martedì 17 dicembre 2024

Riflessioni su "Se mi conosci..." di Vincenzo Mastropirro


Vincenzo Mastropirro Se mi conosci, Opera poetica vincitrice al Faraexcelsior (FaraEditore 2024, Rimini)       

Motivazione della Giuria

Questa raccolta si è classificata seconda ex aequo al concorso Faraexcelsior 2024, ricevendo il seguente giudizio da Doris Bellomusto:

Si apprezza l’originalità dello stile e del contenuto, la vivacità espressiva ottenuta attraverso la sapiente mescolanza delle lingue madri, italiano e dialetto. La silloge è strutturata con delicata attenzione in modo da consentire a chi legge di ricostruire il senso profondo di un viscerale legame con la madre e con la morte.

Introduzione dell’autore

“Se mi conosci” è considerata un’espressione tipicamente autoreferenziale che rimanda all’interlocutore in termini della sfida e dell’aspettativa. Quel condizionale che non può prescindere dal rapporto intimo con l’altro, trascinando con sé ogni sfumatura relazionale per invitarlo a compiere un gesto, un’azione o, comunque sentirsi parte attiva in un determinato contesto.

In questa mia interpretazione invece, l’espressione riflette una valenza diversa, sono io che mi chiedo: se mi conosco. Se mi ri-conosco davvero. Riflessioni a cielo aperto che principalmente appartengono alla relazione madre-figlio, ma anche a tutti gli altri legami che la vita ha avuto il compito di tessere e intrecciare durante la mia esistenza.

Anna (mia madre Ninetta) ma anche la mamma di Maria, di conseguenza la Mamma di ciascun cristiano credente, io compreso - in quanto figlio - benché poco credente. Forse si tratta di un figlio qualunque, forse di un figlio ribelle, forse compreso, forse disatteso, forse programmato, forse “improvvisato”.

Comunque un figlio che ha un rapporto direi simbiotico con la propria madre tanto che non valgono le parole per capirsi e quelle che il figlio dice anche se a lei estranee valgono oro colato. L’intesa madre-figlio è perfetta, nonostante il figlio da bambino sia stato uno scavezzacollo, ribelle alle regole, amante del gioco in libertà, come ogni bambino, ma con una musica magica nel cuore - il flauto - che solo lei sa, conosce e riconosce. E la magia del cuore si estende ad entrambi. Vincenzo è un generoso ad oltranza, prima di sé stesso mette gli altri. Cita i poeti e i musicisti, gli artisti in genere, propone i loro versi, la loro musica. E lo fa anche in questo Libro, dedicato alla madre, senza dimenticare il fratello Antonio e la sorella Mimma perché ogni “separazione” gli procura dolore, rivelando una straordinaria sensibilità che non è facile scoprire sotto la maschera ironica e aspra, con cui si difende dalla quotidianità senza sogni della maggioranza delle persone che quotidianamente incontriamo e non sanno sognare, prive come sono di creatività e di fantasia. Chi se non un’anima ricca di particolare sensibilità avrebbe potuto dedicare a sua madre la poesia a p. 15: “U chjande de la chjande” (“Il pianto della pianta”) in memoria di sua madre agonizzante, oppure quella a p. 17 che parla di sua madre e di sua nonna, sovrapponendone i volti, “resi immortali per i loro capelli al vento”: preziosa immagine di una gioventù d’altri tempi che Vincenzo ripropone nello splendore dell’immaginazione che è più di un ricordo. A p. 20, ecco una perla: “Se un giorno sarò mai vecchio” e i figli dovranno accompagnarlo oltre l’Oltre sentiranno forse la stessa ninnananna che lui fece in una carezza a sua madre e forse la canteranno con lui, che, con rammarico avvertirà lo sbilancio generazionale che eviterà loro di poterla capire, condividere.

La “madre” è il punto focale della poesia di Vincenzo Mastropirro a cui subito dopo si affianca la “morte”: è un binomio inscindibile, dato che Vincenzo ha visto morire sua madre tra le sue braccia. L’ha cullata, l’ha stretta a sé in un abbraccio senza fine. Ma con la madre convergono tutti i riti che lei era solita perpetuare della sua fede, delle sue devozioni, delle sue lacrime nascoste per sopravvivere alle inevitabili delusioni che la vita riserva sempre ai puri di cuore, pur avendo mano ferma e una strategia di sopravvivenza: l’ironia, che tanto accomuna madre e figlio, e in cui si sono sempre riconosciuti. Ma c’è in Vincenzo molto di più: il gusto del paradosso, della contraddizione, della ribellione: Nessuno abbraccia più nessuno/ i padri non abbracciano i figli/ i figli non abbracciano i padri./ Nessun petto contro petto/nessun abbraccio nell’arido greto./ Solo l’amore per l’amore illumina/ quello che abbaglia come luce/ che scala vette impervie e scure/ confidenze che solo Dio conosce.

C’è anche un apparentamento strano con la fede, la religione, Dio. In Vincenzo prevale un atteggiamento agnostico con sospensione di giudizio, che lo mette in una strana posizione, che è più sofferenza che libertà dai “lacci” della fede. Anche qui prevalgono la sua sensibilità e l’influenza materna. Molto profonde e intense le pagine dedicate alla sua bellissima moglie Gina, ai suoi figli (vedi a p. 36 i versi stupendi dedicati a sua moglie e a suo figlio Michele, che sta per nascere). Praticamente, Vincenzo è un uomo che vive tutti i sentimenti in maniera sofferta e sincera, con la musica di sempre a fargli compagnia e una lacrima nascosta tra i pensieri. (vedi a p. 76 la conferma di quanto da me evidenziato e per chi volesse leggere quanto da me scritto in “L’inno alle madri” è a pp. 79-81). Un abbraccio grande a Vincenzo e a tutta la sua meravigliosa famiglia.

Lina