Ed ora, per concludere, mi sembra opportuno riportare qui alcuni testi di poesia contemporanea per comprendere in maniera più chiara ed efficace le molteplici correnti poetiche del nostro tempo, tutte ugualmente valide ed apprezzabili, con i dovuti “distinguo” relativi al nostro personale gusto estetico, formale, contenutistico, stilistico. Dal confronto si può confermare o modificare il proprio assunto poetico.
Una importante puntualizzazione:
pur abitando ogni singola poesia in una particolare “corrente” poetica, essa
rientra inevitabilmente in molte altre che hanno perlopiù connotazioni simili
pur discostandosene per alcuni elementi contenutistici, formali, e così via.
Ci limitiamo al
panorama italiano per esigenze di tempo e di spazio. Sarebbe interessante
integrare questi brevi appunti con gli autori stranieri contemporanei. È una
sfida!
Il ritorno al classico contro il pericolo
della disidentificazione:
Ci pensi, non ho mai piantato un albero,/ non
ho mai avuto un figlio./ Tanto assomiglio al mare,/ solitario, sterile./ Né un
crespo cipresso, né un salice umido e lento, né un’euforbia/ diramata a delta,
né un pesco/ né un susino né un melo/ ho fatto mai crescere, né un ramo/ rosa o
candido a marzo, né un piccolo/ di uomo.// Come l’onda percuote la riva/ senza
fecondarla, senza lasciarvi/ altro che alghe e consunte radici/ così – non lo
dici? – io percuoto la vita.// Eppure l’ho amata, la/ terra, ti ho amata. (Giuseppe
Conte, Le stagioni della terra, Rizzoli,
Milano 1999).
Rinnovata identità nella memoria e nelle cose
quotidiane:
Lui se ne andò gettandoci/nell’improvviso
smarrimento./ In un sacchetto della polizia,/ ecco gli assegni, il pettine,/ la
benda per il polso…// Ciao, dico adesso senza più tremare./ Io ti ho salvato,
ascoltami./ Ti lascio il meglio del mio cuore/ e con il bacio della
gratitudine,/ questa serenità commossa.
(Maurizio Cucchi, da L’ultimo viaggio di Glenn, Mondadori, Milano
1999).
La parola “sostanziata” contro la sua
“liquidità”:
Torna,/ fra poco l’anima degli alberi/
tramonta nella sera/ e tutto il fumo/ perdigiorno e vagabondo/ salirà/ a
trafiggermi gli occhi./ Fa’ un po’ di posto per me/ tra i tuoi pensieri/ e
torna/ prima che s’alzi la notte,/ torna/ o conterò le ore/ come canna vuota/
abbracciando il tuo nome perduto/ e cercando nel vento/ l’odore/ dei tuoi
capelli. (Lino
Angiuli, “Torna”, Ovvero, Nino Aragno,
Torino 2015).
“Il realismo terminale” quale preannuncio
dell’età del “postumano”:
I due cappotti siedono vicini/ portati senza
portamento alcuno/
come due bucce vuote di banane./ si parlano le
loro cicatrici/ e gli occhi sono anelli di catene,/ neanche a ballare suscitano
brio; li ha fatti dio non sempre riesce bene.
(Guido Oldani, “I due”, Il cielo di lardo, Mursia, Milano 2022).
La poesia della parola chiara e forte:
In certe ore/ sopra il distributore di
benzina/ un muro nudo s’illumina/ e sta contro l’azzurro/ come la luna.// A un
certo punto uno/ abita qui davvero/ e guarda in faccia queste case, e impara/ a
stare al mondo,/ impara a parlare al muro.// Impara la lingua,/ ascolta la gente
in giro./ Incomincia a vedere questo posto,/ a sentire/ nel chiaro dei
discorsi/ la luce di questo muro. (Umberto Fiori, “Muro”, Parlare al muro, Marcos y Marcos, Feltrinelli,
Milano 2017).
La poesia della parola come ricerca:
Tutto era già in cammino. Da allora a qui.
