venerdì 21 giugno 2024

Venerdì 21 giugno 2024: Solstizio d'estate in forma di poesia per fermare il giorno...

Non scrivo da oltre una settimana perché non sono serena. Cerco di non coinvolgere chi amo e mi ama, i parenti, gli amici virtuali e reali, i lettori, ma non posso fare a meno di essere angosciata. Di essere in attesa che qualcosa migliori, per farmi coraggio, pur sapendo che non migliorerà. Che non si risolverà per il meglio, come ho strenuamente pregato e sperato. Che l’estate sia uno smemoramento di mare-cielo e una rinuncia annunciata. Pure, è forse per disperdere pensieri che scrivo. Per fermare il giorno? Forse. So solo che non voglio pensare… vado in deviazione per non pensare… scrivo di una estate che da tanto non è stata più la stessa e che mai più sarà:

“ROSSO SORRISO D’ESTATE”

Con passo felpato di gatto nero

Avanza la notte con occhi di stelle

Nei miei occhi persi di treni perduti

Nel bosco del tempo andato…

E mi trema dentro un mistero

D’acqua di mare che sogna

Passi d’azzurro a lasciare orme sul cuore

Perché nulla vada dimenticato

Prima che la luce riaccenda l’alba

(Dono che ancora mi ricama

Rosso sorriso di seta e geranio

Su labbra d’estate di rosso accese)

“UNA STORIA SENZA FINE”

… danzano ballerine nell’azzurrità del mare

le ore dimentiche di tempo e di stagioni.

Volano le loro braccia al cielo delle nuvole

ed è già preghiera di perdono

tra sussurri di gocce che respirano dai fondali

correnti sotterranee e insidiose

su antiche illusioni di coralli e di sirene

e forzieri d’oro puro

che i pirati sottrassero ai re d’ogni contrada.

S’apre come fiore d’acqua e di luce

la danza a imbrigliare occhi incantati

che sanno il magico canto della vita

a trattenere i giorni in sospensione

e tutto si fa intreccio di storie senza fine...

“MARE DI PAURA”

Si gridava “il mareeeeeee!”

abbagliati dal suo antico splendore

E si urla “oh mare!”

rosso di sangue nero di morte

E il cuore ha brividi di paura

Un gabbiano vola e stride di dolore

sull’indifferenza assassina dell’uomo

(stanotte fioriranno stelle di luce

a incantare occhi grandi bambini

che non sanno)

“VOGLIA DI MARE”

Voglio guardare il mare

Non c’è connessione internet

chiudo il computer e lo butto via

Voglio guardare il mare

Il mio cell funziona a tratti

chiudo spengo lo butto via

Il mondo può aspettare

Voglio guardare il mare

Dal tramonto all’alba

in questo giorno di dardi

infuocati

e frinire di cicale e canti di grilli

e vele bianche a toccare il cielo

sfinito addormentato mai vinto

Voglio guardare questo azzurro

che s’infittisce di stelle

tra alberi ingemmati di nidi

alla scogliera

E pigolii di notturno ritrovarsi

sotto il manto velato della sera

Voglio guardare la rara gente

che guarda ancora il mare

E il cielo e le rare nuvole

e il profumo di salmastro che respira

di vento un respiro di barche e di onde

che piano s’addormentano

come pianto di bimbo

tra le braccia della mamma

(non c’è più fretta di giorni

ho solo voglia di guardare il mare)

 

“SERE DI MADREPERLA E DI VOLI”

Sere di voli e di grondaie vuote.

Ferito di madreperla il cielo

al canto della luna rinasce.

Sbocciano ancora rose nel giardino.

Sul balcone fioriscono di sole

gerani con bocche vermiglie

(lontano un richiamo di mare

mi trema d’attesa negli orecchi)

 

Continuerò nei prossimi giorni se potrò… appena… forse… per essere insieme e attingere da tutti voi puntelli d’amore a sostenermi. Grazie! Angela/lina

 

mercoledì 12 giugno 2024

Mercoledì 12 giugno 2024: L'AMICIZIA che mi scalda il cuore: BRUNO e ADA... CORRADO e MARIA...

Oggi, 12 giugno, mi riporta a quattordici anni fa, 2010, alla perdita improvvisa di un carissimo Amico: Bruno. E oggi mi mancano i suoi sprazzi di allegria come esplosione di coriandoli ai nostri carnevali dimenticati. Bruno che, con la sua meravigliosa compagna Ada e i suoi splendidi tre figli (Leo, Vania, Tonio, che ancora oggi continuano a chiamarmi zia), ha reso i lunghi anni della nostra amicizia una continua scoppiettante fanfara, tenera e maliziosa, di battute, di risate, di effervescente generosità.

