Conosco Raffaele Nigro da tanti anni ormai da non riuscire più a contarli. E conosco da altrettanti anni la sua scrittura lungo un percorso che non conosce confini spazio-temporali, ma solo accese, appassionate e meritate conquiste culturali e letterarie, che hanno scritto il suo nome a caratteri cubitali nella Storia della Letteratura Italiana e non solo perché le sue innumerevoli opere sono state tradotte in molte altre lingue.
Numerosissimi i premi e i
riconoscimenti, a partire dal Campiello per I
fuochi del Basento nel 1987 ad appena quarant’anni e già tantissime
pubblicazioni alle spalle come scrittore, poeta, giornalista, saggista, autore
di Teatro, ma anche regista. Amante di libri, di opere d’Arte, della Bellezza
in genere, in tutte le sue innumerevoli forme. Sempre alla ricerca del “fatto
storico”, riguardante la sua terra tra Puglia e Basilicata, ma anche lungo
l’intero appennino per descrivere una identità “verticale” della nostra Italia,
meta di tanti suoi viaggi, che riguardano anche “terre straniere e amate” come
la Serbia e l’area balcanica. E potrei continuare all’infinito, come infinito è
il suo viaggio tra le parole, le immagini, i suoni ancestrali, i rumori della
terra, che ama visceralmente.
Ma oggi devo fare i conti col suo
ultimo libro, almeno per il momento, Il dono dell’amore, (edito da La nave di
Teseo, Milano, 2024, pp.423, £ 22).
È un romanzo che rispecchia in toto le
strutture formali e contenutistiche di quelli precedenti, tutti incentrati su
luoghi veri e personaggi veri e magici nello stesso tempo…, e veri sono i percorsi
tra terre e mari conosciuti, fino a raggiungere luoghi lontani e ricchi di
mistero e magia. Come sempre, continui sono i riferimenti colti a tutto quanto
rende preziose anche queste pagine: i dipinti di Millet e il Realismo francese dell’Ottocento; i “fenicotteri rosa,
saliti fin qui dall’Africa e sparsi tra gli sconquassi delle periferie”, che
riguardano “un mondo sfuggente, parallelo, invisibile” (e bastano tre aggettivi
per connotare le periferie di ogni Paese); i passaggi incantati e poetici che
fanno sognare oltre la stessa storia dei protagonisti, che si aprono a mille
altre storie per fare rientrare in un discorso di creatività e di politica un
mondo di altro e altrove: “tentare sempre la scalata alla luna, osare dove
altri non osano. Come Colombo e
Magellano. Questa è la passione creativa. Dare un senso politico alla
propria creatività. Per gli altri, i più deboli, basta puntare in alto,
attraverso la via della semplicità…”. Non a caso, i riferimenti ai politici
della nostra Puglia: da Nichi Vendola a
Michele Emiliano a Raffaele Fitto, nei loro diversi e molteplici impegni
per risollevare le sorti della nostra Regione.
In pratica, da tutto il romanzo,
emergono la stratosferica cultura del suo Autore, la sua sensibilità poetica, le
innumerevoli esperienze che ne hanno fatto un “viandante” solitario, che fa della sua solitudine sguardo
vivificatore di incanti e nostalgie, persino in presenza, almeno nel romanzo,
dei compagni che quei viaggi vivono ciascuno col proprio modo di essere e di
afferrare sogni e illusioni, fragilità e risorse.
L’inizio del romanzo è già la conferma
di trovarci nei luoghi della Puglia che conosciamo molto bene, nei pressi di
Foggia: “Tra Stornara e Borgo Incoronata”
con una motivazione per i protagonisti dell’estate 2012: Marsilio dal Ponte (“pittore di talento, ma spiantato”, Beppe (detto Picasso), sempre in crisi esistenziale, e Michele (detto Chagall), che vede il mondo attraverso i colori
delle sue immancabili tele. Sono suoi fedeli amici di mille avventure in “cerca
di ispirazione”, dato che sono a corto di idee. In realtà, essi conversano a
lungo, tra il serio e il faceto, tra un bicchiere di birra e una bestemmia,
delle varie problematiche che emergono nel nostro Sud di ieri e di oggi: le
migrazioni e i migranti; lo svuotamento dei nostri paesi verso il Nord in cerca
di lavoro e lo svuotamento dei tanti Paesi extracontinentali, vessati dalla
fame, dalla guerra, da varie pestilenze e tragedie, in cerca di luoghi migliori
e più accoglienti; le nostre preoccupanti situazioni per “le distese distrutte
di olivi, la Xilella li ha bruciati”, “L’Ilva con le sue cattedrali di laminati
di acciaio”; l’annoso tema della partenza e del ritorno, ma anche quello più coraggioso
delle “restanza”, affrontato, tra l’altro, magnificamente in ricordo del padre
di Marsilio, un filantropo morto purtroppo precocemente per cirrosi epatica e
massacrante lavoro al fianco dei suoi lavoranti.
