domenica 6 aprile 2025

Domenica 6 aprile 2025: "IL DONO DELL’AMORE" DI RAFFAELE NIGRO

Conosco Raffaele Nigro da tanti anni ormai da non riuscire più a contarli. E conosco da altrettanti anni la sua scrittura lungo un percorso che non conosce confini spazio-temporali, ma solo accese, appassionate e meritate conquiste culturali e letterarie, che hanno scritto il suo nome a caratteri cubitali nella Storia della Letteratura Italiana e non solo perché le sue innumerevoli opere sono state tradotte in molte altre lingue.

Numerosissimi i premi e i riconoscimenti, a partire dal Campiello per I fuochi del Basento nel 1987 ad appena quarant’anni e già tantissime pubblicazioni alle spalle come scrittore, poeta, giornalista, saggista, autore di Teatro, ma anche regista. Amante di libri, di opere d’Arte, della Bellezza in genere, in tutte le sue innumerevoli forme. Sempre alla ricerca del “fatto storico”, riguardante la sua terra tra Puglia e Basilicata, ma anche lungo l’intero appennino per descrivere una identità “verticale” della nostra Italia, meta di tanti suoi viaggi, che riguardano anche “terre straniere e amate” come la Serbia e l’area balcanica. E potrei continuare all’infinito, come infinito è il suo viaggio tra le parole, le immagini, i suoni ancestrali, i rumori della terra, che ama visceralmente.

Ma oggi devo fare i conti col suo ultimo libro, almeno per il momento, Il dono dell’amore, (edito da La nave di Teseo, Milano, 2024, pp.423, £ 22).

È un romanzo che rispecchia in toto le strutture formali e contenutistiche di quelli precedenti, tutti incentrati su luoghi veri e personaggi veri e magici nello stesso tempo…, e veri sono i percorsi tra terre e mari conosciuti, fino a raggiungere luoghi lontani e ricchi di mistero e magia. Come sempre, continui sono i riferimenti colti a tutto quanto rende preziose anche queste pagine: i dipinti di Millet e il Realismo francese dell’Ottocento; i “fenicotteri rosa, saliti fin qui dall’Africa e sparsi tra gli sconquassi delle periferie”, che riguardano “un mondo sfuggente, parallelo, invisibile” (e bastano tre aggettivi per connotare le periferie di ogni Paese); i passaggi incantati e poetici che fanno sognare oltre la stessa storia dei protagonisti, che si aprono a mille altre storie per fare rientrare in un discorso di creatività e di politica un mondo di altro e altrove: “tentare sempre la scalata alla luna, osare dove altri non osano. Come Colombo e Magellano. Questa è la passione creativa. Dare un senso politico alla propria creatività. Per gli altri, i più deboli, basta puntare in alto, attraverso la via della semplicità…”. Non a caso, i riferimenti ai politici della nostra Puglia: da Nichi Vendola a Michele Emiliano a Raffaele Fitto, nei loro diversi e molteplici impegni per risollevare le sorti della nostra Regione.

In pratica, da tutto il romanzo, emergono la stratosferica cultura del suo Autore, la sua sensibilità poetica, le innumerevoli esperienze che ne hanno fatto un “viandante”    solitario, che fa della sua solitudine sguardo vivificatore di incanti e nostalgie, persino in presenza, almeno nel romanzo, dei compagni che quei viaggi vivono ciascuno col proprio modo di essere e di afferrare sogni e illusioni, fragilità e risorse.

L’inizio del romanzo è già la conferma di trovarci nei luoghi della Puglia che conosciamo molto bene, nei pressi di Foggia: “Tra Stornara e Borgo Incoronata” con una motivazione per i protagonisti dell’estate 2012: Marsilio dal Ponte (“pittore di talento, ma spiantato”, Beppe (detto Picasso), sempre in crisi esistenziale, e Michele (detto Chagall), che vede il mondo attraverso i colori delle sue immancabili tele. Sono suoi fedeli amici di mille avventure in “cerca di ispirazione”, dato che sono a corto di idee. In realtà, essi conversano a lungo, tra il serio e il faceto, tra un bicchiere di birra e una bestemmia, delle varie problematiche che emergono nel nostro Sud di ieri e di oggi: le migrazioni e i migranti; lo svuotamento dei nostri paesi verso il Nord in cerca di lavoro e lo svuotamento dei tanti Paesi extracontinentali, vessati dalla fame, dalla guerra, da varie pestilenze e tragedie, in cerca di luoghi migliori e più accoglienti; le nostre preoccupanti situazioni per “le distese distrutte di olivi, la Xilella li ha bruciati”, “L’Ilva con le sue cattedrali di laminati di acciaio”; l’annoso tema della partenza e del ritorno, ma anche quello più coraggioso delle “restanza”, affrontato, tra l’altro, magnificamente in ricordo del padre di Marsilio, un filantropo morto purtroppo precocemente per cirrosi epatica e massacrante lavoro al fianco dei suoi lavoranti.