C’incontrammo oltre trent’anni fa in un Villaggio turistico del Salento, RACAR, dove avevamo comprato una tenerissima “casa delle fate”, una villettina su due piani, con i tetti rossi spioventi e le finestrelle dipinte di verde prato sul lato interno, dove una scalinata in pietra ci portava nel cortiletto in chi faceva superba mostra di sé una magnolia gigantesca merlettata di profumatissimi fiori bianchi. Sulla facciata esterna c’era una vetrata che custodiva gelosamente una cameretta con letto a castello per due dei quattro figli, e la camera da letto matrimoniale. A pianterreno c’era un bel salone con una cucina a vista e divani-letto per gli altri due figli. Una casetta che amavo tanto e che ci permetteva di tornare di anno in anno con la nostra gatta “Neve”, un persiano dal pelo lungo bianco e due occhi dorati che s’illuminavano di sole. In quel complesso di case e villette che circondavano un grande piazzale alberato ci incontrammo nel primo giorno delle nostre vacanze con Ada e Bruno e i loro tre bambini, il più piccolo dei quali, Tonio, nel passeggino. Fu un’estate bellissima che ci vide fare amicizia non solo con Bruno e Ada, ma anche con tanti altri villeggianti più o meno della nostra età, con figli giovanissimi che subito entrarono in sintonia con i nostri figli, divertendosi un mondo, andando al mare o in piscina o sotto un gazebo verdeggiante per i loro primi filarini e confidenze d’amore. Anche noi genitori ci riunivamo la sera per chiacchierare piacevolmente di noi, della nostra vita, dei nostri figli. Il più simpatico era Bruno, sempre con la battuta pronta, sempre ironico, divertente, allusivo, motivante per tutti. Generoso oltre ogni dire. Una sera i miei figli diffusero la voce della bontà dei miei panzerotti, delizia di parenti e amici. Era vero. Non sono mai stata una brava cuoca, ma ero veramente imbattibile nel fare i panzerotti. Ebbene, una sera preparai tre chili di panzerotti per tutto il villaggio e ci divertimmo da matti anche perché cominciò a piovere a dirotto e ci fu anche un black out per cui gli uomini, capeggiati da Bruno, andarono al paese Frigole distante qualche chilometro per comprare candele o fiaccole. Tornarono con i lumini per cimiteri, ma ciò non spense la nostra allegria, anzi!

Da quella estate non ci siamo più separati.  Siamo stati ogni anno ospiti della loro splendida villa nel paese dei miei suoceri, Surbo. Ospiti nella loro villa al mare, altra meraviglia. E prima, ospiti in una casa che aveva l’affaccio sul mare: dalla porta retrostante l’ingresso ci si tuffava direttamente nel mare salentino. Quanti compleanni di Ada abbiamo festeggiato di anno in anno il 16 agosto! E risate e scorpacciate di pranzi favolosi che Ada cucinava, con grande maestria e mai stanca di donarsi per tutti, per noi e tanti altri parenti e amici che avevano piacere di ospitare. Amicizia disinteressata, sincera, duratura nel tempo. E scherzi, favoriti anche da un fratello gemello di Bruno che si prestava ad una serie di simpatici equivoci. E tanti giochi da fare insieme all’insegna della semplice goliardia, di cui Bruno era il capo indiscusso. E da loro abbiamo incontrato Corrado e Maria e la loro storia d’amore, il nostro stare bene insieme sempre e comunque. Fino a quando tutto è venuto meno prima nella nostra casa e due anni dopo anche Bruno.  Ma già prima di lui ho dovuto dire addio a Corrado, eroico marito di Maria, sorella di Ada. Di loro e della loro straordinaria storia, prima che sia troppo tardi, scriverò, per lasciare un altro richiamo ai giovani di oggi perché sappiano che il vero amore esiste ed io, anche tramite loro, posso testimoniarlo.

Corrado è una promessa e una nostalgia. Maria, un canto di abnegazione.

Bruno è altro rimpianto scolpito nel cuore.  Bruno e Ada persino testimoni alle nozze di Peppino e Raffaella, la mia primogenita, oltre trent’anni fa… Poi, dopo un po’ di anni, sono cominciati gli addii.

È come in una sinfonia degli addii,

Dapprima un oboe e un corno

Poi il fagotto e un altro oboe

Quindi l’altro corno e il contrabbasso,

Ciascuno eseguendo

Prima di terminare

Il suo piccolo assolo:

Lasciando il movimento spegnere

Sull’ultima battuta

Dei violini.

Una intensa rivisitazione di un grande poeta contemporaneo, Franco Buffoni, della Sinfonia degli addii di Haydn e dei sui musici… Suggestione di un concerto particolare che ha suggerito ad una mia amica, straordinaria e dolcissima poetessa, il titolo della sua dolente e luminosa raccolta di poesie I musici di Haydn (Ada De Judicibus, SECOP edizioni).

Solo più tardi ho ripreso di nuovo a scrivere. Di noi, dei nostri figli, dei loro matrimoni e dei nipoti che ci hanno dato. E di Tonio, conosciuto nel passeggino che, nel tempo, era diventato il mio “sapientino” per la sua straordinaria intelligenza. Oggi è uno stimato medico, ma continua a chiamarmi zia Lina. La loro realizzazione è stata anche la nostra in una condivisione che non è venuta mai meno. Fino ai nostri giorni.

