martedì 7 maggio 2024

Martedì 7 maggio 2024: IL MIO RAPSODICO "SPOON RIVER" CHE MI PORTO NEL CUORE... (continua)

E, tra oggi e domani, voglio parlare di due estremi: guerra-morte, nascite-risate. Per stemperare un’atmosfera soffocante che rischia di avvolgerci tutti e di farvi scappare a gambe levate. Come vado registrando in questi ultimi incontri sul nostro blog. Credo che il mio “Spoon River” sia giunto al capolinea. Ancora un paio di puntate e stop. C’è tanto altro di cui parlare, su cui interrogarci per riflettere e darci delle risposte. E, intanto, riprendo dalla guerra, così tragicamente presente ai nostri giorni.

La guerra. Niente di più folle, di insensato, di devastante. Oggi più che mai. Bastano poche bombe nucleari per distruggere il nostro pianeta. Ma ne sono state costruite molte di più per la follia della mente umana. Per il potere del denaro. Per il potere del potere. Così, banalmente, senza avere minimamente coscienza della nostra follia di piccoli uomini nella nostra precarietà di abitanti a tempo determinato e in “comodato d’uso” del nostro “piccolo mondo”. Persino una studiosa come Hannah Arendt, nel processo contro Eichman, ritenuto il Male assoluto, per le esecuzioni di milioni di ebrei durante la seconda guerra mondiale, dopo aver assistito alle 120 sedute del processo a Gerusalemme nel 1961, ebbe a scrivere, ne La banalità del male del 1963, che in quell'uomo non avvertiva consapevolezza del male compiuto perché si difendeva dicendo che aveva obbedito agli ordini.

<Tu avresti detto: “Attacchì u ciùccə addo’ vəlè u patrónə  (“Legò l’asino dove volle il padrone”), ma probabilmente avresti aggiunto ironicamente: “Attacchì u ciùccə addo’ vəlè u ciùccə stèssə   (“Legò l’asino dove volle l’asino stesso”), non ritenendo giusta quella ubbidienza per una causa ingiusta. Avevi dentro di te un senso della giustizia molto equilibrato che probabilmente nessuno ti aveva insegnato ma che sicuramente avevi respirato in casa con i tuoi morigerati genitori.

Ci furono molte polemiche allora contro la grande studiosa e feroci accuse da parte degli ebrei, che si aspettavano una strenua difesa da una ebrea e non una sorta di difesa dell'operato della belva del Terzo Reich; da parte dei cristiani, che videro offesa la loro dottrina della piena avvertenza e del deliberato consenso; da parte di tutto il mondo civile e non, con minacce di morte e un vero e proprio ostruzionismo che gli editori perpetrarono per impedire l'ulteriore diffusione del libro incriminato e di ogni altra pubblicazione della Arendt. Eppure la sua posizione, a mio parere, era chiara e riguardava non la difesa o l'offesa, ma la constatazione evidente della natura umana di cui Eichman divenne per lei metafora e simbolo. Senza etichette. Quale piena avvertenza e deliberato consenso, dunque? Nessun uomo è, quindi, colpevole? Chi ammetterà mai di fare del male in piena libertà e in tutta coscienza? Saremmo tutti dei rei confessi e, invece, ognuno proclama la propria innocenza.

È una sfida al pensiero, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alla radice delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale”, ancora Hannah nella sua ampia disquisizione su La banalità del male.