Suoi compagni di viaggio, in tal senso, sono altri grandi poeti, scrittori e giornalisti del Meridione, dalle poesie del nostro imperdibile Lino Angiuli al grande saggista, storico e archivista Valentino Romano, ma potrei continuare ancora se non temessi di fare torto a qualche grande Autore che potrei involontariamente omettere.

E che dire, intanto, di Rocco Scotellaro? Così legato alla sua Lucania e ai suoi contadini da aiutare con ogni mezzo? Politicamente, ma anche con la poesia, con i suoi sofferti versi in dialetto e con i suoi romanzi, tra cui L’uva puttanella-Contadini del Sud, che gli valse, post mortem, nel 1954, il Premio Viareggio e Premio San Pellegrino, per la durezza della denuncia politica e per l’impegno etico-civile-sociale profuso nei brevi ma intensi anni della sua vita.

Ma, tornando a Raffaele Nigro e al suo romanzo Il dono dell’amore, il primo personaggio che si batte per la “restanza”, come già accennato, con aiuti concreti sempre più offerti a profusione nella sua Azienda di Putignano, in cui alleva bestiame, è Agostino, padre appunto di Marsilio da Ponte, uno dei tre protagonisti della vicenda. Un uomo, che s’incontra spesso in tutto il romanzo. Agostino è figura predominante fino all’ultima pagina, come vedremo. Come predominante è il Carnevale di Putignano con, alla base, tutta la sua metafora di vita e di morte: entrambe danno il senso della sorgente (iniziale scintilla di vita) e dell’idea primigenia che porterà al lungo lavoro degli “addetti ai lavori” per percorrere tutte le fasi di allestimento dei carri, come quelle esistenziali e giungere alla foce (a delta o a estuario a seconda del karma individuale). La sfilata è impegno, intrigo, consonanza e dissonanza di pensieri e azioni, aspettative e avventure amorose per spassarsela un po’ e dimenticare gli amori più seri, le donne realmente amate ma difficili da amare, da capire, da vivere. Sono legami tormentati e misteriosi, con malattie distruttive come quella di Agostino, o di Thenia e confessioni improvvise che nascono anche da sconfinate solitudini, imperiose fragilità, e la voglia di andare lontano, di attraversare il deserto per colmarsi di miraggi o di infelicità. Accade a Marsilio e Michele, ma soprattutto a Beppe, anima tormentata quant’altre mai. I tre amici, comunque, pur avendo continuamente intenzione di partire per terre lontane, non fanno altro che brevi viaggi per tutta la Puglia fino alla Lucania. Per evadere da tormenti e pensieri che pungono come lame conficcate nel petto. Ma la meta è andare oltre, in Grecia, come prima tappa, culla della nostra Civiltà e culla dell’armatore Stravos Asimakopulos, che ha fatto conoscere a Marsilio la bellissima Thenia, di cui si è immediatamente innamorato, forse corrisposto oppure… ma il viaggio alla fine comprende Tunisi, Tangeri, Marrakech, Bosaso per raggiungere l’India, che ha forma di cuore e fiabe e leggende antiche.

È qui che possono accadere tutti i miracoli. Qui che è possibile vivere “il dono dell’amore” in tutta la sua possanza. Qui la guarigione prodigiosa di Thenia e il loro amore senza più ostacoli e paure. Qui Marsilio può ritrovare suo padre da tempo ormai nel mondo dell’aldilà. E parlare con lui come quasi mai è accaduto in vita. E portare il suo saluto d’amore a sua madre ancora in pena, alle sue sorelle e suo fratello, che tanto lo rimpiangono. Ognuno col suo carico di rimorsi, rimpianti, aspettative.