E, intanto, mi ero ripromessa di scrivere solo dei momenti di gioiosa spensieratezza e delle esperienze belle vissute nell’arco della nostra vita (mia, degli altri), e invece mi accorgo che questi ricordi sono ben più tristi di quelli di cui ho amato parlare nel mio “Spoon River” ultimamente. Non sempre si possono mantenere promesse e buoni propositi. Qualcosa, al di là della nostra volontà ce lo impedisce. Negli anni, del resto, ho dovuto sempre più confrontarmi con la morte, io che ne avevo terrore e cercavo di tenermene lontana. Giunge anche il tempo che la vedi fiorire come gramigna ad ogni passo e non si può più ignorarla o fare a meno persino di parlarne. E ora, purtroppo, non faccio che parlare di morte e di morti. Come se la vita non fosse niente altro. Oppure mi stesse precocemente presentando il conto. Chi o cosa mi spinge a farlo? Perché? Forse per via degli anni che m’inseguono senza tregua. E la morte è già un inevitabile richiamo. Forse perché i figli stanno scoprendo qualche filo argentato nei loro capelli. Forse perché, ancora una volta, molti scenari sono cambiati nella nostra costellazione familiare. Alcune stelle si sono spente, altre accese.

E domani riprenderò a parlarne in onore dell’Amicizia che ci fa onore, nel tempo e nello spazio e anche Oltre. Angela/Lina

  

venerdì 7 giugno 2024

Venerdì 7 giugno 2024: Ancora qualcosa da dire su "Un filo di lana rosso" di Raffaella Leone (dedicato a suo padre)...

La maturità è una viandante che avanza lentamente sul sentiero del tempo tra poche rose e molte spine. Ed io, per ingannare ancora questo tempo incerto e difficile da vivere, trascrivo uno stralcio del III vol. de Le piogge e i ciliegi ancora in cantiere. E desidero ancora fare un piccolo dono a lei e a Primo suo padre dopo questi sedici anni senza… Ma è anche un pensiero costante al mio eroe di ogni tempo: mio NONNO! Senza di lui niente sarebbe accaduto. Ancora oggi mi dà le ali per volare... 

<Raffaella, solo qualche anno fa, da adulta, ha scritto e pubblicato con la nostra Casa editrice (sì, papà, abbiamo dal 2004 una Casa editrice “altra”, cioè diversa: attenta alla qualità più che a fare denaro con una sciatta quantità) una storia per bambini di tutte le età, Un filo di lana rosso, in cui si esplicita benissimo, tra fiaba e realtà, la distanza giusta, che deve intercorrere tra le persone per mantenere vivo e vero un rapporto di amicizia, d’amore, di sentimenti positivi, autentici e, per questo, anche duraturi nel tempo.

Ma senti, carissimo papà, cosa mi è venuto in mente pensando a quel “filo” di lana rosso. Purtroppo è più forte di me soffermarmi sulle parole per scoprire i tanti significati che magari frullano nella mia testa. Il vocabolario o le enciclopedie non sempre mi appagano nelle loro definizioni perlopiù definite e quasi immutabili. Penso che le mie arzigogolate ipotesi di più ampi significati ti piaceranno:

Filo è una parola breve, che dà subito l’idea del suo essere sottile, quasi di poco conto, di scarsa durata e di cui si può fare anche a meno. E, invece, è di una incredibile utilità. Serve. A cucire due lembi di stoffa separati ma combacianti; a legare tanti steli di fiori per farne un bouquet; a ricamare lenzuola da sposa e tovaglie per i giorni di festa; a stringere altri fili o tutto quello che va messo insieme e tenuto ben unito. Il filo regge un palloncino o un aquilone. Se è di perle, diventa ornamento. Se è di olio, diventa nutrimento. Se è di parole, diventa discorso. Se è colorato, diventa segno di confine e tanto altro. Se è di sangue, diventa incidente, malessere, timore, paura. Se è di corrente, diventa luce. Se è del telefono, diventa comunicazione a distanza. Se è di lana, diventa un maglione o un cappellino. Se è di rossetto, diventa un papavero sulle labbra e accende un sorriso. Se si scopre su un muro, diventa crepa, preoccupante, che sollecita l’intervento di mano d’opera per poterla risarcire, quasi rattoppo. Se è sospeso tra due muri, diventa stendi-panni con tante nuvole bianche prigioniere di mollette, quasi becchi affamati di uccelli senza volo. Se si tende su case e vallate, diventa l’ardimento del funambolo che cammina sul filo del suo sogno…

Ma il filo può anche legare due polsi e unire due persone, due pensieri, due cuori, due sentimenti, due percorsi di vita in uno. Ed è bello pensare che un esile filo possa diventare così resistente da legare due vite, con tutto quello che in una vita è compreso, moltiplicato per due o anche per dieci cento mille volte. Mille volti.

Basta un filo e sembra quasi che si possa andare alla conquista del mondo: del cielo e della terra, del gioco di un bambino, del lavoro di un adulto.

Se poi il filo è di semplice cotone o di preziosa seta, può anche spezzarsi e riannodarsi. Nel primo caso, separa ciò che aveva unito; nel secondo, ripropone la cucitura, il ricamo fiorito di bianco o di innumerevoli colori, il legame tra due o più persone e lo rafforza perché offre, a chi lo possiede e ne fa uso, la consapevolezza della precarietà della sua consistenza e resistenza, sollecitando l’attenzione e la cura per salvaguardare la sua forza, la sua generosa solidarietà.

Se si spezza è importante, dunque, ricorrere al nodo.