L'unica coscienza pura di autentico cristiano io la scoprivo di volta in volta in te, nelle tue scelte di vita, e in pochi altri come te, di cui tessevi le lodi per l'onestà e la coerenza nei principi professati. Ricordo che una sera ti sentii raccontare proprio a tuo fratello sacerdote, che si trovava in vacanza da noi, quasi in confessione, che avevi commesso un peccato grave di cui ti vergognavi e che avevi prontamente confessato a don Mincucciodue: eri entrato nel campo di un tuo vicino confinante per prendere due olive “pasóle”, grosse e invitanti, per seminarle nel tuo campo che di ulivi ne aveva tanti ma non di quella qualità: nere e dolci, da mangiare fritte “jndə au frəsuìcchjə” (nel tegamino) o arrostite sotto la cenere. Zio padre Leonardo ti ascoltò dapprima sorpreso, poi incredulo e, infine, commosso. E ti disse che c'erano peccati ben più gravi che la gente non avrebbe mai confessato per ignoranza o scarsa consapevolezza, soprattutto i peccati contro il prossimo. Noi rimanemmo senza parole. Poi ridemmo di cuore per quel peccato minuscolo come due olive in una coscienza grande come un oceano.

(E più volte negli anni, ricordando quell'episodio, mi son chiesta: ma davvero due olive? Avevo sentito e capito bene quella sera di tanti anni prima? E più volte mi è tornata in mente la terzina dantesca del terzo canto del Purgatorio, quando Dante, accorgendosi del rimorso di Virgilio, sua guida, per i rimproveri di Catone, in quanto avevano rallentato il passo per ascoltare il musico Casella, esclama: El me parea da sé stesso rimorso/ o dignitosa coscienza e netta/ come t'è picciol fallo amaro morso. Ma anche tutto questo è avvenuto molto più tardi). (…)

Zio Padre Leonardo: alto, snello, con la lunga barba brizzolata, il neo sulla guancia destra, gli occhiali “trifocal” dorati, che aveva portato dall'America, il “clergyman” al posto del saio francescano, che invece indossò fino alla morte l'altro tuo fratello, zio fra' Francesco. Era elegantissimo e metteva soggezione tanto era bello. Pronunciava le parole con l'accento umbro un po' aspirato come il toscano, con un’intonazione morbida, suadente, catturante. Bellissima la sua voce, sapientemente modulata. Tutti rimanevamo affascinati dalla sua voce e dalle sue parole: colti e ignoranti, adulti, bambini, vecchi. Orchestra di mille suoni ad ascoltarlo. Eravamo fortunate ad averlo come zio. Tu lo adoravi. Ti facevi piccolo piccolo di fronte a lui, nonostante fosse il più piccolo dei tuoi fratelli. Era un grande oratore. Conosceva molte lingue (cosa rarissima per quei tempi) ed aveva una cultura enciclopedica. Da poco era tornato in Italia ed ora era Padre Provinciale a Perugia, nel convento che aveva fatto ristrutturare e ampliare con i dollari che aveva mandato da New York e dovunque si trovasse. A noi di casa portò sfiziosi, e forse utili, regalini: il portafoglio di pelle color cuoio e l’elegante orologio da taschino (“la cipolla”) per te, lo scialle di lana per la nonna, la borsetta di vernice nera per mamma e giocattoli e cioccolatini per noi. Più tardi, i suoi regali sarebbero stati qualche libro, qualche coroncina di madreperla, qualche penna stilografica. E la sciarpa per te, le pantofole per la nonna. Poi avrebbe regalato una bellissima macchina fotografica, una Zeiss, a Lizia per aver superato brillantemente gli esami di Stato. La dentiera per nonna. Ma il regalo più gradito era averlo con noi. Con noi!