Tutto/ il tempo, luminoso, sfiorava le labbra. Tutti/ i respiri si riunivano
nella collana. Le ombre/ di Lambrate chiusero la porta. Tutta la stanza,/
assorta, diventò il primo battito. Il nero/ dei tuoi capelli contro il giallo
dell’ultimo raggio./ Da allora a qui. Era il primo giorno dell’estate./ Il
silenzio ci riempiva la fronte. Tutto era/ già in cammino, da allora, tutto era
qui, unico/ e perduto, nostro e remoto, ardente. Tutto chiedeva/ di essere
atteso, di tornare nel suo vero nome. (Milo De Angelis, da Tema dell’addio, Mondadori, Milano 2005).
La poesia immaginifica, neoorfica (tra Dino
Campana e Rimbaud), un po’
criptica:
Esse giungono improvvise, miscellando/ nel
latte al bambino dosi adeguate di morte,/ bollicine che ingorgano, urne d’aria,
grumi/ di farina non spenta, embolie, dolora a lenta cessione,/ cordoglio,
affinché impari da subito che l’uomo/ dovrebbe perennemente vivere in stato/ di
violento assedio e orrore di sé:// ogni sera mani segrete accudiscono.
Ripongono./ Nelle camere fonde, i maschi, che siedono,/fanno muta musica,
masticano tra loro foglie di betel;/ in quelle voliere, le femmine, che
depilano,/sbucciano, sgusciano, imbalsamano in letargici oli nudi corpi// un
filo d’erba si protende a un oggetto:/ l’oggetto è di materiale duro, fittile e
cangiante, fittile e duro;// l’oggetto nella propria indifferenza, lo
contempla,/ lo riaffiora al minimo dell’onda, lo manifesta al suo massimo,// lo
rende sommergibile barca dagli invisibili remi/ sottraendolo alle scure cucce
degli umani, ai loro accampamenti// o promiscue edificazioni di membra/ e lo
affida a sottomarine potenze:/ Per lui finalmente si chiudono i chiusi/ della
campestre innocenza, fermenta per lui l’irsuto pelo dell’acqua,// sospende il
passo e la raspa del ruminante,/ attende il suo caracollo di froge o occhio
vertiginoso/ e tutto nel suo quanto, è per sempre.// L’oggetto ogni sera pone
segrete mani, sostituisce. (Alessandro Ceni, “Interno/esterno”, Parlare chiuso - Tutte le poesie, Feltrinelli, Milano 2021).
La poesia a sfondo civile:
<Democrazia, di cosa ti fai bella?...>/
<Quella che pare vita, in te, non è che/ un’ombra della vita, sua
sorella!...>// L’oppressione nascosta nelle forme,/ ti scorre nelle vene,
come il sangue,/neuro, caserma e carcere le tue orme!...>// <Tutta
mercato e computer, sei folle,/ ci hai fatto ormai due balle, borghesia,/ tutte
le tue trillate in si bemolle!...>// <Un’epoca più oppressa mai fu data,/
un dover adeguarsi a delle cose,/ che cose non sono, ma merce
obbligata!...>// <Da culla a nulla non lasci contrada!...>/ <Carte
stracciate, torture di morte!...>/ <Guerre imperialiste e
coloniali!...>// <L’iracheno al guinzaglio di soldata!...>/ <Truppe
sadiche dei begli ideali!...>/ <Libera America, e tutta la sua
corte!...>// <Menzogna e orrore porterà altri mali!...>. (Gianni
D’Elia, da Trovatori, Einaudi,
Torino 2007).
Poesia come dissoluzione tra parola e realtà:
Tu dormi accanto a me così io mi inchino/e
accostato al tuo viso prendo sonno/ come fa lo stoppino/ da uno stoppino che
gli passa il fuoco./ E i due lumini stanno/ mentre la fiamma passa e il sonno
fila./ ma mentre fila vibra/ la caldaia nelle cantine./ Laggiù si brucia una
natura fossile,/là in fondo arde la Preistoria, morte/ torbe sommerse,
fermentate,/ avvampano nel mio termosifone./ in una buia aureola di petrolio/
la cameretta è un nido riscaldato/ da depositi organici, da roghi, da liquami./
E noi, stoppini, siamo le due lingue/ di quell’unica torcia paleozoica. (Valerio
Magrelli, “L’abbraccio”, POESIE
(1980-1992), Giulio Einaudi Editore, Torino 1992).