E il nodo ha tutta una simbologia antica e moderna. Si alimenta di miti e di poesia. Pensa al nodo gordiano o a quello di Salomone, ai nodi delle reti dei pescatori, o a quelli delle vele dei marinai. Ma c’è anche il nodo al fazzoletto per non dimenticare e i nodi del rovescio del ricamo a indicarci la bellezza del diritto nelle mani del Signore; i nodi che vengono al pettine per una ritrovata verità in precedenza messa in discussione oppure celata, ma anche il nodo alla gola, segno di commozione e di pianto trattenuto. Può dimostrare un legame più forte, ma anche un ostacolo. Una promessa o solo un ricordo. Diventa la misura del tempo e dello spazio. O il punto fermo. E che dire delle tue mani nodose per la fatica e gli anni attraversati? E i nodi sui tronchi dei tuoi alberi dove si annidavano ragnetti rossi e formichine? E i nodi da te praticati per assicurare un’altalena rudimentale al ramo più forte del gelso rosso? E le nostre mani annodate quando io piccolina cercavo di seguirti nella sicurezza della tua mano a tenere stretta la mia? Nodi e fili.

Se, poi, sono rossi, diventano dialogo, intimità, riconoscimento, amore, allegria. Ma anche errore di poco conto, peccato veniale o, piuttosto, una ferita.

Se, infine, è di lana ed è rosso, allora diventa inequivocabilmente il libro Un filo di lana rosso di Raffaella Leone. La prima dei tuoi pronipoti.

E il libro di Raffaella è un racconto lungo che si dipana in un percorso che dalla Puglia porta a Milano e ritorno, legando due polsi in fuga, che si attraggono e si respingono senza tregua, perché sono uniti non solo da quel filo di lana che si spezza e viene riannodato, ma da un sentimento d’amore che lega quasi novant’anni di due vite diverse, l’una nell’altra; di gioco, confidenze, voglia di libertà e rifugio sicuro del cuore perché non c’è distanza che tenga, né altro divario o dissonanza quando è semplicemente una storia d’amore indissolubile, oltre ogni possibile apparenza.

A raccontare questa storia affascinante è pur sempre il filo rosso, che segna un limite e la misura di ogni possibile rapporto umano. Che è, a volte, senza limiti e senza misura, perché riguarda sentimenti che vivono di vita propria oltre il tempo e lo spazio anche se si nutrono di tempo (gli anni) e di spazio (la propria casa), da cui sconfinare aiutati da quel semplice filo, che un’autrice straordinaria ha dipinto di rosso appassionato come il suo cuore e che sa riannodare continuamente perché non si spezzino mai i capi e non si disperdano mai quegli amori “unici”, che hanno profonde radici nell’anima. Nonna e nipotino. Ottanta e dieci anni.

E tutto ricomincia…  anche ritornando a leggere dalla prima pagina il libro perché non se ne perda neppure una parola. Nel tentativo di scoprirne il senso, la profonda verità. 

E… non adombra la storia di noi due, amatissimo papà? Oltre gli anni, il tempo, lo spazio. Persino oltre noi, nel tempo e nello spazio.

Sì, Raffaella, come tutti i tuoi pronipoti fino ai miei nipoti, sa scrivere storie, e non ha dimenticato la nostra storia e l’esempio luminoso della tua lungimiranza, della mitezza del tuo cuore, dei nodi e delle vele… dei legami indissolubili e di quelli che non sono misurabili perché non hanno consistenza, scivolano via, come più volte in questi anni ha sostenuto Bauman, un grande filosofo e sociologo polacco da poco volato purtroppo anche lui tra le stelle.

Ogni vero legame è un nodo d’amore che si trasforma in poesia. Tu me lo hai insegnato con il tuo esempio quotidiano.

L’esempio più dolce ce lo hai offerto in dono negli ultimi anni della vostra vita, tua e di nonna Angelina. Quanto amore animava i tuoi giorni di fatica e di pena presso la tua compagna che avevi sposato fanciulla di rara bellezza e vitalità. Vi separavano tredici anni, ma in realtà fu lei ad evidenziare per prima i segni del tempo, lasciando a te il compito di accudirla, quasi fosse di nuovo una bambina senza esserlo più nel corpo e nella mente. Quale amore più grande in un tempo in cui anche tu accusavi gli inesorabili segni del tempo! Come dimenticare?

Dopo molti anni ho scritto una prosa poetica per dedicarla al vostro amore. A te poeta della vita e alla vostra meravigliosa poesia. La riporto qui perché i giovani possano riprendere a sognare di incontrare un amore unico come il vostro e di abbandonarvisi senza avere più paura di amare…

Lui: Il giorno che m’incontrerai avrai un fiore antico tra le mani. Avrai cuore di panna e occhi di nebbia.

Lei: Avrò un vestito verde di primavera e fiori tra i capelli e stelle di mare. Ricorderai il mio sorriso di ciliegi e rose e le mie mani fiocchi di neve. Nel “parco delle rimembranze” mi porterai in volo.

Lui: Forse solo allora ti scriverò ancora come mai sul vetro del passato. M’inviterai a ballare come allora e come allora sarai foglia di vento. Sarai fremito ardente, dolce canto, carezza inascoltata, parole di rimpianto.