Era imponente, autorevole, amante del bello. Da esteta, sosteneva che una donna avrebbe dovuto sentire l’imperativo categorico di essere sempre gradevole nelle vesti e nella persona, dai dieci ai cento anni. Diceva che era un dovere, per lei, curarsi e rimanere bella il più a lungo possibile per suo marito, per i figli, per sé stessa. E ci dava consigli di buon comportamento. (a tavola i gomiti non vanno messi sulla tovaglia ma bisogna tenere le braccia ben aderenti al corpo per non intralciare il commensale vicino le posate si portano alla bocca e non la bocca alle posate il capo e il busto devono essere sempre in perfetto allineamento con tutto il corpo non bisogna piegarsi né a tavola né quando si cammina è molto importante mantenere una posizione eretta per evitare malformazioni alle ossa della schiena delle scapole dello sterno non bisogna mai sussurrare parole all’orecchio di qualcuno se si è in presenza d’altri non è permesso non è concesso non si deve... si deve attendere che sia il più importante a dare per primo la mano da stringere nelle presentazioni o nel saluto... si deve chiedere sempre il permesso di dire o fare qualcosa in presenza di altri... si deve sempre ringraziare chi ti ha usato una gentilezza… si deve). Ma non ci annoiava mai perché aveva una voce che era musica. Armonia di mille arpeggi. Io ogni volta m’incantavo ad ascoltarlo, e pensavo al flauto magico e ai topolini che seguivano quella musica irresistibile, come mamma ci aveva più volte raccontato quando stavamo insieme…

Era, perciò, bellissimo ascoltare le sue memorabili prediche che commuovevano tutti i presenti, accorsi per vederlo e per ascoltarlo. Cosa rarissima per il nostro paese. Nonostante spesso nelle chiese venisse chiamato un “prədəcatòrə” (predicatore), Padre cappuccino o domenicano a ritemprare, zelante, con alcuni sermoni dal pulpito, la fede dei numerosi fedeli. (Le chiese, oggi deserte e spesso sconsacrate, erano gremitissime in quegli anni di innocente analfabetismo e di convinta e sentita partecipazione a tutti i riti ecclesiastici nella sconosciuta “lingua di Dio”: il latino). 

Accanto a lui spesso incontravamo anche zio fra’ Francesco, con le sue massime sagge e i suoi aneddoti divertenti e il suo sandalo con una zeppa molto alta per sopperire alla mancanza di parecchi centimetri alla gamba sinistra (dislivello dovuto ad una ferita di guerra e ad un immediato intervento, persino senza anestesia, da parte del chirurgo cappellano, che così gli evitò l’amputazione dell’intero arto e ulteriori immani sofferenze, come lui ci raccontava) e fra’ Felice, il sempre arguto e sorridente vostro nipote, fratello di Peppino e Pasquale, figli di tuo fratello Michelino. Io ero sempre bianca nuvola di bianco sogno e mi sentivo fiera di me e ancora di me. E tanto fiera di zio Padre Leonardo, di te e di tutti gli altri (altro che Cenerentola apprezzata solo dal Principe!). Zio Fra’ Francesco, in verità, s’incantava a guardare gli occhioni di Anna Maria, che era uno splendore di bimba. E tutto il giorno ad ammirarla e a parlare, giocando, con lei: “bella bella bella… buooona!!!”. E Anna Maria rideva felice. Anche zio Fra’ Francesco ci affascinava con le sue storie e le sue arguzie per farci scoprire il mondo giocando. Insomma, eravate quattro fratelli meravigliosi. Il più taciturno e solitario era zio Michelino. Gli altri due, Antonio e Peppino, non li avevamo mai conosciuti. Quando zio Padre Leonardo andò via fu come se si spegnesse un faro nella nostra casa.

(…) 1975. Caro papà, a fine ottobre, in viaggio io e Primo verso Roma per l’Anno Santo, voluto da Papa Paolo VI, vedemmo per l’ultima volta, nella sua Perugia, zio Padre Leonardo. Facemmo sosta nel suo convento, dove fu felicissimo di ospitarci. Ma lo vedemmo già stanco e sofferente. Sentii che non l’avrei rivisto più e che avrebbe ben presto illuminato solo il tuo Cielo>. (solito romanzo, vol. I)

Mi fermo qui per non annoiarvi, ma domani riprendo per farvi ridere un po’ con la nascita di Daniela, l’ultima di casa Leone che da subito si fece conoscere per il suo carattere forte-fragile, ma sicuramente impositivo e coraggioso. Fonte, comunque, di mille risate che desidero condividere con voi in questi ultimi incontri sul mio reiterato “Spoon River”… A domani. Angela/Lina

 

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