Sono ancora qui, nel nostro blog, a parlare innanzitutto di nonna Angelina, di cui porto il nome, perché volò in Cielo incontro al nonno che aveva perso un anno prima e che era tornato a riprendersela, come aveva promesso. A lei ho dedicato oggi questa poesia tenerella per chiederle scusa per tutti i patemi d’animo che le ho fatto vivere nella nostra casa “del gelso e delle rose” per via delle mie eterne ribellioni ai timori e tremori di avere la responsabilità di fare da madre a noi due nipoti: Lizia, tranquilla, studiosa, sempre pronta a inviare ai nostri genitori lontani le notizie della nostra casa; io, sempre in giro con la mia bici per le vie del nostro paese e per andare dalle mie amiche del cuore. Io, ribelle ad ogni suo richiamo, sua raccomandazione o imposizione. Lei sempre in ansia per me, dopo la perdita di ben dieci figli, oltre mamma, l’unica sopravvissuta a tanto strazio, di cui portava i segni, che noi allora non riuscivamo a cogliere, ma che tanta apprensione creavano in nonno Mincuccio, sempre pronto a proteggerla col suo infinito amore…: Te ne andasti così in un soffio leggero/ come la tua anima bella/ a raggiungere il tuo amore perduto/ da un anno appena ma tanto lontano./ Pure venne a prenderti/ per portarti con sé come aveva promesso/ e tu ansiosa lo aspettavi, lo vedevi/ alla soglia di ogni dimenticato dolore./ All’alba suonarono alla porta:/ - nonna - sussurrò,/ - non c’è più - dissi/ e dentro ero già preghiera./ Mi vestii in fretta e ti raggiunsi/ nella tua casa di gelso e rose/ un tempo anche la mia casa/ con la tua voce a indicarmi la retta via,/ che litigava con la mia allegria./ E ora dormi con la tua pelle di rosa e pesca chiara,/ e sogni ormai oltre il cortile/ e le stelle e i canti di bimbi a farti festa./ Sei tornata nella casa del Signore/ (io nella tua casa e da te…)
E dopo questo intenso ricordo, di cui ho avvertito l’urgenza del cuore, eccomi ancora con le prime 12 storie raccontate da Mariella Medea Sivo nella nuova collana editoriale, inaugurata dall’Editore Peppino Piacente della SECOP edizioni, “I libri di Medea”. Ebbene, ne voglio parlare per altre riflessioni che mi sono venute in mente, dopo aver letto quello che ha scritto l’Editore per promozionare il primo Libro dell’Autrice; il primo, si spera, di una lunga serie. Non avevo fatto caso, per esempio, ai nomi delle protagoniste dei racconti aventi come iniziale la M di Mariella oppure di Medea… Ma ecco, per maggiore chiarezza, cosa scrive al riguardo Peppino Piacente: “Le dodici figure femminili, una per ogni racconto, hanno un elemento in comune: l’iniziale del nome, la emme, che è l’iniziale di parole come mare, madre, memoria, matrimonio, magia, mancanza, meraviglia, mappa, mente, malattia… Una lettera a tre zampe che riesce a mantenersi in equilibrio con la stessa abilità degli animali a quattro zampe che ne abbiano persa una. Una lettera che come la stella marina lascia cadere un braccio per far nascere una nuova stella”. Buona lettura… In verità, io sono stata tratta in inganno da due storie, le cui protagoniste esibiscono altri nomi: Livia e Vania, per esempio, oppure la lettera di una madre e un paio di altre, le cui protagoniste non hanno un nome proprio. Ma ecco perché: sono mamme. La M ritorna nella loro maternità. Non ci avevo fatto caso. Ora tutto mi è più chiaro. Pertanto, desidero proporvi alcune mie altre riflessioni sul Libro. Desidero, però, fare una precisazione: anche se la lingua è un organismo vivente che muta continuamente nel corso del tempo, io non parlo mai di “favole” ma di “storie” perché le favole, almeno un tempo, riguardavano il mondo animale personificato e con morale incorporata (vedi Le favole di Esopo; quelle di Fedro indulgono più sulle poesie e spesso dimenticano la morale), anche se oggi, per semplificare, si accetta pure il significato “di storia inventata” dato da Mariella; altro è la fiaba che mette in moto nei bambini la loro naturale creatività, fatta anche di immaginazione e fantasia (la scopa che diventa cavallo, e così via), e ha per protagonisti principi e principesse, spesso supportati dalla magia di una bacchetta magica. Serve, tra l’altro, soprattutto a distinguere il bene dal male, scoprire i propri sentimenti, sentirsi rassicurati dai genitori, imparare ad affrontare il mondo anche attraverso significati psico-analitici come avviene in Bruno Bettelheim e il suo Il mondo incantato.