Lei: Non dirmi niente. Sognami soltanto.

Lui: Il giorno che mi vedrai arrivare, avrai negli occhi la fanciulla riso d’argento, cometa d’altri cieli, onda di mare, fianchi di luna e passo di giunchiglia. Ti avvolgerà con le sue ali di seta, ti racconterà la sua poesia. Ti sorriderà con gli occhi di mandorla scura del giorno che ti conficcò una lama nel cuore e fuggì via inseguita dal tuo tormento. Non dirle d’averla attesa tanto. Non sai che non si attende chi si ha già?

Ebbero racconto di perle i tuoi sguardi più che le tue parole e un sorriso chiaro sui suoi giorni che forse ebbero nuovi domani.

Fino a giungere a me che ho ormai tanti anni più della tua Angelina, ma tu continui a salvarmi, come con lei allora, con la forza delle tue nodose mani.

Purtroppo, mio amato papà, non sempre la vita in due viene vissuta così, conservando nel tempo amore, protezione, cura, abnegazione; molto più spesso, soprattutto ai nostri giorni, tutto viene vissuto velocemente e a fatica, tra mille difficoltà di comunicazione, comprensione, fedeltà. Le coppie poco dopo le nozze già si mal sopportano, sono indifferenti e lontane col cuore e con la mente, cercano evasioni, con conseguenze spesso disastrose. Servono “pause di riflessione”, che sono l’anticamera della separazione e del divorzio. Si rivendicano diritti e si dimenticano completamente i doveri.

È una società, questa, più improntata all’odio che all’amore, più legata ai beni materiali che a coltivare sogni, ideali, speranze. Non esistono più il prossimo, la solidarietà, il senso di giustizia verso gli altri più che verso sé stessi. Non si riesce più a guardare il cielo.

E, intanto, mio indimenticato papà, ecco una nuova stagione. Dopo un anno da dimenticare e di cui ti parlerò a lungo. Certo, tu sai tutto e sei stato con me ogni attimo, per salvarmi, aiutarmi, proteggermi, sostenermi e consolarmi nei tanti momenti di sconforto. Per farmi compagnia in una solitudine non voluta e inevitabile.

C’è aria di primavera in questi giorni di sole che lasciano dischiudere germogli su rami nudi e spenti dopo il lungo sonno invernale. Sembrava non dovesse più accadere e, invece, ecco il prodigioso risvegliarsi della natura con il ritorno delle rondini e le prime pratoline tra l’erba appena nata.

Questi nuovi giorni di sole mi portano a ricordare che la primavera ci spinge a sentire fortemente la voglia di uscire per incontrare gli altri, amici e conoscenti. Mi riporta al nostro primo incontro. Era primavera. Nacqui a fine maggio. Sì, potrei parlare del nostro incontrarci alle otto di sera quando mi decisi finalmente a venire al mondo, dopo una lunga attesa prima che babbo partisse per la guerra, ma l’ho già fatto nei primi due volumi del romanzo che parla di te, di noi. Rischio di ripetermi.

Allora, mi sembra più opportuno oggi parlare dell’INCONTRO in generale, un argomento che mi sta a cuore e che ritengo molto attuale.

E tu cerca come sempre di seguirmi, anche se parlerò “difficile” (ora puoi farlo più che mai: non ci sono ostacoli di sorta in Cielo), perché è un modo di scrivere che sempre più mi piace. Sono invecchiata anch’io col passare in fretta degli anni e il linguaggio sincopato dei giovani e giovanissimi, con molti anglicismi non sempre utili e necessari, non mi appartiene. È così bella la nostra lingua, così musicale, così ricca di sfumature, di sentimento. Occorre riappropriarcene per “incontrare” le “nostre” parole, la “nostra” identità, la “nostra” millenaria cultura. E tu mi seguirai, come hai sempre fatto. Con tanto amore e con tanta libertà di giudizio. Niente è impossibile a chi ama>.

                                                       

È vero. Niente è impossibile a chi ama. E noi viviamo con amore, per amore. Anche la vera Amicizia è Amore. Ne riparleremo. Angela/lina

                              

martedì 4 giugno 2024

Martedì 4 giugno 2024: 16 anni di un arrivederci ancora da vivere...

Era appena trascorsa la mezzanotte quando mi dissero che… non voglio ricordare. Ogni anno ne parlo e aggiorno ricordi. Ogni anno avverto l’urgenza di raccontare ancora. Non me ne vogliate. Anche i ricordi dolorosi hanno bisogno di condivisione. Ancora di più se si sovrappongono dolore a dolore fino a non riconoscere più i confini dell’uno e dell’altro. E oggi è proprio così. Ho bisogno della vostra compagnia. Del vostro sostegno a rinfrancarmi almeno un po’. E riporto qui una poesia che ho scritto sul quasi saggio La coccinella dalle sette punte, che alcuni di voi conoscono già. Così, per ingannare il giorno, così per ingannare il dolore. Così, per essere insieme, come sempre a modo mio, confidando nella vostra presenza virtuale al mio fianco. Presenza salvifica che, “almeno per oggj, sovrasti paure e dolore e pensieri come lame nel cuore…”:

… ritrovarci vorrei

tra le stelle e l’alba

quando avremo cent’anni,

con gli anelli intrecciati alle dita

e ai polsi cinquanta catene,

e un cerino ancora acceso

in un incendio di foglie rosse

e gialle a ricordarmi l’autunno

dei bicchieri colmi di vino.