Qui, nido di incontri e di emozioni e di luminosità di cieli, oltre il buio delle promesse perdute e delle vele ammainate sul Mediterraneo che si è fatto oceano, vissuto da ciascuno come sfida all’universo nell’attimo di un battito, mentre si disfa di nuovo nel Mediterraneo e sembra un gioco di specchi, un volo di nuvole e promesse d’amore e libertà di sognare il ritorno alle origini, che non separano, ma uniscono perché così è l’amore.

È qui, infine, che Raffaele Nigro riassume tutta la sua singolarità, sempre presente in tutte le sue Opere: Cultura, Storia, Letteratura, Visionarietà psicologica e sensoriale. Ecco, queste ultime si prendono tutte felicemente per mano, in un’Affabulazione, che tutta da sempre gli appartiene.

È qui che perde realmente il suo amico Beppe Labianca, a cui è dedicato il romanzo, perché deciso a cambiare rotta per cambiare il mondo, e si affratella ancora di più a Michele, altro amico reale, con cui, nella finzione del romanzo, desidera tornare a Bari, luogo senza radici, ma con tanti amici, tanto lavoro, tanto cuore.

Tra un miscuglio di realtà e fantasia È qui che l’Autore scopre l’ascolto della sua anima, quella più profonda e vera, quella della senilità ancora vibrante di creatività e di speranza, dove è più facile lasciarsi abbracciare dall’unica certezza possibile: “certe cose si fanno solo per amore”.  

Angela                                                      

martedì 1 aprile 2025

Martedì 1° aprile 2025: ancora per te, MAMMA...

Martedì 1° aprile 2025: ancora per te, MAMMA… (seconda e ultima parte)

La salutammo mentre la portavano in sala operatoria con l’ultima figlia che la seguiva passo passo, e mi sembrò un uccellino spaventato e tenero con quella sua cuffietta di lana rosa per non prendere freddo ed era una bimba alla prima passeggiata all’aperto. Aveva la stessa aria stupita, non d’incanto infantile per la scoperta del mondo, ma di disincanto per un mondo conosciuto amato ignorato perduto. Ci aveva raggiunto anche Mimmo, che porta il tuo nome modernizzato di nonno Mincuccio, a cui fisicamente somiglia molto. Ed ora eravamo tutti con lei e per lei a sperare e a pregare. Mancava solo Anna Maria, presente con continue telefonate. Il chirurgo-mago ci tranquillizzò, ci disse che potevamo tornare a casa perché di lì a qualche giorno sarebbe tornata anche lei. Avremmo dovuto usare accorgimenti e precauzioni, ma il peggio era scongiurato. Rincuorati, ripartimmo per preparare la sua camera con tutti i comfort ad accoglierla. Durante il viaggio di ritorno, facemmo progetti per lei. Io mi ripromettevo di esserle più vicina come non lo ero mai stata per tutti gli anni precedenti. Ora sarei stata più libera (il 2000 aveva segnato la interruzione a tempo indeterminato dei Concorsi nella scuola!) e mi sarei dedicata esclusivamente a lei. L’avrei portata in vacanza con me. Saremmo state finalmente insieme. Progetti che ebbero il respiro breve di quel raggio di sole in quei giorni di interminabili piogge di inizio primavera, che tardava a giungere come oggi, e che io sognavo per lei tiepida e con passi di rugiada. Il luminare avrebbe dovuto dirci che “il peggio sembra scongiurato”, non che “è scongiurato”.

Quella notte del ritorno sognai il nonno. Stavo camminando sull’orlo di un burrone di cui non vedevo la fine, tanto buio era il fondo da non distinguere se vi fosse un bosco fitto di alberi cupi o il mare con la sua nenia sommessa o la pianura con i suoi campi coltivati. Mi sentivo sola e disperata e non sapevo perché stesse camminando proprio sul ciglio della strada in quel silenzio spettrale e in quella oscurità così spaventosa. Ad un tratto, lo vedevo seduto proprio lì sul bordo di quell’orribile precipizio a guardare nel vuoto. Lo invocavo, dapprima senza voce. Poi, avevo preso a chiamarlo con voce sempre più forte e disperata, ma non si girava. Ostinatamente continuava a guardare verso l’abisso senza rispondermi e senza voltarsi. Sembrava insolitamente sordo ad ogni mio richiamo.