Detto tutto ciò, mi riporto a
questo primo Libro delle Favole senza
finale felice di una ragazza nata negli anni ‘70 perché è un documento
importantissimo non tanto dei costumi di ieri e di oggi, che sono notevolmente e
inevitabilmente cambiati, quanto della necessità che ogni donna di oggi avverte
di rivendicare i suoi spazi di libertà e di salvaguardia di sé stessa, sotto
tutti i punti di vista: economici, culturali, sociali, e nei confronti dell’uomo,
sia esso padre, marito, amante, amico, e via di seguito. E lo fa con una
spregiudicatezza coraggiosa, forte, sincera, anche quando si addentra nei
meandri del corpo e della psiche umana sempre più scabrosi, che portano alla
perdizione, ma anche alla scoperta di sé nelle pieghe più riposte del proprio
corpo-mente-cuore-anima e della propria possibilità di ESSERE e di esprimersi,
al di là di ogni possibile utopia (a proposito non ricordo più chi abbia detto
che “l’utopia non è ciò che non si realizzerà mai, ma ciò che non è stato
ancora realizzato”, trovandomi perfettamente d’accordo), dilatando sempre più
la percezione di sé e del sé nel mondo contemporaneo, che non fa sconti e
accetta le sfide di qualsiasi natura. E quelle della nostra Autrice ben si
attagliano e si raccordano a tutte queste sfide/opportunità. Un esempio? Proprio
il racconto di Livia e Vania con sorprendente finale a sorpresa, oppure quello
intitolato “Prima lei, poi io”, in cui il cinismo proprio della storia si allea
con l’umorismo e l’ironia di Mariella, come è nelle sue corde. E non mancano i
dettagli erotici, come non mancano i dettagli medici per giungere a dimostrare,
senza false ritrosie e ipocrisie “l’autenticità del proprio essere” tra due
persone che non si amavano ma che, facendo sesso sfrenato e ardito, dopo
essersi abbandonati “a un orgasmo intenso, prodigiose, vorticoso”, “erano solo
un uomo e una donna che vibravano all’unisono”, “consapevoli del fatto che la
verità si trovasse nel sesso (molti scrittori della Letteratura italiana e mondiale ne hanno parlato negli stessi termini. Nell' Italia del Novecento chi non ricorda Moravia il libro La cosa e altri racconti, edito da Bompiani il 1998?), nella disperazione dei limiti”. E su questa “disperazione
dei limiti” si potrebbe scrivere un trattato psico-analitico, risalente a Freud
per giungere a Lacan, che vede nell’atto sessuale una “mancanza” più che una “presenza”.
E ciò, a mio parere, costituirebbe già una “disperazione dei limiti”. La conclusione
a cui giunge Mariella? Si era trattato di “uno scambio osmotico di energia
vitale tra due corpi, tra due anime, un modo per creare quel legame che manca all’Universo. (vedi 11 minuti - Paolo Coelho) Nulla più.
A questa ineccepibile conclusione
non mi resta che aggiungere poche altre riflessioni, per non rendere questo
nostro blog troppo “pieno” e non troppo “ricco” a discapito della buona lettura
e del salutare confronto. E allora, mi sembra molto interessante lo scrabbooking,
messo in atto da Medea nelle ultime pagine. Originale anche il verso
orizzontale riservato dall’impaginatore al racconto “Libertas” di Gabriele
Piccarreta. Amaro, ma decisamente autentico e vero nella nostra società “vermiglia”
perché intrisa del “sangue di milioni di morti” (Joseph Roth)
E, infine, desidero ribadire la
mia stima e affettuosa ammirazione per il discreto ma onnipresente compagno di
Mariella, Nicola Rizzi, senza il quale la stessa Autrice non avrebbe potuto
ideare e realizzare questo suo eclatante esordio nel mondo della scrittura. “Senza
di lui”, conclude Mariella Medea Sivo nei ringraziamenti, “starei a scrivere
ancora sulle tavolette di cera”. E la sua ironia e autoironia colpisce ancora…
Alla prossima. Vi ringrazio per la pazienza e vi abbraccio per l’affetto che ci lega. Angela/lina
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