E avremo una casa un giardino

fiorito di plumbago e ginestre,

e sul chiavistello del nulla

una coccinella dalle sette punte

a portarci fortuna.

Con i suoi occhi di luna.

Un cane bianco e un gatto nero

avremo

il canarino perduto e ritrovato

e un canto di vela a regalarci

il mare

con l’azzurro di Chagall

alle pareti e un sogno ancora

insognato da sognare.

Piedi freddi d’amore avrò

e mani calde

preghiera notturna sarò

d’audaci carezze nell’arco delle braccia.

Avremo un canto di vino novello

nelle coppe insaziate

delle nostre mani.

E brinderemo al nostro

sbrindellato amore prima

dell’ultima sera.

Fragole di lucciole sul prato

del nostro risveglio

a coprire i battiti del cuore

e un biglietto nascosto

tra l’erba rinata

a ricordarmi il silenzio

più lungo dell’attesa…

… ci abbracceremo memori

di un passato fatto di noi

ubriachi di parole e di risate,

leggeri e innocenti. Saremo.

Uniti come non mai ci parleremo

Intrecciati a radici di terra

e di acque e di nuvole e di vino.

Per continuare a danzare

nelle ore che verranno

una seconda volta

come la prima volta…

E saranno calici levati al cielo, e sarà ritorno

e sarà eterno…

(… per ricordarcelo sempre quando rinasceremo…)

Sì, per rinascere ancora e ancora.    

E questa notte ho scritto:

Piano piano ti raggiungo

aggiungendo anni agli anni

mai sfiorati dai tuoi giorni.

Piano piano senza fretta

Perché non sei mai davvero andato via.

Sei qui ancorato allo stormire

delle foglie che mi porta il vento,

alla pioggia che segna di silenziose

lacrime i vetri che portano occhi

di rose e nontiscordardimè

nel giardino di giugno

          ad un passo dal cuore.

Piano piano continuo a scrivere di te

parole che nessuno può udire

che pure scrivo e non dico

sotto questo cielo per non farmi male.

Cielo lontano da nuvole annidate

come stracci di pensieri che non voglio pensare.

Piano piano, sosta dopo sosta,

affannata in carrozzella ti raggiungo

dove mi hai detto d’aspettarmi.

E non conosco la strada, il sentiero, il ponte

che nel sogno ricama arcobaleni.

Giro a vuoto intorno al tuo starmi accanto

più di allora,

quando le ore avevano carezze

rimaste inascoltate tra le mani:

le mie le tue per non darci mai un addio.

Fu solo un arrivederci

E neppure un sorriso tra le tue parole

    ti ho amato sempre

                     ti ho amato tanto…    

 (e io le attendo come allora

              Dietro l’angolo di casa…)

 

Grazie per la vostra affettuosa vicinanza. Ne sento tutto il calore e ve ne sono grata. Angela/lina

 

 

 

domenica 2 giugno 2024

Domenica 2 giugno 2024: Petalo a Petalo maggio ha lasciato cadere i suoi giorni di pioggia...

Dopo oltre una settimana di silenzio, riprendo a scrivere per ritrovarci sotto questa pioggia che non vuol finire e una quasi estate che fa fatica a cominciare. Per me un motivo in più per indossare ancora magliette di lana che, fuori stagione, sanno di tristezza e di malinconia. Di attesa in sospensione. 

Oggi è la Festa della Repubblica ed è anche il compleanno di alcuni miei carissimi amici, tra cui Filippo Mitrani, poeta e musicista per vocazione, ingegnere per professione da antica data, a cui vanno i miei auguri più affettuosi... 

Ma non è di questo che mi preme parlarvi oggi. Ho bisogno di incontrarvi per disperdere pensieri difficili da pensare. Non voglio coinvolgervi, ma sento la necessità di farlo. Una urgenza del cuore. Da oltre un mese la mia amatissima sorella Anna Maria è nelle fauci feroci di chi non dà scampo in una clinica di Bari, che sta usando e osando tutte le tecniche chirurgiche all’avanguardia per restituirla all’amore e alle braccia di tutti noi che, impotenti, ci carichiamo di Speranza. Ieri notte per lei ho scritto i seguenti versi, per farle sentire la mia carezza, per andare in deviazione e non pensare:

Petalo a petalo maggio

ha lasciato cadere i suoi giorni

di cristallo smerigliato di pioggia e dolore.

Mi consegna una promessa d’amore:

ritornerò a casa ma sono a metà strada.

 Petalo a petalo ho sfogliato i giorni

di questo maggio cattivo e crudele.

Petalo a petalo ti ho inondato di rose

per la carezza sognata sul finire della sera.

In un vuoto di stelle che mi attanaglia d’attesa.

Petalo a petalo ho strappato papaveri

che non avevano motivo di fiorire

in un giardino né mio né tuo

senza i tuoi occhi a sorridere alla vita.

Ieri i tuoi occhi immensi di conforto

e Speranza hanno abbracciato la luce

di una nuova alba insieme.