La poesia della parola recuperata e
“dedicata”:
Si può anche morire al banco del bar - -/ le
mille etichette variopinte contro gli specchi/ erano farfalle/ sopra i miei
occhi/ e sul viso di lei che mi guardava/ con un’azione ferma/ e vorticosa
s’innamorava./ Si può lasciare andare tutto/ nel viaggio che fanno/ dal banco
alle labbra/ la tazzina e la mano,/gesto cometa/ in una sera insidiosa/ e
leggera a Bologna,/ quel cielo di seta -/ (mi
fai tremare il cuore,/ diceva una canzone
dolce e violenta,/ mi fai smettere di respirare).// Si può essere cortesi/ da morire/ in uno dei bar del centro./ Poi
si deve fuggire, senza/ guardarsi dietro, senza guardarsi/ dentro. (Davide Rondoni, da Il bar del tempo, Mondadori, Milano 2017).
Poesia come lirica d’amore per la parola, per l’amore
e per la vita:
Il libro davanti a me che si confonde/ e si
identifica con il luogo/ di svolgimento di una storia/ ama le dune la luna le
onde/ le rive degli alberi in filari,/ ama i suoi fogli presuntuosi/
splendidamente lasciati ai margini/ nel vuoto che non è vuoto/ ma un buio
eterno e luminoso,/ ed ogni verso bruciato da filiale/ fede nelle sue parole/ e
i dubbi del suo oscuro/ vano ardore, anche un plagio finemente celato./ Ama
come una conchiglia/ sulla scrivania di una città/ la memoria di una lunga/
durata e il canto lieve/ soffocato di una gioia/ diversa nella vita./ Ama
l’amare trattenuto/ nella carta quando il tempo/ spinge ogni cosa lentamente/
dall’oblio alla ragione/ in un sogno di luce che nella luce muore./ Dove nulla
resta legato/al suo essere stato/ né le dune né la luna né le onde. (Salvatore
Ritrovato, “Tra le pieghe”, Antieroi
e uomini liberi, PUNTOACAPO EDITRICE, 2015).
Poesia sulla complessità del mondo
contemporaneo e sul senso dell’esistenza:
Mio padre è uno stanco democristiano./ È quel che mi resta da dire,/ e non è poco, se
una storia, già andata/ di là lo invoca. Perciò genuflesso/ ad un banco di
chiesa mi ridico/ che un calice ha bevuto/ anche lui, e che forse piamente/ s’è
lasciato trovare, senza difesa,/ da questo tempo che non gli appartiene./ E non
basta la memoria, se un vento/ di gelo guasta il sereno, e cancella/gli amati
segni, infuria e poi fa scempio/ dei migliori anni di gioventù,/ ma nulla
presagisce, è vento e basta:/ non palesa un disegno, non è voce/ di uno che grida
nel deserto,/ per noi, che non è altro che quello/ che ci aspettiamo, che
nient’altro vogliamo./ Il deserto sono i democristiani./ Guardali, e troverai
mio padre,/ seduto a un banco di chiesa. Sconta/menzogne non sue, ed è stanco. (Riccardo
Ielmini, “Mio padre è uno stanco democristiano”, da Il privilegio della vita, editore: Ass. Culturale Atelier, 2002).
Questi ultimi
autori sono i giovani poeti che hanno varcato già la soglia del nuovo
millennio. Ce ne sarebbero tanti da annoverare tra i buoni poeti, ma ritengo
che questa carrellata possa concludersi qui, con questi pochi ma significativi
esempi della nostra poesia nei suoi innumerevoli percorsi fino ai nostri
giorni, lasciando una soglia di curiosità culturale per chi voglia continuare a
fare ricerca e a documentarsi sulla poesia contemporanea, italiana e straniera,
per un costruttivo e proficuo confronto di conoscenza che ci proietta verso il
futuro. Infinitamente grazie a tutti voi che avete avuto tanta pazienza nel
seguire questo lungo percorso, dettato esclusivamente dal mio immenso amore per
la scrittura, in cui ho voluto a tutti i costi immergervi, confidando nella
bella sintonia che si è creata tra noi. Angela
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