venerdì 13 settembre 2024

Venerdì 13 settembre 2024: settembre senza più mare e un ritorno che sa di scuola...

Ed eccomi qui, non più a fine agosto, ma con i primi temporali di settembre, simili a quelli estivi, brevi ma intensi, con subito un raggio di sole a regalarci l’arcobaleno e un sorriso del cielo, dopo la scomparsa della luna blu che ha riempito i nostri occhi di meraviglia e di sogno. Stamattina un cielo di panna ha salutato alcuni uccelli in volo. Subito ho scritto su Note del mio cellulare per non perderne l’incanto: Settembre/ ombre lunghe s’affacciano/ sul tempo del ritorno/ in una fuga di rondini verso il sole/ e malinconico ricordo di mare./ La promessa azzardata di un ultimo saluto/ si è infranta sulle ali di un gabbiano perso/ chissà dove/ nelle lantane aggrovigliate dei pensieri/ sulla strada della monotonia di giorni/ in debito con l’estate dal sapore d’autunno/ con piogge e temporali e foglie di lacrime e sangue/al trionfo di grappoli tra le mani./ E un richiamo allarmato di ore di scuola/ mute delle voci dei bambini in attesa/ dell’allegria della campanella/del compagno da ritrovare/ del mare al tramonto da raccontare/ come fosse uva rossa a riflettersi nel lago o tra i monti/ e negli occhi che sanno l’arrivederci/ e il suo sorriso/ (ci sono fondali di corallo a ricordare il sogno/  e tramonti brevi a salutare la sera/   imminente nella fragilità del giorno).

I ricordi di scuola si affacciano prepotenti nella mente: scolara difficile e senza parole… ragazzina consapevole di amare la scrittura e di detestare la scuola, con i suoi voti, le sue regole, i suoi richiami inutili e demotivanti… insegnante, mio malgrado, in una scuola che mi voleva tuttologa e da cui fuggire appena possibile… docente di scuola per preadolescenti in cerca di una identità provvisoria prima di scoprire, tra crisi e turbamenti, il primo amore e fughe da modelli poco amati di insegnanti restii al cambiamento… io alla ricerca di una dimensione di ascolto dei giovanissimi allievi in cerca di essere compresi e guidati con dolcezza e coraggio per affermarsi nella libertà di scegliere il proprio percorso di conoscenza e di socializzazione, per scoprire intese affettive ed emotive, per riconoscersi, realizzarsi, tra facili errori e dubbi, tra faticose conquiste e poche certezze di sé e del sé. E classi difficili da affrontare quotidianamente e singoli alunni da ascoltare singolarmente per aiutarli nella crescita e maturazione in tutte le direzioni della vita.

Ho, ancora oggi tantissime perplessità sulla mia attività di insegnante, e conservo ancora oggi la consapevolezza di non aver mai amato la scuola, ma di aver amato tutti i miei alunni, uno per uno, singolarmente, dialogando col ciascuno, per aiutarli ad affrontare il mondo e la vita con i propri mezzi, le proprie inclinazioni, le proprie passioni. Ancora di più questo è stato possibile come preparatrice, per oltre un trentennio, dei candidati ai vari Concorsi per entrare di ruolo nella scuola di ogni ordine e grado e… persino per dirigenti scolastici. Un controsenso? Sì, certamente, nella consapevolezza, però, di comunicare le mie conoscenze pedagogiche, metodologico-didattiche e matetiche con continui approfondimenti per trasmettere, con tutta la passione possibile, la necessità e la gioia di svecchiare l’istituzione scolastica e renderla sorridente, accogliente e concretamente inclusiva, realizzando con i miei allievi un rapporto affettivo molto forte ed empatico al di là di quello professionale che non va oltre il periodo della stessa preparazione. Rapporto che dura ancora oggi. E di cui vado fiera, come mi avessero appuntato sul petto una medaglia al valore.   

Non ho mai voluto prendere, però, una specializzazione come insegnante di sostegno perché convinta di non essere in grado di affrontare situazioni di disagio di alunni con particolari problemi di apprendimento, comportamentale e, quindi, anche di socializzazione. In realtà, spesso mi sono trovata a gestire, mio malgrado, casi molto difficili in collaborazione con le insegnanti di sostegno presenti nella mia classe. Ma è acqua passata. Oggi è mia figlia Raffaella “Una Maestra ma non Troppo”, come si è autodefinita, essendo insegnante di sostegno in una scuola primaria del nostro paese (Corato-Bari), in un suo recentissimo libro, con questo titolo straordinario, suggeritole, senza saperlo, da due suoi alunni molto curiosi, attenti, e dall’intelligenza acuta e sorridente. E, come mamma-ex docente, mi piace parlarne.

È un libro particolarissimo oltre che simpaticissimo, che già dalla grafica di copertina ci invita a sorridere del precario equilibrio che comporta essere, appunto, “una maestra ma non troppo”, sempre alle prese con mille difficoltà dentro e fuori la stessa istituzione scolastica che, dopo oltre cinquant’anni dalla Legge n. 118/1971 e la successiva Legge 517 del 1977 fino alla Legge 104 del 1992, non ha risolto, in tutte le loro sfaccettature, i molteplici problemi che l’inclusività ancora oggi comporta. 