Suoi compagni di viaggio, in tal
senso, sono altri grandi poeti, scrittori e giornalisti del Meridione, dalle
poesie del nostro imperdibile Lino
Angiuli al grande saggista, storico e archivista Valentino Romano, ma potrei continuare ancora se non temessi di
fare torto a qualche grande Autore che potrei involontariamente omettere.
E che dire, intanto, di Rocco Scotellaro? Così legato alla sua
Lucania e ai suoi contadini da aiutare con ogni mezzo? Politicamente, ma anche
con la poesia, con i suoi sofferti versi in dialetto e con i suoi romanzi, tra
cui L’uva puttanella-Contadini del Sud,
che gli valse, post mortem, nel 1954, il Premio Viareggio e Premio San Pellegrino,
per la durezza della denuncia politica e per l’impegno etico-civile-sociale
profuso nei brevi ma intensi anni della sua vita.
Ma, tornando a Raffaele Nigro e al suo
romanzo Il dono dell’amore, il primo
personaggio che si batte per la “restanza”, come già accennato, con aiuti
concreti sempre più offerti a profusione nella sua Azienda di Putignano, in cui
alleva bestiame, è Agostino, padre
appunto di Marsilio da Ponte, uno dei tre protagonisti della vicenda. Un uomo,
che s’incontra spesso in tutto il romanzo. Agostino è figura predominante fino
all’ultima pagina, come vedremo. Come predominante è il Carnevale di Putignano con, alla base, tutta la sua metafora di
vita e di morte: entrambe danno il senso della sorgente (iniziale scintilla di
vita) e dell’idea primigenia che porterà al lungo lavoro degli “addetti ai
lavori” per percorrere tutte le fasi di allestimento dei carri, come quelle esistenziali
e giungere alla foce (a delta o a estuario a seconda del karma individuale). La
sfilata è impegno, intrigo, consonanza e dissonanza di pensieri e azioni,
aspettative e avventure amorose per spassarsela un po’ e dimenticare gli amori
più seri, le donne realmente amate ma difficili da amare, da capire, da vivere.
Sono legami tormentati e misteriosi, con malattie distruttive come quella di
Agostino, o di Thenia e confessioni
improvvise che nascono anche da sconfinate solitudini, imperiose fragilità, e
la voglia di andare lontano, di attraversare il deserto per colmarsi di miraggi
o di infelicità. Accade a Marsilio e Michele, ma soprattutto a Beppe, anima
tormentata quant’altre mai. I tre amici, comunque, pur avendo continuamente
intenzione di partire per terre lontane, non fanno altro che brevi viaggi per
tutta la Puglia fino alla Lucania. Per evadere da tormenti e pensieri che
pungono come lame conficcate nel petto. Ma la meta è andare oltre, in Grecia,
come prima tappa, culla della nostra Civiltà e culla dell’armatore Stravos Asimakopulos, che ha fatto
conoscere a Marsilio la bellissima Thenia, di cui si è immediatamente
innamorato, forse corrisposto oppure… ma il viaggio alla fine comprende Tunisi, Tangeri, Marrakech, Bosaso per
raggiungere l’India, che ha forma di
cuore e fiabe e leggende antiche.
È qui che possono accadere tutti i
miracoli. Qui che è possibile vivere “il dono dell’amore” in tutta la sua
possanza. Qui la guarigione prodigiosa di Thenia e il loro amore senza più
ostacoli e paure. Qui Marsilio può ritrovare suo padre da tempo ormai nel mondo
dell’aldilà. E parlare con lui come quasi mai è accaduto in vita. E portare il
suo saluto d’amore a sua madre ancora in pena, alle sue sorelle e suo fratello,
che tanto lo rimpiangono. Ognuno col suo carico di rimorsi, rimpianti,
aspettative.
Qui, nido di incontri e di emozioni e
di luminosità di cieli, oltre il buio delle promesse perdute e delle vele
ammainate sul Mediterraneo che si è fatto oceano, vissuto da ciascuno come
sfida all’universo nell’attimo di un battito, mentre si disfa di nuovo nel
Mediterraneo e sembra un gioco di specchi, un volo di nuvole e promesse d’amore
e libertà di sognare il ritorno alle origini, che non separano, ma uniscono
perché così è l’amore.
È qui, infine, che Raffaele Nigro
riassume tutta la sua singolarità, sempre presente in tutte le sue Opere: Cultura,
Storia, Letteratura, Visionarietà psicologica e sensoriale. Ecco, queste ultime
si prendono tutte felicemente per mano, in un’Affabulazione, che tutta da
sempre gli appartiene.
È qui che perde realmente il suo amico
Beppe Labianca, a cui è dedicato il
romanzo, perché deciso a cambiare rotta per cambiare il mondo, e si affratella
ancora di più a Michele, altro amico reale, con cui, nella finzione del romanzo,
desidera tornare a Bari, luogo senza radici, ma con tanti amici, tanto lavoro,
tanto cuore.
Tra
un miscuglio di realtà e fantasia È qui che l’Autore scopre l’ascolto della sua
anima, quella più profonda e vera, quella della senilità ancora vibrante di
creatività e di speranza, dove è più facile lasciarsi abbracciare dall’unica
certezza possibile: “certe cose si fanno solo per amore”.
Angela