 E di preghiera ho vestito la gratitudine.

(Il tuo sorriso di ciliegie aspetto

   nel cortile della nostra antica casa…)

 E sono qui a pregare e a sperare che superi ogni ostacolo alla sua completa ripresa per poterla abbracciare in questo giugno piovoso, in cui non manca un raggio di sole. E desidero concludere con un ricordo di ciliegie e della nostra giovinezza spensierata e felice che abbiamo insieme vissuto “nel cortile della nostra antica casa”. E il nostro adorato nonno a farci compagnia.

<In primavera, poi, con lo splendore della natura che esplodeva d'erba, di pratoline e di fiori di campo, tu andavi a casa dei nostri tanti amici e li invitavi a venire con noi in campagna all'alba del giorno dopo. Molti venivano in bicicletta, altri salivano sul traino con noi. E il cielo era un ricamo d'alberi. L’alba spegneva le stelle e vinceva lentamente il buio, rischiarando i nostri occhi spalancati di stupore su quella natura rigogliosa e ricca di frutti. Le nostre labbra chiacchierine si confidavano, in bisbigli d'intesa, confidenze di amori appena nati. Nel campo dei ciliegi sciamavamo tra i rami e tu, appena di ritorno, vestivi a festa il nostro quartiere con ceste di rossi frutti che distribuivi in tutte le case. E le case si accendevano di colore e di allegria: adulti e bambini si riempivano le mani delle accese ciliege, raggruppate dai lunghi gambi e ricoperte dalle verdi foglie

(ciliegie di maggio ciliegie d’assaggio ciliegie di giugno ciliegie a pugno…)

Già da bambina avevo imparato quel rito festoso che salutava di gioia la nostra primavera...

( bbéddə accòmə a ‘na cəràsə…) (sei bella come una ciliegia…)

Lungo le strade le ragazzine, con quelle lampade accese ai lobi delle orecchie, cantavano la spensieratezza dei loro pochi anni, dilatando lo spazio angusto tra quelle case antiche, dove il cielo era un lungo rettangolo blu definito dai terrazzi anneriti di tempo e di impervie stagioni...

 Questo è il tempo delle ciliegie,

le ciliegie si vanno a cogliere,

si vanno a cogliere ad una ad una,

questo è il tempo del primo amor...

La cintura stretta stretta

e la gonna larga larga,

le scarpette a punta a punta:

io ballerò con te...

Io danzerò con te...

 

Questo è il tempo delle ciliegie,

le ciliegie si vanno a cogliere,

si vanno a cogliere col panierino,

questo è il frutto del mio giardino...

La cintura stretta stretta

e la gonna larga larga,

le scarpette a punta a punta:

io ballerò con te...

io danzerò con te...

 Divenuta ragazzina anch'io, adoravo quelle ciliegie: rosse, dolcissime, morbide, profumate

(cerasèlla cerasé/quànnə è tìmbə də cəràsə/ tu mə dai tre o quattə vàsə/ cərasèlla cərasé/ quànnə è tìmbə də limónə tu m’assàssə ‘nu scəcaffónəNunzio Gallo e Aurelio Fierro cantavano)

Le ciliegie erano per me quasi labbra baciate di donna innamorata e amata

(“Labbra dal disìo baciate”, come avrei letto e scoperto più tardi)

E, poi, via via, fioroni e gelsi e nespole e prugne e fichidindia. Grosse ceste di uva matura e dolce da scaldare l'anima. “Spórtə” (panieri stretti e profondi di sottili sarmenti d’ulivo intrecciati), “spərtéddə” (panierini)   “scəchəcchəmarùzzuə” (recipienti piccoli piccoli, per la gioia delle mie manine), di olive verdi e brune da fare in salamoia o con la calce oppure da far scoppiare nel tegamino o sotto la cenere e da mangiare col pane fra boccali del tuo ottimo vino e, per quegli anni, insolite risate.

C’erano più frutti che fiori allora nella nostra casa a colorare e a profumare i giorni.

Ma ora ho fatto un salto temporale dovuto alla memoria che non sempre segue il tempo nella sua cronologia storica. E non sempre riporta alla coscienza collegamenti di esperienze nel loro susseguirsi esistenziale. Irrompe così all’improvviso e accende l’occhio di bue su un volto, strimpella l’assolo di una voce, riempie una strada di ciliegie. Occorre allora ricucire il   prima e il dopo perché nulla sfugga alla fiaba e alla storia>.

Perché il ritorno di Anna Maria a casa sia una festa nel cortile e tra le stelle. 

E mi sembra giusto raccontare ancora, riproponendo i ricordi tratti dal volume I della trilogia Le piogge e i ciliegi, il cui III volume è in cantiere da qualche tempo.

<Tu, nonno dei campi e delle ciliegie, con la tua compagna, nonna di pane e di focacce e taralli e pasta al forno, rimaneste soli per poco in quella casa austera, che sorrideva solo alla lama azzurra del cielo sui larghi terrazzi e le strette vie. Tornammo con mamma e senza babbo, appena alcuni mesi dopo, per la nascita di una nuova bambina, Anna Maria, che per me fu subito gioia di occhioni stellati, ma soprattutto rinnovata felicità di stare con te e di ritrovare angoli di giochi, abitudini di mani e di passi, voci indimenticate. (…)

(Ma, come sempre accade anche nei grandi cambiamenti epocali, generali e individuali, in ogni ritorno tutto sembra diverso e tutto si ripropone. Nietzsche me lo avrebbe insegnato molto più tardi).