Mi svegliai sudata e spaventata con un brutto presentimento, confermato da una telefonata concitata che ci informava che stavano portando mamma in ambulanza con il pericolo che morisse per strada. Purtroppo mamma aveva avuto un improvviso repentino peggioramento. Una dottoressa, nostra carissima amica, Teresa Aresta, si assunse la responsabilità, con grande coraggio, di permettere il trasferimento, da quell’ospedale del Nord al profondo Sud della nostra casa, in un’autoambulanza privata, con lei sempre vigile al suo fianco e con nostra sorella, attento angelo a colmarla di carezze. Giunsero stremate entrambe, madre e figlia, tra lacrime brevi, e parole affaticate e non sempre lucide.

Due giorni appena rimase con noi tra spasimi che ci destabilizzavano e tenui sorrisi di affettuosi addii. Ci lasciò stanca di aspettare e di soffrire all’alba della domenica ed era il 1° aprile. Ci sembrò un pesce d’aprile, uno sberleffo atroce sul nostro pianto a lasciarla andare. Capii allora il perché dell’ostinato silenzio di nostro nonno. Era il suo modo di dirmi “non posso farci niente, questa volta non posso aiutarvi”.

Anche Teresa, la vedova di Filippo, procugino di mamma e “figlio acquisito” del nonno, quella notte aveva sognato suo marito che le diceva che era passato a salutarla perché era venuto a prendere comare Melina, la sorella che non aveva mai avuto e che aveva tanto amato. Per portarla in Cielo dove c’erano tutti gli altri e da tutti gli altri in attesa di riabbracciarla. Si affrettò a raccontarcelo tra le lacrime mentre stava lì con noi a darle l’ultimo bacio. E finalmente la sentimmo al sicuro tra le   Braccia amorevoli del Signore.   

E solo dopo, solo dopo ho capito molte più cose di lei. Della sua sofferenza silenziosa. Solo dopo ho sgranato i miei tanti rosari dei comportamenti sbagliati con lei, anche con lei. I lunghi silenzi. I rarissimi incontri. La solitudine dolente che le procuravo: - ti ho persa vivente… non ti preoccupare fai le cose che devi fare… vieni quando puoi venire… chissà se ti rivedo ancora… -

Ed ora che mi manca come il respiro, lei non c’è nella sua casa per andarla a cercare e coccolarla con tutte le confidenze mai più sussurrate, con i baci mai più dati, con le carezze che avrei voluto depositare sulle sue guance di pesca chiara. Mi conforta a malapena il ricordo dei nostri rari incontri nella sua casa e del mio prenderle la mano per coprirla di teneri tocchi leggeri con le labbra e i suoi occhi si slargavano di luminosa accoglienza in uno sguardo di illimitato perdono…

E oggi, martedì, è di nuovo 1° aprile. Non so se i ragazzi di oggi festeggiano il “pesce d’aprile” con scherzi e risate, come un tempo. So che quella notte tra il 31 marzo e il 1° aprile, lei era preoccupata per me, temeva che litigassi con Primo perché ero rimasta da lei, si agitava, mi costrinse ad andare. La lasciai, mio malgrado. Anche gli altri andarono un po’ a riposare. Con lei rimase, se non ricordo male, coraggiosamente e amorevolmente nostra nipote Isabella, la figlia maggiore di Nicola e Anna Maria, e fu tra le sue braccia che spirò.

E io sono qui a tentare di ricordare ogni attimo che mi riporta a lei, al suo AMORE incondizionato. E ancora una volta le dedico una poesia. Non so fare altro. Non posso fare altro: È un’agonia di ore il pendolo/ che mi separa da domani/ oltre un passare di anni senza tregua/ nella nostalgia di te che sei mio pane/ quotidiano e mio quotidiano rimpianto./ Domani è stato il primo giorno/ del tuo spegnerti al nostro sorriso/ per accendere un’altra stella nelle sere/ del nostro cercare una luce almeno,/ tra tanto pianto che mai ci abbandona./ E tu vieni a consolarci come un tempo/ con le tue mani di tenerezza e perdono/ per le nostre assenze sempre presenze/ nel tuo cuore/ INFINITO / come l’universo che attraversi con noi/ che ti abitiamo nel cuore come Tu/ abiti nel nostro, osmosi eterna/ giardino fiorito oltre la pioggia/ che non cancella primavera, ma sempre/ la precede e l’attende./ Noi attendiamo domani per dirti/ in silenzio che mai sei andata via,/ anche se il primo aprile ogni anno/ ritorna, ma porta con sé il tuo profumo,/ il tuo mai spento sorriso, la tua eterna/ giovinezza che sa di Primavera il canto.

TU ancora e sempre con noi!

A presto per ritrovarci come sempre. Angela/lina