Lo fa Raffaella Leone già con una dedica tutta particolare: Ai miei alunni/    senso vero/ del mio essere maestra/ senza farlo… A tutte le insegnanti e gli insegnanti/ che ogni giorno sono e fanno la differenza… A chi desidera diventare insegnante/   con convinzione e entusiasmo

Poi, ecco una sorta di Prefazione:

Nella mia vita sono andata a scuola due

volte: la prima da alunna, la seconda non è

ancora finita.

Da alunna ho imparato che per imparare

avevo bisogno di capire i meccanismi interni

ad ogni fonte di conoscenza. Le cose stanno

tutte una dentro l’altra, anche le più lontane

tra loro e tutte si possono comprendere.

Da maestra ho imparato che per insegnare

ho bisogno di capire i meccanismi interni

ad ogni stile di apprendimento di ciascun

bambino e tutti, ma proprio tutti, i bambini

si possono comprendere

Con una logica stringente Raffaella comincia il suo racconto, partendo dalla sua esperienza di scolara che scoprì che “per imparare” aveva “bisogno di capire i meccanismi interni ad ogni fonte di conoscenza”. Con la loro consequenzialità, che ne favorisce la comprensione. E dalla sua esperienza, ancora in atto, di maestra che ha scoperto da sola che “per insegnare” aveva “bisogno di “capire i meccanismi interni ad ogni stile di apprendimento di ciascun bambino…”, sapendo che non si può mai scindere la “didattica” (scienza e arte dell’insegnamento) dalla matetica (scienza e arte dell’apprendimento) per poter poi applicare la “metodologia” (ossia l’arte di scegliere i metodi più opportuni in riferimento alle aree di forza e di debolezza di ciascun alunno, comprese le individuali inclinazioni, per scegliere insieme il percorso o i percorsi per giungere alla conoscenza “motivata e desiderata” a sempre più vasto raggio. Percorsi personalizzati, di gruppo, collettivi. Per imparare insieme, maestri e alunni, in una pluralità sempre più inclusiva di presenze e di voci interne ed esterne alla scuola. Seneca ha scritto: C'è un vantaggio reciproco (nell'insegnare), perché gli uomini, mentre insegnano, imparano. (L. A. Seneca, Lettere a Lucilio)

Poi, ecco un modo originalissimo per definire i capitoli che, oltre alla dicitura iniziale, si snodano attraverso i racconti di vita scolastica o di classe, vissuta con gli alunni o con i colleghi in un ipotetico viaggio che li porta a cercare di raggiungere il Paese di CONSAPEVOLEZZA.

I suoi improvvisati mentori (ma non troppo) Gabriele e Federico, compagni di banco, curiosi, attenti, intelligenti, l’hanno dapprima messa in crisi con le loro osservazioni pertinenti e impertinenti sul suo essere, in qualità di insegnante di sostegno, “maestra ma non troppo” e poi, le hanno regalato su di un “vassoio d’argento” il titolo del libro che ho tra le mani. E scopro anche che Gabriele e Federico sono quelli che le hanno comprato e donato due biglietti e sono diventati i suoi compagni di viaggio, insieme a tutti gli alunni, tutti proprio tutti: quelli di oggi e di ieri, ciascuno con una storia raccontata (da raccontare). E ogni capitolo ci regala una sorpresa, un imprevisto, un bisogno o un sogno, che gli occhi visionari (ma non troppo) di Raffaella (sa essere anche razionale, quando occorre) vedono e prevedono, “nel fatale andare”. Ma anche tanti dubbi, tante incertezze, tante amarezze. Tante voci registrate, come un colpo al cuore: essere insegnante di sostegno cosa significa idealmente e cosa comporta realmente? L’ascolto non sempre è facile tra tante voci discordanti che perlopiù ignorano il vero senso e significato di essere, appunto, INSEGNANTE DI SOSTEGNO: come, dove, quando, perché. Anni di studio, esami, confronti continui con varie Commissioni, punteggi, immissione in ruolo… E poi? Quelle voce e l’amarezza che ne consegue. Bisogna fare i conti solo con l’ignoranza di alcuni o dei più? Bisogna imparare a gestire anche tutto questo e il viaggio è ancora lungo. Disperde e aiuta. I ricordi anche. Ma la gratitudine è sempre presente nell’Autrice che, soprattutto in passato ha avuto dei bravi Maestri in famiglia (vedi Zia ANNA MARIA), e nella scuola (ANNA PESCE, nella Scuola dell’Infanzia, e RAFFAELLA PAGONE, nella Scuola Elementare), fino all’indimenticato LIVIO SOSSI, “dall’inconfondibile voce, immenso esperto di Letteratura per l’Infanzia e dell’Illustrazione”. E, insieme alla gratitudine, ecco i racconti salvifici che ricordano le amate figure, e le relative voci, della famiglia: “Nonna Arina”, tra le tante.

E, infine, una maestra, e in particolar modo la maestra di sostegno, deve avere, per saper guardare lontano e anticipare il futuro: “uno sguardo lungo”, “uno sguardo atipico”, uno sguardo asimmetrico”… perché? A questo punto sono io a fermarmi, altrimenti il lettore cosa altro dovrà scoprire? Ci sono persino tanti errori lasciati con nonchalance qua e là… perché? A voi le tante ipotesi di soluzione. A me Non resta che augurarvi Buona e Proficua Lettura! E… alla prossima. Angela/lina.