha risate lunghe più dei suoi lunghi capelli, e un amore per la vita che vince ogni difficoltà ogni dolore, spesso presenti alla sua giovinezza. Oggi, però, le risate sono sempre più rare. Nonostante si vivano tempi migliori rispetto al passato: non ci sono più coprifuochi e bombe a pioverci sulla testa, almeno qui da noi; non più pulci e pidocchi e scarafaggi. Per strada mi capita sempre più spesso di incontrare volti ridotti a smorfia di stanchezza, disgusto, disperazione. Indifferenza. La nostra è ormai “l’epoca delle passioni tristi”, come opportunamente hanno scritto lo psichiatra francese Gérard Schmit e il filosofo argentino Miguel Benasayag. Non ti allarmare, papà, sono due grandi studiosi del nostro tempo. Anche nella nostra casa è sempre più difficile ridere, ma ci capita ancora, e ancora le lunghe risate, condite di sana autoironia, mi riportano alle situazioni divertenti e condivise di allora).

Allora, a casa di zia Maria e zio di Michele, la Notte Santa era una festa colma di confusione:

                    fede miscredenza pettegolezzo preghiere canti abbuffate (…)

battibecchi chiacchiere cantilenanti preghiere ambiziosi proclami (Gesù nasce per metterci tutti d’accordo in santità e armonia…) canti poesie risate dolci liquori gioia di vivere…

Gesù Bambino impiegava molto tempo a nascere. Veniva portato tra le mani-conchiglia del bimbo più piccolo, in testa ad una processione lunghissima che si snodava per tutte le stanze della grande casa che aveva un pianterreno, un primo e un secondo piano. Dopo aver salito, sceso, attraversato scale e stanze e camere e ogni più piccolo anfratto della casa e persino i balconi e il terrazzo, si ritornava giù per deporre il Bambino nella grotta tra Maria e Giuseppe, il bue e l'asinello. La lunga processione si illuminava di candeline bianche o rosse (spente subito dopo con un brutto odore di cera bruciata e piccoli fili di fumo grigiastro che si sperdevano ben presto tra le nostre mani giunte e non di rado il bambino più grandicello bruciava i lunghi capelli della bimbetta davanti a lui con grida e soccorsi immediati e scompiglio nella lunga fila e l’acre odore di fumo e di capelli bruciacchiati si spandeva per la casa…) e si accendeva delle note divine di “Tu scendi dalle stelle” (l’immancabile canto tradizionale che includeva voci adulte e bambine e mille inevitabili stonature e approssimate parole…).

Tu scendi dalle stelle, o Re del cieeelo

e vieni in una grott’al freddo e al geeelo

e vieni in una grott’al freddo e al geeelo…

A te che sei del mondo il Creeatoore

mancàno panni e fuocoomio Signooore

mancàno panni e fuocoomio Signooore…

Dopo la nascita di Gesù, noi bambini recitavamo le poesie. Le donne di casa si affrettavano a preparare la tavola con ogni ben di Dio: “pèttuə” (pettole), piciuatìddə (dadini di massa sbollentati), baccalà in umido con olive e uva passa, capitone fritto e arrostito (a te e a mamma piaceva molto il capitone, che a noi bambini e ragazzi faceva ribrezzo perché ci sembrava un serpente e basta, e provavamo disgusto nel vedervelo mangiare con tanto gusto…); e, poi, frittelle, cartellate, calzoncelli (o cuscinetti di Gesù Bambino), mostaccioli, taralli di ogni genere, fichisecchi, mandorle tostate, arance e mandarini, noci e nocelline. Vini e rosolÎ.

Era capitato anche a Lizia di portare Gesù Bambino e poi anche a me, ed era capitato a tutti noi bambini di recitare per la prima volta la poesia che zia Maria voleva insegnarci a tutti i costi perché la riteneva bella e facile per i più piccoli che non andavano ancora all'asilo. Eccola, caro papà, te la ricordi pure tu?

Tutti vanno alla capanna

per vedere una gran cosa

anche io son curiosa

di veder che cosa c'è?

Guarda, guarda quel Bambino

come dorme, poverino!

Sembra far la ninnananna

tra le braccia della mamma.

