Il silenzio mi piace. Paradossalmente perché, come ben sapete, io amo le parole, amo comunicare con le parole, confrontarmi, conoscere… Eppure, c’è silenzio e silenzio: quello dell’alba e quello della casa che dorme, quello delle cose che nel buio scompaiono e si ridestano. Il buio della notte e incontrare il silenzio delle stelle che, in realtà, producono musica, quasi fosse il sussurro del cielo. Il sogno (forse neppure sognato) di Dio. E che dire del silenzio della pioggia sul mare? Una eterna conchiglia da portare all’orecchio per avvertirne il suono, il suo messaggio…
Come
non amare, dunque, il silenzio? Come non sentirlo dilatato e pacificato dopo un
temporale, uno scroscio d’acqua, dopo il prolungato pianto di un bambino, dopo la
caciara di una sagra paesana, dopo il terrore assordante di tutte le guerre? Come
non assaporarlo dopo l’inquinamento acustico dei nostri giorni e scoprire che c’è
ancora e che, invocato e atteso, benefico ci salva? Come e perché ci salva? Perché
nel silenzio noi incontriamo il mistero, lo penetriamo e scopriamo il suo
linguaggio misterioso in una società distratta dal chiasso, vuota di senso e ricca di
teorizzazioni, ammalata di individualismo e assoggettata a considerazioni
astratte che spesso sono solo elucubrazioni virtuosistiche della mente. Il silenzio,
invece, riporta il nostro sguardo sulla “cosalità” perduta, sulla materica
composizione del mondo come soglia di ogni altro pensiero, di ogni altra
conoscenza. Fisica e metafisica. E parto ancora dal silenzio delle cose, per
“vederle” oltre che guardarle e scoprirle e valorizzarle. Per ascoltarle.
Silenzio, pertanto, è una parola che mi piace molto, soprattutto se penso al silenzio che fa parlare il cuore. Come diceva mio nonno, quando sorprendevo lui e mia nonna seduti vicini nella penombra della sera, dopo aver recitato il rosario, dietro i vetri di casa, in silenzio, a salutare il buio che annullava le cose e i rumori e le voci del loro piccolo mondo: la strada di casa, allora ancora un po’ in periferia o la semplice via di un amore che li teneva indissolubilmente uniti. Sereni, nonostante gli innumerevoli dolori e dispiaceri da entrambi vissuti. Con tanta fede in Dio e mai una recriminazione per non sciupare il nostro incanto per la vita. Anche a Primo, il mio tempestoso compagno per circa quarant’anni, piaceva il silenzio del nostro raccontarci con gesti d’amore il giorno, lui che aveva come codice preferito di comunicazione l’urlo, e si meravigliava del mio accoglierlo in silenzio, “senza lo scontro”. Se torna il silenzio: era una aspirazione ed una invocazione. Una necessità di vita per riscoprirci insieme.
Ma SILENZIO è
anche una parola che mi sgomenta, quando penso al silenzio che crea un vuoto;
che separa con fratture e divisioni; che è culla di odio e di rancore; che cova
vendetta; che coltiva un equivoco e lo fa ingigantire nella mente; che nasconde
un sentimento mai svelato e, quindi, mai conosciuto e riconosciuto, mai vissuto
nella pienezza del gesto, oltre che delle parole. Silenzio atteso e temuto,
dunque. Silenzio invocato e nutrito. Infranto e chiacchierato. Silenzio
raccontato.
Il silenzio è il nulla prima del Big Bang, esplosione del Creato. Che si racconta con le cose. La materia, innanzitutto. Generata dal nulla per un atto di Energia purissima. Come direbbe un mio amico poeta e chimico. È il vuoto tra due rumori, tra due suoni, tra due parole. È attesa e ricordo. Speranza e rimpianto. Il pudore e il timore. L’invocazione muta dell’anima. La preghiera. È la cattedrale gotica che s’innalza con le sue guglie al cielo in una penombra che invita al raccoglimento per ascoltare meglio “le voci di dentro”: quelle che ci parlano dell’invisibile che è in noi e fuori di noi: l’arcano, il mistero, il sogno. L’indicibile perché tanto più grande delle parole per esprimerlo. L’immenso. Lo stupore. Il linguaggio dell’Universo. L’incontro temuto, tormentato agognato con Dio.
Ma, in questi giorni, c’è stato un silenzio nuovo del nuovo giorno: mia nipote Anna Paola ha conseguito la Laurea Magistrale in Chimica Industriale, ed io, nonostante non stessi ancora bene dopo la batosta del COVID, ho avuto la forza di essere in aula con lei: per incoraggiarla, per incoraggiarmi (penombra di canto muto colmo di sorrisi del cuore). E sono stata con tutti i parenti, gli amici, i giovani e giovanissimi cugini, stretti in un abbraccio che sa di “appartenenza”, fino alle due e mezzo del mattino. Potenza dell’amore. Coltivando amore. Che sa di luce anche quando la notte ci ha sfiorati, nella certezza che il suo 110 e lode avrà a breve meritatissimi frutti, dovuti all’impegno, alla passione, alla determinazione con cui Anna Paola ha affrontato gli esperimenti quotidiani di Chimica in Facoltà. Siamo stati, dunque, tutti con lei fino al sussurro dell’inizio del nuovo giorno che non teme il silenzio dei balconi a imbrigliare il cielo. Pure, quante assenze/presenze nel silenzio del cuore per non turbare la felicità della conquista e per festeggiarla insieme. Anna Maria, per esempio, è stata al mio fianco, silenziosa e commossa, condividendo con tutti noi questa gioia immensa. E con noi c’erano anche nonni e bisnonni ad accompagnare il nuovo percorso di vita di Anna Paola, che “ha acceso il suo sogno per illuminare il suo infinito”.
E nel buio scintillante della notte sono fioriti anche i miei versi che fra qualche giorno saluteranno l’arrivo dei figli che vivono a Roma e che per motivi di lavoro hanno dovuto rinunciare a essere presenti tra noi. A presto, allora, per raccontarvi l’atteso incontro. Ciao. Angela/lina
❤️❤️❤️
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