Tutto era già diverso e tutto mi sembrò uguale. Tornai alle mie vecchie abitudini di volare sognare parlare con le statue giocare alle signore con Lizia inventare storie con te.

E anche in paese la gente sembrava ritornare a vivere.

Certo, avevamo pasticciato con le alleanze durante la guerra, ma il fascismo era stato spazzato via in un bagno di sangue dagli Alleati e da quella terribile guerra civile tra fascisti e partigiani che alla fine ci vide tutti sconfitti nella nostra dignità di esseri umani. Il re aveva abdicato in favore del figlio, ma anche questo giovane rampollo di casa Savoia, il “re di maggio”, fu obbligato a scegliere, non senza polemiche e per evitare nuovi lutti, la via dell'esilio, essendo stata proclamata in Italia la Repubblica con il Referendum del 2 giugno 1946.

Ricordo ancora, come un incubo, la paura che mi sorprese, subdola e infinita, quando tu, mamma, nonna e babbo foste costretti a lasciarci da sole in casa per andare a votare. Avevamo, Lizia e io, cinque e quattro anni appena compiuti. Le donne votavano per la prima volta e non sapevano come fare. Avevano bisogno di voi uomini per farsi coraggio e dare il loro voto. In casa già nei giorni precedenti lievitò una grande nebbia di incertezza e di tensione. L’unico ad avere le idee chiare forse era babbo, chiuso nel laconismo di chi è sopravvissuto all’orrore. E don Mincucciouno, il nostro amico sacerdote, che curava tutte le pratiche burocratiche delle tue proprietà e che vi aveva suggerito più e più volte come votare, dove apporre la firma o la croce (la cròcə sòpə all’alta cròcə), ma voi respiravate perplessità e ingoiavate preoccupazione e dubbi e paure. Nonna Angelina dichiarava che lei non ci capiva niente e che avrebbe preferito non votare tanto avrebbe comunque sbagliato e che, alla fine, “non era col suo voto che si salvava l'Italia”. Mamma si sforzava di mantenere la calma, ma si tagliava a fette il suo timore per qualcosa che le sembrava oscuro e minaccioso per il nostro futuro. Io e Lizia attendemmo impaurite che usciste di casa per quella missione per noi misteriosa, oltre che carica d'insidie. Ricordo che ci stringemmo vicine vicine in attesa del vostro ritorno, aggrappandoci al davanzale della finestra della cucina, dopo essere salite sulle sedie, per guardare attraverso i vetri la strada e i rari frettolosi passanti.

  Io e lei, pendoli silenziosi del tempo con il cuore pulsante in tutta la casa.

Spaventate dai passi che sentivamo pesanti lungo la via e da quelli ancora più minacciosi e vicini che ci assalivano alle spalle, ci ghermivano, c'impedivano di respirare, di parlare, di piangere. Un secolo. Due secoli. Tutto il tempo del silenzio, della paura e dell'angoscia. Poi tornaste e ci sembrò il miracolo atteso per le nostre preghiere soffocate “Angelo di Dio...”.

Mai avevamo tremato tanto. Forse solo quando, stando sempre appollaiate sulle sedie, dietro i vetri della finestra della cucina, nostro quotidiano rifugio quando volevamo “guardare fuori”, vedemmo piovere cenere dal cielo. Tutti in casa si spaventarono. E noi con loro per contagio. Si disse poi che era stata l’eruzione del Vesuvio. E noi scoprimmo un nuovo fenomeno del tutto sconosciuto. Io avevo appena due anni, ma quella cenere mi piovve tra la strada e gli occhi e si fermò nella memoria.

                             La pioggia di cenere finì. La paura rimase.

Poi sembrò tutto passato, con gli Alleati che avevano portato nelle stesse case, non più impaurite ma con le finestre spalancate e tanta voglia d’aria nuova, il DDT contro pulci, scarafaggi, pidocchi, mosche e zanzare, un tormento d’insetti che aveva angustiato la tua generazione e sicuramente ancor di più quelle precedenti. Tu ci raccontavi divertito che quando andavate in chiesa era “tutto un grattarsi tra una preghiera e l’altra, tra l’Introito e l’Ite missa est” (jèvənə chiù rə pùrgə e rə pədùcchjə ca rə crəstjànə…)(erano più le pulci e i pidocchi delle persone).

Gli Alleati portarono anche la cioccolata e l’allegria dei vincitori per quelle stesse strade, ora attraversate da camionette e biciclette e traini. I ragazzini sull’uscio delle case a pianterreno guardavano con occhi di meraviglia e mani veloci cioccolatini e caramelle che piovevano da quelle camionette con quelle divise assiepate, ora diventate amiche>.

 E ci lasciamo con questi ricordi così vivi e palpitanti in questa domenica che li attualizza e mi vede desiderosa di poterli ricordare ad Anna Maria e a tutti noi che siamo qui ad aspettarla… Grazie. Angela/lina