Se io avessi un biscottino,

lo darei a quel Bambino.

Biscottino non ne ho

e il mio cuore gli darò!

Credo che la poesiola abbia attraversato secoli su bocche sdentate di nonne e nipotini e su quelle più morbide delle mamme, prima di giungere sulle labbra di farfalla colorata della mia amatissima prozia e tra le sue mani in volo per mimarla a dovere. L'ho, poi, insegnata ai miei figli e ai miei nipoti non perché fosse particolarmente bella e facile, come sosteneva zia Maria, ma perché mi riportava a quei Natali, a quell'atmosfera magica e incantata, a quei profumi, a quegli odori, a quelle preghiere, a quei canti, a quelle braccia d'amore. A quei tafferugli. A quelle risate.

Capitava sempre qualche imprevisto, che coglieva di sorpresa la compagnia, creando parapiglia e disagio, risolti immediatamente da qualche battuta ironica o autoironica di zia Maria e tutto finiva in una grande corale fragorosa bolla iridescente di sapone, che aveva forma di labbra dischiuse al buonumore. Labbra d’infanzia di latte e di panna. Labbra di bianche perle di giovinezza. Labbra concave di spietata vecchiaia. Sì, quella tenera poesiola mi riporta a te, a nonna, a mamma, agli zii e a tutti i parenti e amici di allora. A quei tempi di rumorosa semplicità e di caotica armonia. Ad un mondo, almeno per noi bimbi, sereno. Un mondo, che oggi esiste solo nella memoria del cuore. E, in realtà, quei volti, quelle voci, quei profumi e quelle atmosfere di sorridente bonomia oggi li rivivo solo nell’anima ed è lì che riscopro pensieri, storie, emozioni di allora. E quel rito del Natale si è protratto negli anni quasi intatto.

Nel tempo, sono comparsi gli alberi di natale (di finto abete), stracolmi di pacchi e pacchettini da aprire dopo la mezzanotte. I panettoni e i pandoro hanno sostituito quasi tutti i dolci fatti in casa. Sono comparse le chitarre ad accompagnare il canto di Natale nella Notte Santa, che via via si è andata arricchendo delle musiche d’oltreoceano, ascoltate attraverso il giradischi, il registratore, il televisore. Alle voci antiche sono subentrate nuove voci e tutto ancora nelle nostre famiglie si ripete con alterne vicende e in case diverse dalle antiche case…

Roma saluto triste di notturno silenzio

spazio di stazione solitaria fioche luci

battito del cuore ansia divisa (…)

           Domani sarà Natale

Altre voci altri occhi altre illusioni

     Presenze    Mute    Chiassose

   Insieme attraversiamo il giorno

     (il giorno atteso dell’Attesa)

Ci traghetta un desiderio d’amore

al ritorno scontato e mai uguale

di un Natale d’alberi di plastica

vestiti di luci spogli di speranze

a concludere l’anno dai mille richiami

e un solo riscatto ipotesi di pace

sotto l’antica cometa che ci vuole

buoni e pacificati col mondo

         per una Notte sola.

        (Solo per una notte?)

 

Calda atmosfera di rosse candele accese

nella casa lontana ci accoglie mio figlio

cappuccio rosso e bianco di finta neve (…)

                  Mezzanotte

Scendono a farci compagnia ombre

di mai sopito amore eterno rimpianto.

In amari calici lo champagne saluta

anche questo Natale e scivola in gola

a spegnere l’arsura di un’angoscia

che sfiora di baci il nostro ritrovarci

                     SOLI

senza preghiere e senza canti

senza miracoli e senza prodigi

       senza stelle né incanti

Non più come un tempo magica

              questa Notte

Ma una tenerezza che scalda il cuore

infila l’uscio sotto la pioggia e il vento 

vola verso Sud e allaccia nodi a nodi

 in un ritrovato alone di mistero              

(che non si spezzi questa gòmena d’amore        

         chiedo al miracolo del Natale)>

(“Natale romano”, stralci da L’ora dell’ombra e della riva, op. cit.)  

Buon Natale e Sereno Anno Nuovo a tutti con tanto Amore! Angela/lina

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